Rolling Stone Italia

Cosa c’è dietro la teoria del coronavirus in laboratorio

La tesi dell'origine naturale del virus è ancora la più probabile. Quella secondo cui sarebbe fuggito da un laboratorio, invece, comincia a fare comodo a tanti - perché permette di chiudere un occhio sulla distruzione dell'ambiente naturale e sugli errori nella gestione della pandemia

HECTOR RETAMAL/AFP via Getty Images

La querelle su chi abbia aperto il vaso di Pandora del Covid-19, se la natura o l’uomo, è una questione che infuria dalle primissime settimane dell’epidemia ma che ultimamente ha avuto una svolta un po’ inaspettata.

Se per tutto quest’anno l’ipotesi della fuga da un laboratorio di Wuhan era stata considerata poco più di una bufala razzista spinta dall’amministrazione Trump, negli ultimi giorni la musica sembra cambiata: Biden dà 90 giorni alla sua intelligence per fare chiarezza, Facebook smette di segnalare come fake news i post che sostengono questa teoria e il Washington Post, che 15 mesi fa aveva accusato il senatore Tom Cotton di diffondere idee complottiste, corregge espressamente il tiro.

Fanno discutere anche le dichiarazioni del celebre virologo Anthony Fauci, in realtà piuttosto blande: “Poiché non sappiamo al 101% quale sia l’origine, è imperativo controllare e condurre un’indagine”. Fatto sta che l’ipotesi della fuga dal laboratorio, da complottismo fantascientifico degno de L’ombra dello scorpione di Stephen King, è diventata un’opinione perfettamente legittima sui media e nel dibattito pubblico. A tratti la più caldeggiata. Cosa è successo? Sono emerse nuove strabilianti evidenze scientifiche? Non sembrerebbe proprio.

Già a marzo si era tornati a parlare della teoria del lab leak ma solo perché le indagini condotte dall’OMS a Wuhan l’avevano giudicata l’ipotesi meno probabile tra quelle investigate per spiegare le origini del virus. Qualche giorno fa invece a riaprire il dibattito è stata un’inchiesta del Wall Street Journal – che riprende un rapporto dell’intelligence statunitense – secondo cui tre virologi di un laboratorio di Wuhan avrebbero manifestato sintomi compatibili con il Covid-19 (ma anche con il raffreddore) già a novembre del 2019.

Nulla di sconvolgente o di decisivo, dunque. Ma il fatto che nella stessa Wuhan, a poche centinaia di metri dal wet market considerato l’epicentro del primo focolaio ci sia un laboratorio di virologia è una coincidenza troppo succosa, che solletica molti, e infatti un amante delle teorie del complotto come Donald Trump aveva deciso di sposare la causa prima ancora che la tesi prendesse forma. 

Tanto per fare chiarezza: che il virus sia stato creato espressamente in laboratorio e/o che sia stato diffuso intenzionalmente non lo pensa quasi nessuno. Le teorie prese in considerazione sono due: che il virus sia passato naturalmente dalla fauna selvatica alle persone oppure che fosse in fase di studio in un laboratorio, dal quale sarebbe “fuggito” per errore. 

Di punti ancora da chiarire nella teoria “naturalista” ce ne sono molti: per esempio non si sa ancora quale animale abbia svolto la funzione di “ospite intermedio” favorendo il passaggio dal pipistrello all’uomo. Alcune personalità che la sostengono, inoltre, come Peter Daszak, hanno dalla loro interessi che ne minano l’obiettività scientifica. Ma lo stesso si può dire anche della ben meno documentata tesi dell’incidente di laboratorio.

In un articolo del 28 maggio 2021, per esempio, il Daily Mail ha pubblicato “in esclusiva” alcune parti dello studio di Birger Sørensen e Angus Dalgleish, che in realtà era in circolazione da parecchi mesi, con questo titolo: “Esclusivo: Non c’è un progenitore naturale credibile del virus”. Solo che il paper in questione è per lo più speculativo e privo di prove scientifiche e soprattutto lo stesso Sørensen, in un’intervista con la testata norvegese Minerva, ha ammesso senza farsi problemi che il suo studio era una maniera per ottenere visibilità e quindi finanziamenti per la sua società impegnata nello sviluppo di vaccini. In pratica ha ammesso di aver fatto ciò che fanno in molti: cavalcare la narrazione dello studio scomodo che nessuno vuole pubblicare perché contrario alla verità ufficiale per farsi pubblicità.

Interessi diversi ma sempre molto distanti dalla salute pubblica avevano guidato anche l’operazione “Yan Report”, lo studio della virologa Li Meng Yan con il quale si è cercato di dimostrare appunto che il Sars-Cov-2 è stato creato in laboratorio. Il testo è stato definito inconsistente dall’intera comunità scientifica ed è risultato anche spinto politicamente per sostenere la retorica anti-cinese molto cara all’amministrazione Trump.

Quindi non sappiamo ancora nulla? Le due tesi si equivalgono? Anche questo non è esatto. Non abbiamo la certezza assoluta ma l’ipotesi dello spillover naturale ha alle spalle, oltre al report dell’OMS, molti studi credibili. È il caso poi di non dimenticare che la SARS (causata dal SARS-CoV-1) era apparsa per la prima volta in Cina nel 2002 ma solo nel 2017 sono stati individuati gli animali che hanno permesso il salto di specie: prelibatezze da wet market come il pipistrello e lo zibetto.

In questo ritorno di interesse per la teoria dell’incidente di laboratorio gli spunti scientifici sembrano nettamente inferiori a quelli politici. Salta fuori un rapporto dell’intelligence, Biden chiede a suoi agenti di indagare e le “spie britanniche” dicono la loro definendo la teoria del laboratorio plausibile, come se fosse normale che a condurre le indagini su questioni di salute pubblica siano i servizi segreti dei vari stati e non la comunità scientifica internazionale. Con questa mossa Biden dimostra di non voler segnare un cambio di rotta così definitivo rispetto ai quattro anni di Trump: la Cina rimane il nemico esterno, un nemico economico che in questo caso è anche un capro espiatorio ideale. 

Ecco perché la tesi del virus fabbricato in laboratorio è preoccupante: perché è una tesi troppo comoda per troppe persone. Distoglie l’attenzione dallo sfruttamento selvaggio delle ultime isole naturali, uno sfruttamento che mentre estrae materie prime estrapola dall’habitat anche nuove malattie. Distrae dal commercio indiscriminato degli animali selvatici, che riguarda sì Cina e Sud-Est asiatico ma anche i Paesi occidentali. E invita ancora una volta a distogliere lo sguardo dalla distruzione degli ecosistemi con tutto ciò che comporta.

Non solo: l’ipotesi del laboratorio inizia a piacere molto ai vari leader occidentali perché li assolve dalle possibili critiche che si potrebbero avanzare sulla loro gestione della pandemia e sulle mancate attività di prevenzione – perché, ricordiamolo, la comunità scientifica ci mette in guardia dal rischio di pandemie da diversi anni. E li mette al riparo dal duro impegno necessario per risolvere cause sistemiche che non possiamo più permetterci di ignorare.

Iscriviti