Da Dublino a Strasburgo: la Conferenza sul Futuro dell’Europa va avanti e pensa al conflitto in Ucraina | Rolling Stone Italia
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Da Dublino a Strasburgo: la Conferenza sul Futuro dell’Europa va avanti e pensa al conflitto in Ucraina

Nella capitale irlandese si è discusso di economia, giustizia sociale, lavoro, istruzione, cultura, sport e trasformazione digitale, argomenti che definiscono le priorità dell’agenda Ue nonostante l’urgenza dell’attuale gestione del conflitto russo-ucraino

Da Dublino a Strasburgo: la Conferenza sul Futuro dell’Europa va avanti e pensa al conflitto in Ucraina

Tutte le foto per gentile concessione di Ilaria Potenza

Ci eravamo lasciati a Maastricht qualche settimana fa con il panel della Conferenza sul Futuro dell’Europa (CoFoe) dedicata ai temi migrazione e Ue nel mondo. Nel frattempo i cittadini si sono ritrovati a Dublino dal 25 al 27 febbraio per partecipare all’ultimo appuntamento prima di riunirsi in plenaria a Strasburgo dall’11 al 12 marzo scorsi. Nella capitale irlandese si è discusso di economia, giustizia sociale, lavoro, istruzione, cultura, sport e trasformazione digitale, argomenti che definiscono le priorità dell’agenda Ue nonostante l’urgenza dell’attuale gestione del conflitto russo-ucraino.

Perché Dublino?

Con l’uscita del Regno Unito dalla costruzione comunitaria, l’Irlanda ha fatto dell’Unione la propria ancora geopolitica ed economica. L’europeismo irlandese è stato confermato anche dai sondaggi condotti dall’Eurobarometro, secondo i quali il 91 per cento dei cittadini ha piena fiducia nell’Europa. E poi non si dimentichi il contributo del Paese quando, con la Brexit, il Regno Unito ha rinunciato, tra le altre cose, al programma Erasmus.

Per non tagliare fuori anche l’Irlanda del Nord dal progetto di scambi, Dublino ha deciso di pagare le borse di studio per i suoi studenti. A qualche chilometro di distanza dalla capitale irlandese si trova quindi Belfast e l’Europa finisce. Siamo nell’Irlanda del Nord: il confine tra il progetto comunitario e il Regno Unito si esaurisce in poche miglia, ma la differenza tra le due capitali si percepisce immediatamente.

Belfast è di fatto una città che ha rinunciato al raggiungimento di un’unità locale e non è bastato neppure l’accordo del Venerdì Santo del 1998 a riportare la pace in città dopo i Troubles. Con questo nome si fa riferimento all’insieme di violenze e attentati che dalla fine degli anni Sessanta hanno causato la morte di 3.600 persone in tutta l’Irlanda del Nord.

Le due parti del conflitto erano gli unionisti, per la maggioranza protestanti e favorevoli alla permanenza nel Regno Unito, e i repubblicani, cattolici e favorevoli invece all’unificazione nazionale. In Irlanda del Nord la maggioranza della popolazione era unionista e protestante, mentre i repubblicani erano una minoranza. Lo scontro precipitò in pochissimi anni: sia gli unionisti che i repubblicani potevano contare su formazioni paramilitari, l’Ira, legata ai repubblicani di Sinn Féin, e l’Ulster Defence Association, legata agli unionisti.

Durante una delle guerriglie è stata assassinata Eileen Hickey, ufficiale comandante dell’IRA imprigionata nel carcere femminile di Armagh a cui oggi è dedicato il Museo della storia repubblicana irlandese gestito dai suoi familiari e aperto gratuitamente al pubblico. Il suo volto occupa uno dei muri del quartiere Gaeltacht, dove ogni suo vicolo ricorda che Belfast è divisa a metà. Anche fisicamente. I due blocchi della città sono infatti separati dal Peace Wall, un muro invalicabile che viene chiuso ogni notte con un grande lucchetto per impedire alle due parti di comunicare, con buona pace del nome che gli hanno riservato.

Le raccomandazioni elaborate dai cittadini a Dublino

I temi discussi nella capitale irlandese rappresentano anche alcuni punti in agenda dell’Anno europeo della gioventù, indicato dalla Commissione europea proprio nel 2022. Si pensi per esempio all’Erasmus, il programma di scambio che porta ogni anno in giro per l’Europa una carica di diecimila studenti. «Chiediamo che questo progetto venga esteso anche agli adulti, perché ci siamo resi conto che la percezione dell’Ue cambia tra una generazione e l’altra – dice Marco Sponticcia, 22 anni – sono stati per esempio soprattutto gli over 50 anni a votare a favore della Brexit».

