Nelle ultime ore alcuni giornali stanno dando risalto a una questione importante: capire a che destino andranno incontro gli account istituzionali del governo afghano, ora che il paese è in mano ai talebani e sta per trasformarsi in un Emirato. Infatti, secondo alcuni analisti, concedere al gruppo l’accesso ai profili Facebook e Twitter governativi equivarrebbe, di fatto, a incentivare una sorta di legittimazione del loro controllo sul paese.
Gli account in qualche modo legati al governo afghano dimissionario sono molteplici e possono contare su platee considerevoli: basti pensare alla pagina Facebook dedicata all’ambasciata afghana a Washington o al profilo Twitter del Ministero della Difesa afghano. Questi profili hanno un seguito considerevole, pari a circa un milione di follower in totale: un vasto pubblico che costituisce una cassa di risonanza importante per la propaganda talebana, che vuole impossessarsi rapidamente di questi megafoni per consolidare la propria leadership; la possibilità di utilizzare i canali precedentemente in possesso del governo afghano potrebbe conferire ai contenuti postati dai talebani un’aura di legittimità e rispettabilità attualmente impensabile – un post condiviso da un account di un comandante talebano non avrà mai la stessa eminenza di uno pubblicato da un’alta carica istituzionale, come ad esempio il Ministro della Difesa di una nazione – in particolare in un’epoca in cui gli utenti hanno mostrato poca capacità di analizzare in modo critico ciò che viene condiviso online.
Il tema è emerso anche martedì, durante la prima conferenza stampa dei talebani dopo la conquista di Kabul, quando il portavoce del gruppo Zabihullah Mujahid ha criticato Facebook per il suo atteggiamento censorio, accusando il colosso di Menlo Park di aver colpevolmente limitato la libertà d’espressione del gruppo islamista scegliendo di bannarlo da tutte le sue piattaforme, WhatsApp e Instagram comprese; un atteggiamento che, secondo Mujahid, non farebbe onore a un’azienda “che si dice promotrice della libertà di parola”.
La società di Mark Zuckerberg ha infatti istituito un team di esperti afghani dedicato alla rimozione di contenuti legati ai talebani, che per anni hanno usato i social per diffondere i loro messaggi propagandistici e irrobustire la propria narrazione. Intervistato dal Washington Post – e senza rispondere direttamente alla provocazione di Mujahid – Andy Stone, un portavoce di Facebook, ha dichiarato che “I talebani sono riconosciuti come organizzazione terroristica dalla legge degli Stati Uniti e sono banditi dai nostri servizi in quanto organizzazioni pericolose. Questo significa che rimuoviamo gli account gestiti da o per conto di talebani e vietiamo ogni attività di supporto o rappresentanza” del loro movimento.
Tuttavia, ha proseguito Stone, “Facebook non si arroga il diritto di prendere decisioni sul governo riconosciuto in nessun paese particolare, conformandosi all’orientamento della comunità internazionale”. Si attende, quindi, di comprendere quale sarà la linea d’azione dell’azienda nel caso in cui la cabina di regia dei talebani dovesse essere riconosciuta nei prossimi mesi come governo legittimo dell’Afghanistan.
Di sicuro, un eventuale passo indietro da parte della compagnia genererebbe non pochi malumori in una parte di opinione pubblica americana, in particolare quella più conservatrice e reazionaria, che da mesi porta avanti un’accesa attività di protesta contro la decisione dell’Oversight Board, che a maggio ha confermato la sospensione degli account Facebook e Twitter di Donald Trump, giudicandoli come fattori destabilizzanti per la sicurezza pubblica in seguito ai fatti di Capitol Riot – una polemica già intrapresa dal figlio del tycoon che, con un tweet, ha sostanzialmente appoggiato la “battaglia anti-censura” dei talebani.
Più in generale, durante tutte le fasi dell’avanzata dei Talebani in Afghanistan le aziende di Zuckerberg hanno prestato il fianco a qualche ambiguità, mettendo in mostra tutti i loro cortocircuiti logici; basti pensare a quanto accaduto nel caso di WhatsApp: un’inchiesta condotta da VICE ha dimostrato come i Talebani abbiano utilizzato l’app per diffondere la loro propaganda e guadagnare il consenso dei cittadini locali e come sia sostanzialmente impossibile bannarli dal servizio, dato che i loro messaggi non possono essere intercettati per via della crittografia end-to-end – ossia un sistema di comunicazione cifrata nel quale solo le persone che stanno comunicando possono leggere i messaggi.
La situazione di Twitter, il social largamente più utilizzato dal gruppo, è ancora più delicata: in passato la piattaforma ha consentito a diversi account talebani di postare contenuti regolarmente sul sito, e continua a permettere al portavoce del gruppo, Zabihullah Mujahid, di comunicare regolarmente con i suoi oltre 300mila follower, incluso l’ormai celebre tweet di lunedì in cui assicurava che “La situazione a Kabul è sotto controllo”.