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Come il coronavirus sta cambiando gli Stati Uniti

Scegliere tra la salute e pagare l'affitto, tra comprare la carta igienica e comprare le armi, tra credere a Donald Trump e riscoprire il senso dello Stato: i dilemmi degli americani visti da un italiano a Los Angeles

KENA BETANCUR/AFP via Getty Images

Sono italiano e vivo a Los Angeles, proprio mentre il coronavirus sta non solo uccidendo migliaia di persone ma anche distruggendo psicologicamente, economicamente, socialmente la vita di tutti. 

Prima l’ha fatto in Italia mentre qui noi di origini, amori e affetti italiani seguivamo la situazione quotidianamente, anche se da lontano, in religioso silenzio, impietriti da immagini che dovevano appartenere solo al mondo cinematografico e letterario. Non perché fossimo uomini di fede, ma perché avevamo capito che dopo sarebbe toccato a noi, che il virus sarebbe arrivato anche qui, a casa nostra, nonostante il governo sostenesse il contrario; nonostante le parole per niente rassicuranti di Mr. Orange aka Donald Trump aka il Potus Supremo a stelle e strisce, che avvertivano una popolazione di 320 milioni di persone che il tutto non era altro che una manovra politica dei democratici, un escamotage per le elezioni, una forte influenza che caso mai sarebbe evaporata nel nulla all’arrivo dei primi caldi. 

Forti di lezioni imparate sulla nostra pelle, noi cittadini abbiamo deciso che forse era meglio stare attenti, stare all’erta. E quindi ecco che noi italiani d’America siamo stati i primi a crederci, avendo padri, madri, sorelle, nipoti, cugini e zii in Italia; siamo rimasti incollati al televisore, ai giornali, ai video, alle immagini strazianti che tutti conosciamo. E soffrendo, abbiamo capito subito che c’era una lezione da imparare, c’erano indizi e regole da seguire per sopravvivere alla pandemia. Siamo stati investiti da un vocabolario che poco lasciava all’immaginazione, una “to do list” di cose da fare, e shut the fuck up. Maschere, guanti, tosse, sputi, isolamento, quarantena, distanziamento sociale, place in shelter, respiratori, dolori polmonari, decessi.

Tutto questo a partire dal 6 marzo 2020, dal primo travel ban di Trump che posto restrizioni ai viaggi da/verso la Cina, l’unica cosa positiva fatta da Trump fino adesso, anche se eseguita per altri motivi (leggi: guerra commerciale). Nel giro di 4-5 giorni, ecco i primi campanelli d’allarme non sentiti, gli avvertimenti non captati, i segnali non colti; nomi, persone ed eventi che quando ci si metterà a scrivere la storia di questi giorni, fra le nuove pagine della Costituzione americana, ci ricorderemo di tutto quello che abbiamo sentito e che loro non hanno registrato, a cui non hanno prestato attenzione. Per finire sulle spiagge aperte della Florida, ai giorni del carnevale di New Orleans, all’alta mortalità degli afro americani a Detroit, a Chicago, in Louisiana, in Michigan. Ai tweet di Trump che esorta a “liberare” alcuni Stati. 

Il 13 marzo, come Tom Cruise ne La guerra dei mondi, mi sono precipitato alla Irvine University (90 minuti di auto da Los Angeles) per andare a prendere mia figlia, smontare la sua stanza all’interno del campus e riportarla a casa. Il 19 marzo il governatore della California Gavin Newsom ha deciso la chiusura di ristoranti, bar, scuole e spiagge, e dal quel momento la gente ha cominciato a preoccuparsi per davvero. Poi abbiamo cominciato a sentire dei problemi di New York, delle prese di posizione di Andrew Cuomo contro Trump, dei primi casi, dei primi morti, delle prime mancanze e necessità. E parole come tamponi, respiratori, infetti, appiattimento curva, shelter in place, lockdown e recessione sono entrate pian piano nella mente di 10 milioni di losangelini. E con loro è entrata ala preoccupazione più importante, quella davanti alla quale nemmeno la morte fa paura: non ricevere lo stipendio, il paycheck, perder il lavoro qui dove circa il 40% dei lavoratori sono freelance nella gig economy, dove si vive da stipendio a stipendio, dove l’assillo primario, necessario, mentale, fisiologico è quello di pagare l’affitto e non finire in mezzo a una strada. 

