Cosa c'è dietro lo storico cambiamento nelle regole di Pornhub | Rolling Stone Italia
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Cosa c’è dietro lo storico cambiamento nelle regole di Pornhub

Un'inchiesta del 'New York Times' ha rivelato la presenza di video di minori vittime di abusi sul sito, che ha deciso di vietare i caricamenti degli utenti non verificati. Ma dietro c'è anche l'ombra dei fondamentalisti cristiani anti-porno

Cosa c’è dietro lo storico cambiamento nelle regole di Pornhub

Screenshot via New York Times

In un comunicato pubblicato martedì, Pornhub ha annunciato che, con effetto immediato, sarà permessa la condivisione di video soltanto ad utenti e performer verificati, saranno vietati i download e aumenteranno le attività di moderazione. Le stesse norme andranno in vigore sugli altri siti satellite dell’azienda madre MindGeek, quali RedTube o YouPorn. Si tratta senz’altro di un cambiamento enorme per una piattaforma che precedentemente permetteva a chiunque di pubblicare contenuti – al pari dei social mainstream – attirando di conseguenza numerose lamentele rispetto a violazione di copyright e diffusione di materiale non consensuale. 

Come parte dell’incremento della moderazione, Pornhub riferisce che verranno utilizzate tecnologie avanzate che riconoscono immediatamente contenuti illegali o raffiguranti minori, al pari di piattaforme quali YouTube, Google e Facebook. Inoltre, avvieranno un programma chiamato “Trusted Flagger”, in collaborazione con alcune organizzazioni no-profit impegnate contro la violenza online e gli abusi sui minori, alle quali sarà permesso segnalare ed eliminare immediatamente video.

Le modifiche sono arrivate in seguito a un articolo del New York Times che riporta nel dettaglio le esperienze di minori vittime di abusi sessuali che hanno visto dei video di cui erano protagonisti finire su Pornhub – accusando la piattaforma di monetizzare migliaia di video raffiguranti stupri di donne e minori. Le stesse accuse vengono mosse anche da TraffickingHub, una petizione che negli ultimi mesi è riuscita a raccogliere oltre due milioni di firme, portata avanti da un gruppo di fondamentalisti cristiani ultra-conservatori e anti-LGBT secondo cui il porno sarebbe un catalizzatore per il traffico sessuale e di minori – una tesi che i gruppi contro il porno e il sex work sostengono da decenni. A seguito della pubblicazione dell’articolo del NYT, Visa e Mastercard hanno avviato un’indagine riguardo alle accuse mosse contro Pornhub. 

In un altro articolo, pubblicato su XBIZ, il giornalista Gustavo Turner ha sottolineato alcune debolezze ed errori del pezzo del New York Times. Se è vero che in passato su Pornhub sono stati caricati contenuti illegali, è anche vero che i problemi di moderazione riguardano tutti i siti che si basano su materiale prodotto dagli utenti – inclusi social mainstream come Facebook. “Non sono contro il criticare Pornhub”, spiega Turner su Twitter, “sono contro lo scagliarsi contro un’unica azienda, di un’unica industria (quella per adulti), come pretesto per discutere problemi legati ad internet e alla comunicazione in generale”.

È anche vero che il dibattito sul “traffico sessuale” serve solo a portare acqua al mulino di chi vuole condannare il porno in sé, stigmatizzando e mettendo in pericolo i/le sex worker. Costoro sono già danneggiati dall’approvazione del SESTA/FOSTA – acronimo di Stop Enabling Sex Traffickers Act / Allow States and Victims to Fight Online Sex Trafficking Act – approvata dal Congresso statunitense nel 2018, che doveva servire a limitare il traffico sessuale online rendendo i gestori delle piattaforme responsabili dei contenuti, ma che di fatto ha marginalizzato ulteriormente i/le sex worker che siano quelle stesse piattaforme per farsi pubblicità e lavorare. Insomma, è legittimo chiedersi se con la scusa della difesa dei bambini non si vogliano portare avanti idee politiche reazionarie e pericolose. 

In ogni caso, due cose possono essere vere allo stesso tempo. Se da un lato Pornhub ha problemi evidenti, riconosciuti dagli stessi performer, dall’altro l’articolo del New York Times è fazioso sotto vari punti di vista. Il cambiamento delle linee guida è però un’ottima notizia, festeggiata dallo stesso mondo del sex work che chiedeva da tempo modifiche di questo tipo – fosse anche solo per evitare i danni causati dalla pirateria e dal furto di contenuti. “Possiamo essere felici per alcune delle modifiche di PornHub e infastidite da ciò che le ha causate?” ha scritto su Twitter la pornostar Casey Calvert. “È da anni che chiediamo che siano permessi solo caricamenti verificati”.

Dall’altro lato, però, è una vittoria probabilmente ottenuta sotto la pressione di fanatici religiosi e conservatori, che di certo non si placheranno – anzi continueranno con ancora più forza la loro battaglia per stigmatizzare il porno in generale, che è il loro vero bersaglio dietro la preoccupazione per il traffico sessuale o gli abusi su minori.