Come il Ponte sullo stretto di Messina è diventato l'ossessione fantozziana della politica italiana | Rolling Stone Italia
Infrastrutture utopiche

Come il Ponte sullo stretto di Messina è diventato l’ossessione fantozziana della politica italiana

Da Craxi a Di Maio, da Berlusconi a Renzi, fino a Salvini, che ieri ha parlato di una «giornata storica»: la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina un'ossessione che affonda le sue radici in tempi lontani. Tra studi preliminari e progetti, l'opera che non esiste è già costata 350 milioni di euro.

Come il Ponte sullo stretto di Messina è diventato l’ossessione fantozziana della politica italiana

Simulazione del ponte visto da Messina. Eric VANDEVILLE/Gamma-Rapho via Getty Images

Ieri il Consiglio dei Ministri ha approvato un decreto per ricostituire la società Stretto di Messina SPA, creata nel 1981 per costruire il ponte sullo Stretto di Messina e messa in liquidazione nel 2013. Salvini, che ha legato all’immaginario del ponte mai realizzato buona parte della sua comunicazione istituzionale, ha parlato di una «giornata storica». Di «giornate storiche» sfociate nel nulla, però, il ponte che non esiste ne ha vissute tantissime: ripubblichiamo questo pezzo che ripercorre la sua storia.

La politica italiana è prigioniera di un’ossessione che, col passare degli anni, ha finito per acquisire le forme di una specie di utopia fantozziana: la costruzione del Ponte sullo stretto di Messina. Ciclicamente, il tema torna a fare capolino nell’agenda politica dei governi, riuscendo a monopolizzare l’attenzione mediatica per un breve periodo di tempo, salvo poi venire riposto nel dimenticatoio in attesa di più fortunata sorte.

L’anno scorso, a rinverdire l’antico dibattito ci hanno pensato Lega, Italia Viva e Forza Italia che hanno dato vita all’intergruppo parlamentare “Ponte sullo Stretto. Rilancio e sviluppo italiano che parte dal sud”, ossia “un’alleanza finalizzata allo sviluppo infrastrutturale italiano partendo dal Meridione che, capovolgendo il paradigma, è inteso come espressione di potenzialità socio-economiche”. L’iniziativa ha incontrato il veto severo del Movimento 5 Stelle, che ha parlato di “un’insistenza miope” dal retrogusto di “amarcord anni Ottanta”.

Nulla di strano, verrebbe da dire: da dieci anni, il M5S non perde occasione per presentarsi agli occhi dei suoi elettori come il più feroce oppositore alla realizzazione dell’opera, facendo leva sulla sua inutilità e giungendo a definirla una “presa per il culo”. Una contrarietà simboleggiata dall’ormai storica traversata di Beppe Grillo, che nel 2012, con uno stile libero un po’ grossolano, attraversò a nuoto i tre chilometri che separano la Calabria dalla Sicilia per sottolineare una volta di più l’inconcludenza del progetto.

Un’opposizione radicale e integerrima, dunque; almeno, così sembrava fino alla scorsa settimana. Intervistato da La Stampa, il sottosegretario al ministero delle Infrastrutture Giancarlo Cancelleri, esponente del M5S, si è reso infatti portavoce di un inaspettato ribaltone, dichiarando di appoggiare la costruzione del Ponte e specificando che “La maggior parte delle forze politiche sono favorevoli” e che “Il presidente Conte nella sua nuova veste ha chiesto a noi del Movimento 5 Stelle di non affrontare questo tema con superficialità”.

Si tratta dell’ennesima conferma di una tendenza ormai consolidata: nonostante diversi studi abbiano evidenziato l’insostenibilità ambientale del progetto, quello del Ponte continua a essere uno dei tormentoni più imperituri della storia politica nostrana, radicato nell’immaginario collettivo a una profondità tale da essere riuscito nell’impresa di superare a pieni voti la prova del tempo, solleticando i sogni di gloria di almeno tre generazioni di classi dirigenti – quest’anno si celebra infatti il 50esimo anniversario della Stretto di Messina Spa, la società creata nel 1981 per dare avvio ai lavori di progettazione del Ponte. Non c’è un solo Presidente del Consiglio italiano – a prescindere dal colore politico – che non abbia pensato di consegnarsi alla storia come il costruttore dell’opera pubblica per antonomasia.

