Come un sacerdote ha trasformato l’invasione di Putin in una guerra santa | Rolling Stone Italia
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Come un sacerdote ha trasformato l’invasione di Putin in una guerra santa

Perché la collaborazione tra Putin il patriarca Kirill di Mosca, capo della Chiesa Ortodossa Russa, ha gettato le basi ideologiche e teologiche dell’invasione in corso

Come un sacerdote ha trasformato l’invasione di Putin in una guerra santa

Sasha Mordovets/Getty Images

Due giorni prima di lanciare una sanguinosa offensiva per invadere l’Ucraina, il presidente russo Vladimir Putin si è seduto da solo di fronte a una telecamera e ha pronunciato un discorso farfugliante di un’ora. Ha delineato la giustificazione ideologica di quella che sarebbe stata la sua “operazione militare speciale” in Ucraina: una vera e propria invasione che, a detta di Putin, aveva molto a che fare con la religione.

«L’Ucraina è una parte inalienabile della nostra storia, della cultura e della dimensione spirituale», ha dichiarato.

Un paio di giorni dopo, il patriarca Kirill di Mosca, capo della Chiesa Ortodossa Russa, ha parlato ai leader militari russi e ha reso una dichiarazione pubblica per celebrare la Giornata dei Difensori della Patria. Il prelato si è congratulato con Putin per l’«elevato e responsabile servizio reso al popolo russo», ha dichiarato che la Chiesa ortodossa russa ha «sempre cercato di dare un contributo significativo all’educazione patriottica dei cittadini» e ha lodato il servizio militare definendolo «una manifestazione pratica dell’amore evangelico per il prossimo».

Nel giro di poche ore, poi, le bombe hanno cominciato a piovere sull’Ucraina.

Questa escalation religiosa verso la guerra è stata il culmine di uno sforzo decennale per ammantare di fede le ambizioni geopolitiche della Russia: in particolare con gli ampi paramenti della Chiesa Ortodossa Russa. Fondendo religione, nazionalismo, valori conservatori che equiparano il matrimonio tra persone dello stesso sesso al nazismo e una visione della storia che definisce l’Ucraina e le altre nazioni vicine come semplici sottoinsiemi di un più grande “Russkiy Mir” (il “Mondo Russo”), la collaborazione tra Putin e Kirill ha gettato le basi ideologiche e teologiche dell’invasione in corso.

Ma mentre le bombe continuano a devastare l’Ucraina, alcuni in seno alla Chiesa stanno iniziando a opporsi agli appelli religiosi di Putin e Kirill, rifiutando i tentativi di dipingere la palese aggressione russa come qualcosa di molto simile a una guerra santa.

La partnership di Putin (69 anni) e Kirill (75 anni) è iniziata intorno al 2012, quando il politico è stato rieletto per un terzo mandato presidenziale. In quel momento Putin ha iniziato ad avvicinarsi molto alla Chiesa Ortodossa Russa: non necessariamente per via di una conversione, ma più che altro perché questa era una leva per accrescere la propria influenza politica (ciò che gli analisti di politica estera spesso chiamano “soft power”).

Il rapporto tra il presidente e il prelato in breve tempo è divenuto molto stretto. Kirill, presumibilmente un ex membro dello staff del KGB come Putin, ha salutato la leadership del presidente della Federazione Russa come un «miracolo di Dio». Nel frattempo Putin ha lavorato per promuovere l’immagine della Russia come Stato difensore dei valori cristiani conservatori, il che solitamente si traduceva nell’opporsi all’aborto, al femminismo e ai diritti LGBTQ. Queste idee si sono rivelate popolari presso una vasta fascia di leader cristiani conservatori, comprese alcune voci di spicco della destra religiosa americana. Nel febbraio 2014, il predicatore Franklin Graham, in un editoriale pubblicato su Decision Magazine, ha cautamente lodato Putin manifestando il proprio appoggio alla sua decisione di promuovere una legge per vietare la diffusione di «propaganda a favore delle relazioni sessuali non tradizionali»: una normativa, hanno sostenuto gli attivisti, che impediva di fatto ai bambini di avere accesso a media che affrontassero l’identità di genere e le relazioni LGBTQ in una luce positiva o normale. Graham, l’anno seguente, si è poi recato in Russia, dove ha incontrato sia Kirill che Putin e ha dichiarato ai media locali che «milioni di americani vorrebbero vedere Putin in lizza per la carica di presidente degli Stati Uniti».

Nel 2017, Politico già definiva la Russia come «la nazione leader della destra cristiana mondiale».