Come fa notare Maria Paola Fabiocchi, insegnante, è importante che a scuola si parli di Europa e che l’approfondimento del suo funzionamento rientri nei programmi di studio tradizionali. E vale altrettanto per l’educazione digitale e ambientale. «Teniamo a una raccomandazione in particolare: proponiamo la creazione di una piattaforma utile alla condivisione di materiale didattico sul cambiamento climatico e la sostenibilità» commenta Vincenzo, 18 anni. Durante l’Anno europeo della gioventù si sta quindi lavorando al cosiddetto “Piano educativo digitale” per sviluppare un nuovo ecosistema formativo da un lato, e migliorare le competenze tech di chi vive la scuola dall’altro. I numeri dopotutto parlano chiaro: oggi in Europa un quindicenne su cinque non possiede abilità informatiche, più del 40% degli adulti non sa utilizzare il computer e solo il 39% degli insegnanti sa come funzionano le tecnologie per la didattica. Dalle raccomandazioni prodotte dai cittadini, risulta quindi importante migliorare i percorsi di alfabetizzazione digitale ed essere più incisivi nel ridurre il divario tecnologico tra le regioni europee, facendo particolare attenzione alla partecipazione femminile alle carriere Stem.

L’accesso al mondo del lavoro deve inoltre diventare più equo: «Chiediamo l’introduzione di un salario minimo per garantire una qualità di vita simile in tutti gli Stati membri», spiega il tizio di 32 anni, «nonché un adeguamento della legislazione europea già esistente per incentivare le imprese a mantenere posti di lavoro in smart working di alta qualità». Questa proposta viene formulata per andare incontro a quei lavoratori che per ragioni ambientali o sociali non hanno la possibilità di recarsi sul posto di lavoro. Si tratta di indicazioni che hanno a che fare con la dignità dei cittadini europei, a cui si aggiungono i suggerimenti a favore dell’accesso agli alloggi sociali e dell’eutanasia.

Cos’è successo in Plenaria a Strasburgo

Quello che è stato elaborato durante i panel di Maastricht e Dublino è stato poi portato al Parlamento europeo di Strasburgo, dove lo scorso fine settimana (11-12 marzo) si è tenuta l’assemblea Plenaria alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni europee (Consiglio, Parlamento e Commissione), dei Parlamenti nazionali e dei cittadini partecipanti alla Conferenza sul Futuro dell’Europa. Per l’Italia sono intervenuti Chiara Alicandri, Paolo Barone, Ivo Raso, Martina Brambilla e Valentina Balzani.

Per la prima volta esponenti della democrazia rappresentativa e partecipativa hanno occupato le poltrone in emiciclo nello stesso momento, confrontandosi su migrazione e ruolo Ue nel mondo, ma anche su economia, giustizia sociale, lavoro, istruzione, cultura, sport e trasformazione digitale. «Dall’Europa ci aspettiamo più strumenti e competenze per gestire la migrazione regolare e per contrastare i flussi illegali, capaci di garantire un sistema di asilo più equo per chi scappa da guerre e persecuzioni politiche» dichiara il senatore del Partito Democratico, Alessandro Alfieri, che a Strasburgo ha presieduto il gruppo di lavoro della CoFoe sulla migrazione. Rifugiati, energia e sicurezza sono stati al centro della due giorni di dibattito, che ha fatto emergere posizioni definite nel merito. Si pensi per esempio alle richieste formulate da una delegazione di rifugiati e parlamentari ucraini presenti in plenaria.

Tra questi la deputata Maria Mezentseva ha chiesto all’Europa di istituire un Esercito comune europeo: «Anni fa ero in Parlamento da stagista, oggi invece chiedo a quella stessa Europa che mi ha regalato un sogno di dimostrarmi che crederci non è stato un errore. L’Ucraina ora ha bisogno di sue decisioni ferme – dichiara a Rolling Stone – Siamo convinti che la creazione di un esercito comune europeo risulti quanto mai urgente, e lo è allo stesso modo l’istituzione di una ‘no fly zone’. Perché se fino a questo momento noi ucraini ci siamo difesi bene per terra grazie ai civili che stanno imbracciando le armi (tra cui ci sono 35 mila donne), non sapremmo invece rispondere adeguatamente agli attacchi dal cielo.

E tutti sappiamo che avrebbero a che fare con gli effetti devastanti del nucleare». Per Kacper Parol, attivista polacco di 23 anni, la posizione del suo paese nei confronti dei rifugiati ucraini è oggi motivo di riscatto «dalla vergogna causata dal trattamento riservato in altre circostanze ai richiedenti asilo siriani e afgani, lasciati a morire nei boschi». E conclude: «La richiesta di aiuto non deve conoscere differenze e per questo sono orgoglioso di come la Polonia sta reagendo, a cominciare da piccoli interventi come il trasporto pubblico gratuito assicurato agli ucraini in fuga dalla loro terra».

