Da dove nasce l’isteria di massa sui biliardini | Rolling Stone Italia
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Da dove nasce l’isteria di massa sui biliardini

Nelle ultime 24 ore il calcio-balilla è diventato un caso nazionale: sui social c'è già chi urla allo scandalo, puntando il dito contro le "multe salatissime" e scorgendo all'orizzonte una "scomparsa" dei biliardini dalle spiagge italiane. Le cose, però, non stanno esattamente così

Da dove nasce l’isteria di massa sui biliardini

Foto via Getty

Seguendo l’onda d’urto di una specie di isteria di massa, nelle ultime 24 ore i biliardini sono diventati un caso nazionale: il passatempo preferito da ogni ‘tipo da spiaggia’ che si rispetti è balzato agli onori delle cronache, monopolizzando le prime pagine di giornali e siti d’informazione. Sui social c’è già chi urla allo scandalo, puntando il dito contro “multe salatissime” (per ora, però, mai comminate) e scorgendo all’orizzonte una “scomparsa” dei biliardini dalle spiagge italiane. La questione è arrivata addirittura in Parlamento, con il deputato di Fratelli d’Italia, Walter Rizzetto, che ha presentato un’apposita interrogazione alla Camera.

Questa inaspettata revanche del calcio balilla è da ricollegare a una protesta portata avanti dal Sindacato italiano dei balneari (SIB), che ha diffuso una nota in cui la categoria ha espresso forti perplessità in relazione all’obbligo di certificare giochi tradizionalmente non d’azzardo, come biliardini, ping pong e flipper, all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Il problema è che questa ondata di indignazione è un po’ anacronistica: l’obbligo di certificazione, infatti, esiste da 14 anni. È stato introdotto nel 2008 e, inizialmente, era circoscritto ai soli videogiochi, che frequentemente venivano modificati e trasformati in gioco d’azzardo; quattro anni dopo, l’obbligo venne esteso anche ai giochi di «puro intrattenimento senza vincite di denaro», come appunto il biliardino. La ratio dell’estensione era quello di ottenere un quadro più chiaro dei giochi presenti negli stabilimenti e di prevenire eventuali problemi di sicurezza, scongiurando la possibilità (remotissima, ma tant’è) che qualcuno potesse farsi male durante, ad esempio, una partita di ping pong particolarmente competitiva.

Come spesso accade, però, l’obbligo è stato disatteso per 9, lunghi anni; così l’anno scorso, anche per evitare che la mancata applicazione della norma del 2012 sfociasse in centinaia di sequestri su tutto il territorio nazionale, l’Agenzia ha deciso di tornare sul tema e provare a risolvere l’annosa questione attraverso una procedura che, almeno nelle intenzioni, avrebbe dovuto agevolare gli imprenditori, introducendo una semplificazione: la predisposizione di un’autocertificazione, con la previsione di una sanzione di 4mila euro in caso di inadempienza.

L’autocertificazione, però, si è tradotta in un delirio burocratico abbastanza difficile da compilare e presentare (e quando mai). Come ha spiegato al Post Eugenio Bernardi – consulente di diverse aziende produttrici di biliardini – «Anche chi è nel settore da molti anni ha avuto molte difficoltà. È necessario caricare sulla piattaforma online molti documenti tra cui una scheda esplicativa e una fotografia per ogni singolo gioco, immessa con firma digitale e con un formato digitale particolare. Io stesso, che conosco molto bene la procedura, ci metto un’ora e quaranta minuti per quattro giochi. Se l’Agenzia ha dovuto pubblicare 3 determine e 7 circolari per spiegare le regole significa che non è tutto così chiaro».

Aldilà delle complicazioni burocratiche, a preoccupare è soprattutto il secondo step previsto dalla procedura, potenzialmente il più doloroso dal punto di vista economico, ossia quello dell’omologazione, che deve essere presentata ai tre enti che si occupano dell’omologazione ufficiale di questa categoria di giochi entro una data prestabilita e che può costare tra i 3mila e i 5mila euro per ogni modello posseduto. «Nelle ultime settimane la mia azienda ha dovuto caricare 700 schede descrittive per chiedere l’autorizzazione richiesta per ognuno dei 700 apparecchi che possediamo», ha spiegato sempre al Post Sergio Milesi, delegato di Astro, l’associazione che rappresenta gli imprenditori del gioco all’interno di Confindustria. «Se le attuali regole saranno confermate, dovremo fare 170 omologazioni». Dal punto di vista tributario, invece, non è cambiato assolutamente nulla, dato che i biliardini sono assoggettati, da oltre venti anni, all’imposta sugli intrattenimenti.

Per ovviare a questa criticità, l’Agenzia si è fatta promotrice di una nuova norma di semplificazione, che in questi giorni sarà discussa in Parlamento, che prevede l’esclusione dei biliardini dagli obblighi certificativi posti dalle leggi oggi in vigore. Insomma: nessuna paura, la sfida blu contro rossi al mare rimarrà un leitmotiv dell’estate (mi raccomando, però: vietato “rullare”).