L’impatto di questa strategia diplomatica religiosa è stato ancora più forte nelle nazioni dell’Europa orientale che un tempo facevano parte dell’Unione Sovietica, ovvero quelle dove la Chiesa Ortodossa Russa e i suoi alleati godono ancora di un’influenza enorme. Quando la Moldavia ha cercato di creare legami più forti con l’Europa, i prelati ortodossi che agivano secondo le indicazioni del Patriarcato di Mosca hanno montato una campagna di reazione e addirittura un vescovo è arrivato a dichiarare al New York Times, nel 2016: «Per me, la Russia è la vera custode dei valori cristiani». Le cose erano simili in Montenegro, dove la Chiesa Ortodossa Serba aveva uno stretto rapporto con il Patriarcato russo: lì i sacerdoti hanno preso posizioni contrarie ai piani governativi di aderire alla NATO, e lo scorso anno i vertici ortodossi russi hanno criticato aspramente i leader politici del Montenegro per il loro programma di adesione all’Unione Europea.

Kirill ha a lungo perpetuato una versione della storia secondo cui i tanti Paesi che componevano l’ex Unione Sovietica costituirebbero un popolo con una comune origine religiosa: vale a dire, il battesimo del X secolo del principe Vladimir I di Kiev, noto come San Vladimir. Questo concetto è spesso associato a una visione geopolitica (e georeligiosa) che centinaia di teologi e studiosi ortodossi recentemente hanno bollato come un’eresia: cioè che esista una «sfera o civiltà russa transnazionale, chiamata Santa Russia o Santa Rus’, che comprende Russia, Ucraina e Bielorussia (e talvolta Moldavia e Kazakistan), ma anche russi etnici e persone di lingua russa in tutto il mondo».

È un’idea, secondo gli studiosi, che allude a un mondo russo che ha Mosca come centro politico, Kiev come cuore spirituale e Kirill come leader religioso.

«Voglia Dio che il Patriarcato di Mosca, che ci unisce non sul piano politico, non sul piano economico, ma sul piano spirituale, possa essere preservato per prendersi cura di tutte le etnie unite nella grande Rus’ storica», ha detto Kirill nel 2018.

Ma gli argomenti religiosi e politici della Russia si sono scontrati contro un muro di gomma in Ucraina, dove le proteste (appoggiate, in alcuni casi, anche dai prelati ortodossi) hanno respinto un governo filorusso nel 2013 e nel 2014, provocando così l’annessione della penisola di Crimea da parte di Putin. E la frustrazione nei confronti della Russia ha sconfinato anche in campo religioso, esacerbando un divario esistente tra la Chiesa Ortodossa Russa e la Chiesa Ortodossa con sede a Costantinopoli: nel 2018, molti dei cristiani ortodossi ucraini hanno dichiarato l’indipendenza dal Patriarcato di Mosca. Kirill ha rifiutato di riconoscere questa nuova entità, ma la Chiesa Ortodossa di Costantinopoli, guidata dal patriarca Bartolomeo, l’ha fatto. Questo scisma ha rappresentato un tale pericolo per gli interessi della Russia che gli hacker legati al Cremlino hanno risposto violando gli account e-mail degli aiutanti di Bartolomeo.

E poi è arrivato il 2022, con l’aperto sostegno alla guerra in Ucraina. Poco dopo l’inizio dell’invasione, Kirill ha rilasciato una dichiarazione lanciando un vago appello per la pace e chiedendo a tutte le parti di limitare le vittime civili. Ma l’arcivescovo Daniel, capo della Chiesa Ortodossa Ucraina degli Stati Uniti, che è fedele a Kiev, ha denunciato quell’uscita bollandola come il discorso di un «politico religioso» e ha respinto l’appello di Kirill a fare riferimento a una «storia secolare comune» radicata nel battesimo di San Vladimir.

«Penso che sia un errore affermare che condividiamo lo stesso vostro background etnico», ha detto Daniel. «È una dichiarazione sbagliata. E vorrei che i leader religiosi correggessero quella terminologia quando Kirill la utilizza».

La retorica di Kirill, da allora, non ha fatto che andare in escalation. Ha chiamato gli avversari dei russi in Ucraina «forze del male» e ha pronunciato un sermone, il 6 marzo, in cui suggeriva che l’invasione faceva parte di una più ampia lotta «metafisica» contro i valori immorali occidentali (leggi: liberali).

«Oggi ci stanno mettendo alla prova per verificare la nostra lealtà a questo nuovo ordine mondiale, una sorta di passaggio a quel mondo “felice”, il mondo del consumismo esagerato, il mondo della falsa libertà», ha detto Kirill. «Sapete in cosa consiste il test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è la parata del Gay Pride».

