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De Michelis di party e di governo

Scomparso oggi a 78 anni, l'ex ministro socialista era tra gli ultimi rappresentanti di una classe politica composta in parte da festaioli impenitenti ma alla fine più competenti dei successori

De Michelis di party e di governo

Foto: Barry Iverson/The LIFE Images Collection/Getty Images

Non era facile agire da uomo di Stato e legittimamente concedersi piaceri notturni. O almeno, nessuno ci aveva provato, quantomeno pubblicamente, dato che dagli archivi sono emersi i risvolti goderecci delle vite di due austeri statisti come Cavour e Massimo D’Azeglio. Ma appunto, Gianni De Michelis più di ogni altro aveva tentato di incarnare appieno la svolta libertaria del suo Partito, i gloriosi socialisti fondati nel 1892 e riforgiati dal segretario Bettino Craxi a partire dal 1976.

Per troppi anni comprimari dei due colossi democristiani e comunisti, i rampanti uniti sotto il simbolo del Garofano con il loro esempio avevano cercato di spezzare la spessa coltre di moralistica apparenza pubblica che fino ad allora aveva dominato la vita politica. Non più casa, famiglia e partito-chiesa, ma finalmente uomini a tutto tondo, con bisogni carnali e fisici che esulano da questa triade.

Ma non c’era solo questo. C’era anche la voglia di mettere una pietra tombale sugli anni di piombo e tutta l’insicurezza che avevano rappresentato per l’Italia, con il look da fascista o da compagno per cui si poteva essere puniti. L’apparenza, fino ad allora esecrata, veniva adesso esaltata ai massimi livelli. Quello che ai detrattori di questa complessa operazione mediatica non piaceva ed era segno di povertà di preparazione, veniva in realtà da politici intellettuali, che, pur non avendo sempre una solida educazione formale (Craxi è stato il primo Presidente del Consiglio dell’età repubblicana a non avere una laurea), possedevano una formazione di partito strutturata e che in qualche modo ricalcava gli schemi marxisti.

Con le spese pazze che il ministro De Michelis faceva nelle notti romane, e che lo facevano tardare alle riunioni mattutine del governo, si volevano spingere i consumi di un Paese la cui economia stava ripartendo dopo gli affanni causati dalla fine dei Trent’Anni Gloriosi postbellici. E pazienza se questa crescita era drogata da un deficit che toccava punte del 10% annuale e se alcuni distretti produttivi come il Veneto godevano di controlli fiscali tutt’altro che scrupolosi. Per la maggioranza dell’opinione pubblica questi nuovi politici erano una ventata d’aria fresca. Ai quali si poteva facilmente perdonare che, per superare più in fretta i rivali comunisti e gli alleati della Dc, usassero canali di finanziamento “irregolare”, per dirla con le parole usate da Craxi nel suo ultimo discorso in Parlamento il 3 luglio del 1992.

Ma appunto, bisognava spezzare questo soffocante duopolio, e i fini sembrarono giustificare i mezzi. Dopo il crollo del sistema dovuto all’inchiesta di Mani Pulite, l’intero Paese sembrò svegliarsi come all’improvviso. Come avevamo potuto, ci si chiese, sostenere dei politici così arroganti e corrotti? Via, via tutti. Venga fatta pulizia e si instauri un Nuovo Ordine. Il quale però venne edificato usando molti esponenti dell’Antico Regime rimasti sfiorati dall’inchiesta. Quello che presto venne notato è che gli esponenti politici come De Michelis, sotto l’apparenza festaiola e vagamente untuosa, nascondevano il continuo studio dei problemi e una competenza senza pari. Che i nuovi leader dell’Italia bipolare sembravano non possedere affatto. Se mancò la volontà di raddrizzare il mercato del lavoro fino in fondo (il taglio di quattro punti sulla scala mobile fu un primo passo, che però ebbe lo scopo di regolare il derby a sinistra con i comunisti più che di aggiustarne le storture) e di mettere un freno all’esplosione del debito pubblico, questo era appunto per la smania di spezzare il sistema che faceva sì che l’Italia fosse l’unico paese europeo occidentale a non aver un contrappunto socialdemocratico e riformista alle forze centriste e conservatrici.

Ma questa fretta, come sappiamo, venne pagata cara dai diretti interessati e successivamente anche dalle casse pubbliche italiane. La spirale debitoria da allora non è cessata di aumentare. Nel frattempo, purtroppo, le competenze di quelli come De Michelis sembrano essersi perse. All’epoca non sembravano tali, complice anche una campagna mediatica strutturata contro questo “decadimento dei costumi”. La cosiddetta Questione Morale non bastò a rimpiazzare un ceto politico che, con moltissimi limiti, aveva guidato la nave Italia rendendola rispettata dai partner internazionali. Ma ciò non deve comunque far dimenticare che gli incubi odierni sono stati originati dagli eccessivi vizi di allora. E non ci riferiamo certo alle folli notti di ballo del professore di chimica chiamato Gianni De Michelis.

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