C’è chi addirittura ritiene che il mito fondativo del Ponte sullo stretto affondi le proprie radici in tempi antichi. Ad esempio, nel suo saggio Il mitico Ponte sullo stretto di Messina, Aurelio Angelini lo fa risalire alle guerre puniche, 250 anni prima della nascita di Cristo quando, secondo il geografo greco Strabone, i romani costruirono un collegamento di barche per portare sul continente un contingente di elefanti che avevano sottratto ai loro nemici cartaginesi. Tuttavia, al netto di alcuni proclami che si risolsero in un nulla di fatto – dal 1866, quando l’allora Ministro per i Lavori Pubblici Jaccini fece studiare una soluzione per l’attraversamento stabile dello Stretto di Messina, a Benito Mussolini che ipotizzò di costruirne il Ponte dopo la guerra – è soltanto con l’avvento della Prima Repubblica che la questione del Ponte sullo stretto si consolida come un frame narrativo costante.

In principio fu Bettino Craxi, che nel 1985, all’interno della sala delle Repubbliche Marinare di Palazzo Chigi, appose la propria firma sulla convenzione per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, davanti a numerosi ministri e alla nomenclatura siciliana. “Entro il 1994 il Ponte sullo Stretto sarà ultimato”, dichiarò in maniera solenne l’allora primo ministro. Più tardi, dopo il grande scossone di Tangentopoli, fu soprattutto Silvio Berlusconi a farsi portavoce della causa. Berlusconi è il politico che più di ogni altro ha posto enfasi sul tema della costruzione del Ponte, rendendosi protagonista di una serie di aneddoti dal sapore mitologico (secondo uno di questi, avrebbe personalmente gettato la prima pietra del Ponte esattamente in mezzo allo Stretto per non inimicarsi siciliani o calabresi scegliendo l’altra costa). Il primo annuncio ufficiale è datato 6 giugno 2002, quando il premier, al tempo alla sua seconda esperienza di governo, annunciò a un’opinione pubblica incredula la rigorosa tabella di marcia che avrebbe condotto alla realizzazione della grande opera: un investimento da 9000 miliardi di lire (“circa 4 miliardi di euro”, aggiungevano con un certo stupore i giornali) da spalmare in sei anni (dal 2004 al 2010) per “unire Scilla e Cariddi” attraverso un Ponte da “Guinnes dei primati”, lungo 3.360 metri e dal peso di più di 97mila tonnellate.

Dopo la breve esperienza del governo Prodi, fu di nuovo Berlusconi a rilanciare l’idea del Ponte sullo stretto, dando persino una scadenza: “il Ponte sullo Stretto sarà pronto nel 2017, niente e nessuno ne bloccherà la realizzazione” disse nel 2010 il ministro dei Trasporti Altero Matteoli, specificando che a pagarlo sarebbero stati “i capitali privati, non lo Stato”. Con l’insediamento del governo Monti però quel grande sogno era sembrato svanire: il nuovo governo non voleva proprio saperne del Ponte sullo stretto, tanto da stanziare 300 milioni di euro per pagare le penali dovute per la non realizzazione dell’opera.

A rianimare il sogno è stato l’arrivo di Renzi a Palazzo Chigi, con cui il movimento pro-Ponte ha vissuto una stagione di rinnovato vigore. Renzi ha impostato buona parte del suo storytelling sulla riunione di Scilla e Cariddi, non perdendo occasione per rilanciare “un’operazione che porti 100 mila posti di lavoro e serva a togliere la Calabria dall’isolamento e avere la Sicilia più vicina”, inserendola tra le priorità di un governo affamato di consensi in vista di una campagna referendaria costituzionale persa in partenza. Una volontà ben presente tuttora, come dimostra un inciso del suo ultimo libro, La mossa del cavallo, in cui l’ex premier scrive che “per vincere la sfida della povertà serve più il Ponte sullo stretto che il reddito di emergenza”

Neppure Giuseppe Conte, al suo picco di popolarità, è riuscito a sfuggire al confronto con la grande chimera della politica italiana. Dopo aver scelto di non esporsi per quasi due anni, l’avvocato del popolo ha rotto il silenzio nell’estate del 2020, quando ha dichiarato di “volersi sedere al tavolo senza pregiudizi” per vagliare la fattibilità dell’opera e riuscendo addirittura a ampliare i limitati orizzonti dei suoi predecessori, rispolverando una pista per lungo tempo accantonata, ossia quella tunnel sottomarino.

Negli scorsi giorni, i tecnici incaricati dal ministero dei Trasporti hanno stabilito che “sussistono profonde motivazioni per realizzare un attraversamento stabile”, abbandonando però la soluzione “a campata unica” – ossia senza sostegni nel mezzo – e ritornando a puntare su un’ipotesi “a più campate”, abbandonata da anni – lo Stretto è infatti così profondo che è quasi impossibile gettare nel mare i piloni di sostegno.Nel frattempo, mentre i proclami si ammassano, i costi continuano a lievitare: tra studi preliminari e progetti, il Ponte è già costato 350 milioni di euro. Mica male, per un luogo del mito.