L’Europa si trova dunque a un bivio e la necessità di pensare a nuove strategie comprende anche la dimensione energetica, in un’ottica di indipendenza dalle forniture russe e di diversificazioni delle fonti sostenibili. «Per anni abbiamo consegnato a Putin risorse economiche europee legittimando di conseguenza i suoi piani bellici – dice alla nostra redazione Guy Verhofstadt, eurodeputato e vice-presidente della CoFoe – è arrivato il tempo di decidere da che parte stare dando all’Europa un’alternativa al gas, al petrolio e al carbone che arriva dalla Russia: non possiamo più sentirci responsabili della follia del suo Presidente».

Quanto alle sanzioni contro la Russia, invece, Verhofstadt ne fa una questione di solidarietà europea nei confronti degli ucraini, e aggiunge «nelle prossime ore adotteremo un quarto pacchetto di misure per isolare ulteriormente la Russia dalle nostre economie e dal sistema finanziario internazionale». Si attendono quindi lo stop alle esportazioni di beni di lusso, la sospensione dal Fondo monetario internazionale (Fmi), dalla Banca mondiale e la revoca delle condizioni speciali riconosciute all’Organizzazione mondiale del commercio (Wto).

Il conflitto in Ucraina si sta combattendo anche sul fronte informatico, attraverso campagne di disinformazione e propaganda. Sono attivi infatti canali pro-Putin che utilizzano profili falsi per viralizzare contenuti che giustificano il conflitto. A questo flusso di fake news contribuiscono anche blog, siti di estrema destra e politici che siedono ancora in Parlamento. Ma come ci spiega Maite Pagazaurtundua, europarlamentare in quota Renew Europe e membro della Commissione che si occupa della lotta alla disinformazione, «stavolta i tentativi di Putin di aggirare la verità sono stati scoperti: tutto il mondo sa che si tratta di un dittatore fuori controllo e senza alcuna credibilità politica». Dal suo punto di vista il Cremlino ha spinto facilmente narrazioni distorte nel tempo, ma stavolta è diverso visto che la realtà delle azioni efferate di Putin ha sfondato la zona di confort della vita online. Sta succedendo perché esistono più dati open source disponibili (ad esempio, la mappa dei testimoni dell’Ucraina creata dal Center for Information Resilience) e per il fatto che in questa occasione Mosca non è riuscita ad anticipare l’esperienza sui social media del presidente ucraino Volodymyr Zelensky: mentre Zelensky sperimenta un approccio umano nei suoi aggiornamenti, Putin siede a tavoli comicamente enormi.

E in queste ore si sta tornando a parlare anche di un precedente tentativo di Putin di destabilizzare i governi occidentali, su cui si sta concentrando un’inchiesta del New York Times. Secondo il quotidiano statunitense, il movimento indipendentista guidato da Carles Puigdemont ha ricevuto aiuto dalla Russia nell’organizzazione delle proteste promosse dal gruppo Tsunami Democràtic. «Una cosa deve essere chiara: i russi provano da anni a rendere più vulnerabile l’Ue – dice Maite Pagazaurtundua – e approfittano della polarizzazione politica e delle situazioni che minano lo stato di diritto democratico, come è accaduto in Catalogna, per far attecchire i propri piani di manipolazione propagandistica. In questo senso la Conferenza sul Futuro dell’Europa ci ha permesso di mettere a punto interventi per contenere la disinformazione con l’aiuto diretto dei cittadini».

Si chiede pertanto all’Ue di intervenire con una legislazione che aiuti i social media a verificare l’affidabilità delle informazioni e con la creazione di una piattaforma digitale che assegni un punteggio alle notizie, valutandone così la qualità senza applicare alcun tipo di censura. I cittadini della CoFoe si sono poi espressi in merito al trattamento dei dati personali, raccomandando per esempio la creazione di un’agenzia paneuropea indipendente incaricata di definire le modalità con cui i cittadini possono rifiutare il consenso alla comunicazione di dati e revocarlo, in particolare nei confronti di terzi. Ora l’attenzione è allora tutta riservata alle 178 raccomandazioni prodotte nelle scorse settimane e che, di plenaria in plenaria, diventeranno le proposte effettive per immaginare il futuro dell’Europa. E sarà interessante capire dove porterà questo primo esperimento di democrazia deliberativa collettiva della storia Ue, soprattutto adesso che il suo contributo appare quasi provvidenziale dato che si chiede alla nostra comunità il coraggio di un cambiamento all’altezza del progetto di pace e unità per cui è stata istituita.