Questa è una sorta di sublimazione di una tesi che Kirill ha propugnato per anni, opponendo ai valori occidentali quelli del presunto mondo russo. Per Kirill la radice risiede nel sentimento anti-LGBTQ: ha suggerito che l’accettazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso sarebbe un «pericoloso segno dell’apocalisse». E in un’occasione ha dato la colpa per l’ascesa dell’ISIS al tentativo di sfuggire alle società occidentali “atee” che sostengono le parate del gay pride.

Per quanto riguarda la sua posizione a riguardo del conflitto in corso, Kirill ha donato un’immagine della Vergine Maria al leader della Guardia Nazionale russa, Viktor Zolotov. «Lasciate che questa immagine ispiri i giovani soldati che prestano giuramento e prendono la strada della difesa della Patria», ha detto Kirill.

Eppure questa volta, dopo anni in cui Kirill ha utilizzato la fede come strumento per accumulare potere, il suo appoggio alla guerra potrebbe finire per costargli caro a livello di influenza. Alcune reazioni negative sono arrivate da chi ci si poteva aspettare: la sua retorica, infatti, ha innescato una risposta immediata da parte dei cristiani ortodossi la cui leadership risiede a Kiev, con un prelato che addirittura ha definito Kirill “screditato” e ha paragonato Putin all’anticristo.

Ma alcune richieste di cambiamento arrivano anche dall’interno. Il metropolita di Kiev, che rappresenta i fedeli ancora legati alla Chiesa Ortodossa Russa in Ucraina, ha immediatamente reagito all’invasione definendola «un disastro» e una «replica del peccato di Caino, che ha ucciso suo fratello per invidia». Molti dei suoi sacerdoti nel Paese, da quel momento, hanno smesso di commemorare Kirill durante il culto e alcuni hanno persino chiesto al metropolita di Kiev di considerare l’ipotesi di allontanarsi dalla Chiesa Ortodossa Russa, con suo grande dispiacere.

Al di fuori dell’Ucraina, più di 280 sacerdoti ortodossi russi (la maggior parte dei quali operano in Russia) hanno recentemente firmato una petizione che condanna l’invasione “fratricida” e ribadisce il diritto dell’Ucraina all’autodeterminazione. Uno dei firmatari è poi stato arrestato in Russia dopo aver pronunciato un sermone in cui criticava la guerra. Le autorità l’hanno accusato di «screditare le forze armate».

Nel frattempo, l’Arcivescovo delle Chiese Ortodosse Russe in Europa occidentale ha pubblicamente implorato Kirill di alzare la voce con le autorità russe contro quella «guerra mostruosa e insensata», rifiutando anche la caratterizzazione del conflitto come una battaglia «spirituale». «Con tutto il rispetto che vi è dovuto, e dal quale non mi allontano, ma anche con infinito dolore, devo portare alla vostra attenzione che non posso sottoscrivere una tale lettura del Vangelo», si legge nella lettera dell’arcivescovo.

Inoltre almeno una Chiesa Ortodossa, ad Amsterdam, si è mossa per staccarsi dalla casa madre russa a causa della posizione di Kirill sul conflitto in Ucraina, sperando di affiliarsi al patriarcato ecumenico di Bartolomeo di Costantinopoli. Questo nonostante una visita intimidatoria da parte di un arcivescovo russo: il prelato, giunto in auto direttamente dall’ambasciata sovietica, ha detto ai sacerdoti che il Patriarcato di Mosca e il Ministero degli Esteri russo li stanno tenendo d’occhio.

«Non possiamo tornare sulla nostra decisione di prendere le distanze dal patriarca Kirill”», si legge in una dichiarazione dei sacerdoti. «La nostra coscienza non lo permetterà».

Resta da vedere se queste, unite ad altre iniziative, spingeranno Kirill a cambiare rotta dopo anni di attività in consonanza con Putin. La spinta del presidente russo a continuare la guerra rimane forte, così come il suo ricorso alla retorica religiosa: in una recente manifestazione, Putin ha elogiato le truppe russe facendo eco a Kirill e ha parafrasato la Bibbia, dicendo: «Non c’è atto d’amore più grande che dare la propria anima per gli amici».

Comunque la pressione su Kirill proveniente dagli ambienti religiosi sembra essere sempre forte. Papa Francesco ha avuto un incontro con lui per discutere del conflitto e ha tenuto a metterlo in guardia dal tentativo di giustificare l’invasione armata, l’espansione o la creazione di un impero sotto il segno della croce cristiana: un argomento di cui la Chiesa Cattolica sa qualcosa.

«Un tempo anche nelle nostre chiese si parlava di guerra santa o di guerra giusta», ha detto Francesco a Kirill, secondo l’ufficio stampa del Vaticano. «Oggi non possiamo più parlare così».

Questo articolo è stato tradotto da Rolling Stone US