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Come il vaccino AstraZeneca è diventato un caso politico

Dall'efficacia "al 65%", ai ritardi nelle consegne, al blocco: fin da subito oggetto di critiche e di una cattiva pubblicità, il vaccino AstraZeneca è diventato una questione più politica che medica

Come il vaccino AstraZeneca è diventato un caso politico

Daniel Karmann/picture alliance via Getty Images

Fino a giovedì, quando si pronuncerà l’EMA, le vaccinazioni con il vaccino anti-Covid sviluppato da AstraZeneca sono state bloccate in quasi tutta Europa. E di fronte al blocco c’è un’unica domanda possibile: perché? Perché nel bel mezzo della terza ondata della pandemia, e con una media di oltre 300 morti al giorno, si è smesso di somministrare un farmaco salva vita? Il motivo non è chiaro.

Ufficialmente la decisione è stata presa per via di alcuni casi di trombosi – una patologia per cui nel sistema circolatorio si forma un grumo di sangue, detto anche trombo – in persone appena vaccinate. Ma i numeri dicono chiaramente che non c’è stato alcun aumento dei casi di questa malattia: gli episodi di trombosi tra chi ha ricevuto il vaccino AstraZeneca in Europa sono 30 su 5 milioni di vaccinati, un dato perfettamente in linea con la normale incidenza di questa patologia. 

Nel Regno Unito, che è la nazione dove il vaccino di AstraZeneca è stato sviluppato, ci sono stati 45 casi di trombosi su oltre 11 milioni di vaccinati – anche in questo caso un dato in linea con la normale incidenza della malattia. In Germania ci sono stati invece 7 casi di un tipo di trombosi cerebrale rara dove statisticamente ce ne sarebbe dovuto essere solo uno, ma si tratta comunque di numeri così piccoli che è impossibile valutare la portata dell’oscillazione statistica. Sempre nel Regno Unito, invece, i casi di trombosi tra i vaccinati con un altro vaccino di cui nessuno dubita, quello Pfizer, sono stati 48, quindi tre in più. Eppure a essere sospeso è stato solo il vaccino di AstraZeneca.

Il dubbio, quindi, è che la decisione degli stati europei sia stata puramente emotiva. I casi di trombosi, infatti, per quanto ne sappiamo non sono avvenuti a causa delle vaccinazioni, ma semplicemente dopo di esse. In questi casi in statistica si usa dire che “correlazione non significa causalità”. Ma allora torna la domanda: perché decidere di fermare le vaccinazioni?

Lasciamo stare per un attimo i numeri e le statistiche e guardiamo al ruolo che ha avuto l’informazione allarmista in questa vicenda: il primo caso di trombosi a essere segnalato dai giornali come “sospetto” (un termine improprio, visto che di elementi per sospettare non ce ne sono) è quello di una donna danese di 60 anni che dopo il vaccino ha avuto una trombosi e per questo è deceduta. La Danimarca ha immediatamente sospeso le vaccinazioni con quel lotto di AstraZeneca, così altre nazioni europee che avevano ricevuto parti dello stesso lotto hanno deciso di fare lo stesso.

Da questo momento in poi si è accesa una particolare attenzione mediatica su qualsiasi caso di trombosi tra i vaccinati – è successo anche in Italia con un caso in Piemonte, e la regione che ha deciso autonomamente di sospendere le vaccinazioni. Così, a catena, quasi tutti gli stati hanno sospeso le vaccinazioni con AstraZeneca parlando di “verifiche” e “cautele”. Sembra la storia di un panico generalizzato e alimentato dai toni allarmistici dei media, più che quella di un farmaco che si dimostra pericoloso. E così si arriva alla sospensione in tutta Europa.

Ma oltre al panico alimentato dai giornali e dai social che hanno strumentalizzato dei singoli episodi, c’è un altro elemento che ha messo in cattiva luce il vaccino AstraZeneca – la sua politicizzazione. Il vaccino sviluppato dall’università di Oxford, infatti, è stato fin da subito oggetto di critiche e di una cattiva pubblicità, direttamente per bocca di importanti leader europei.

Lo scorso 29 gennaio, il giorno in cui è stato approvato dall’EMA, il presidente francese Macron aveva dichiarato che era “quasi inefficace” per le persone oltre i 65 anni – cosa evidentemente falsa. Macron aveva parlato così perché durante la sperimentazione di AstraZeneca ci sono stati due casi di persone sopra i 65 anni che si sono infettate, ma al massimo si dovrebbe parlare di dati insufficienti, non di inefficacia. Eppure, da quel momento diversi Paesi europei – Francia, Austria, Svezia, Danimarca, Norvegia, Polonia, Olanda e per un certo periodo anche l’Italia – hanno evitato di somministrare il vaccino AstraZeneca ai più anziani. Che però, va ricordato, sono proprio quelli che del vaccino hanno più bisogno. 

Lo scetticismo nei confronti del vaccino di AstraZeneca è proseguito, spinto soprattutto dall’irresponsabilità di alcune testate giornalistiche – che in più casi hanno titolato in modo allarmista usando l’amo del gossip, o hanno parlato di “sospetti” infondati. In più casi si è parlato del vaccino come “efficace al 65%”, facendo intendere che AstraZeneca protegga solo 65 casi su 100, quando invece si tratta della percentuale di chi non ha nessun sintomo dopo la vaccinazione. Il vaccino, infatti, non serve a non aver nessun sintomo, ma ad averne di più leggeri e non mortali. E in altri casi, aziende private hanno esortato i loro dipendenti a vaccinarsi usando il vaccino AstraZeneca come uno spauracchio, come fosse una sfortuna o una punizione rispetto agli altri disponibili: “vaccinatevi o vi tocca AstraZeneca”.

Anche i ritardi di AstraZeneca nella consegna delle dosi hanno contribuito a fare dell’azienda un bersaglio di una sfiducia generalizzata. Gli attriti con l’Unione Europa, nati perché la casa farmaceutica ha rivisto più volte al ribasso il numero di dosi destinate all’UE, hanno agevolato la narrazione, tanto generica quanto nociva, per cui “di AstraZeneca non c’è da fidarsi”.

Una data importante nella politicizzazione del vaccino è poi il 9 marzo scorso, quando il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha pubblicato una nota in cui difendeva il piano vaccinale europeo, sottolineando come l’Unione si sia dimostrata altruista e inclusiva mentre “il Regno Unito e gli Stati Uniti hanno imposto un divieto assoluto all’esportazione di vaccini o componenti di vaccini prodotti sul loro territorio”. Il Regno Unito ha subito respinto le accuse, ma Michel ha insistito invitando il governo di Boris Johnson a pubblicare i dati sulle esportazioni.

È impossibile dire se questa progressiva crescita della sfiducia verso AstraZeneca, fomentata da testate giornalistiche e politici, abbia contribuito al blocco preventivo delle vaccinazioni – i cui effetti, intanto, sono già evidente: in Italia lunedì c’è stato un calo significativo delle vaccinazioni, con solo 125mila somministrazioni totali contro le oltre 200mila giornaliere dei giorni precedenti. Potrebbe anche darsi che la cautela sia motivata dalla volontà delle istituzioni di garantire la completa sicurezza del vaccino AstraZeneca. Ma in questo caso dovremmo comunque considerare che tre giorni di ritardo sulle vaccinazioni significano tre giorni di ritardo nel sconfiggere la pandemia e quindi, a questi ritmi, circa mille morti in più. Senza contare che interrompere la somministrazione di un vaccino equivale a dare un messaggio allarmante e diffondere l’idea che i vaccini siano pericolosi.