Poi, a fine marzo: la guerra dei Governatori, i focolai in Louisiana, i ragazzi incoscienti in Spring Break in Florida, la speranza e rabbia per il pacchetto di stimoli economici del governo, il Presidente che si dichiara a favore alle marce e manifestazioni anti-quarantena per “liberare” gli Stati dalle restrizioni contro il virus, e il 20 aprile la chiusura totale dell’immigrazione. Che cosa verrà dopo? Chi lo sa. Intanto, dopo le ultime manifestazioni e l’idea di una guerra civile che comincia a farsi strada, eccomi qui a fare un recap degli ultimi episodi, come se tutto questo fosse una serie tv. 

DONALD TRUMP, IL POTUS

Premesso che Donald è – almeno secondo lui – il più bello, bravo buono e il più capace condottiero che l’America abbia mai visto, ricordiamoci che siamo in tempo di elezioni politiche, di promesse elettorali, e Trump non solo non ha colpe ma si è sempre rifiutato pubblicamente di prendersi responsabilità per le sue azioni contro il coronavirus, specialmente adesso che ha anche chiuso le frontiere. 

LA SICUREZZA, L’AFFITTO, LA VITA

I soldi e l’affitto sono i problemi numero uno, l’incolumità fisica e la salute fisica e psicologica sono i problemi numero due. Senza stipendio come fai a pagare l’affitto? E senza affitto sei per strada. Ergo niente stipendio niente futuro. E anche se ti dicono che puoi pagare 3-4 mesi d’affitto o di mutuo tutti insieme dopo la fine dell’emergenza, chi è che ha 7-8-9mila dollari in banca?

La crisi, il crollo mentale, la depressione, la sfiducia sono diventate cose comuni.  Da qualche giorno ci sono file di macchine in coda alle rispettive Food Banks di diverse città americane, Los Angeles compresa, per ricevere scatole di cartone contenenti pane, fagioli, uova, frutta e qualche forma di biscotto/dolce per i bambini. L’attesa in coda è di cinque ore. Sono immagini mai viste negli Stati Uniti, neanche ai tempi dell’Uragano Katrina. 

LA CARTA IGIENICA E LE ARMI

No, non è andata esattamente così. Non è vero che c’è stata la corsa ad accaparrarsi le armi. Visto che negli Stati Uniti esiste il Secondo Emendamento che rende possibile possedere e usare armi da fuoco, c’era sì chi andava a comprare la carta igienica e chi invece si riforniva di munizioni – complice il fatto che i negozi d’armi sono stati classificati come “essenziali” grazie alla potente lobby del settore, la NRA. 

I BBQ, IL BASKET, IL JOGGING, IL SURF

Le prime restrizioni ai movimenti e agli assembramenti si sono scontrate con quelle che per i californiani sono attività fondamentali: i block party sono continuati imperterriti almeno per la prima settimana, finché la polizia non ha cominciato a fare multe salate. Un barbecue tra amici non è considerato pericoloso. I famosi playgroud zeppi di ragazzi che giocano a pallacanestro sono diventati deserti solo quando le autorità della Contea di Los Angeles hanno fisicamente tolto le reti e i canestri. Poi sono arrivate le prime multe ai surfisti (fino a un giorno di carcere) e a chi fa jogging (500 dollari), e il caso di una donna che arrabbiata con un impiegato aveva sputazzato sul cibo in un supermercato ed è stata condannata a 3 giorni di carcere. E Los Angeles ha cominciato a essere deserta. 

I RISTORANTI, LA GIG ECONOMY, I SOLDI

Subito dopo l’ordinanza che ha chiuso ristoranti e bar, la prima cosa che i proprietari hanno fatto è stato licenziare tutti quelli che avevano come dipendenti. La chiusura ha anche comportato la perdita di migliaia di lavori saltuari nella gig economy – gente come autisti di Uber e Lyft, magazzinieri, consulenti, fattorini e rider, lavoratori nei cantieri e giornalisti freelance. Tutto questo mentre i proprietari degli esercizi chiusi, in quanto possessori di un bene immobile, avrebbero potuto farsi dare un prestito a interesse zero e salvare la quotidianità del proprio dipendente e della sua famiglia: la legge dice che se il prestito lo usi per tenere il tuo cameriere e lavapiatti, dopo un anno, non lo devi restituire. Il lato positivo: gli chef più “solidali” e i Food Trucks hanno continuato a cucinare per infermieri, dottori e personale essenziale dei vari ospedali.

Tutto questo mentre il governo ha varato un pacchetto di stimoli economici, con assegni da 1200 dollari – progetto ritardato da Trump che voleva mettere la sua firma su tutti gli assegni. Risultato: dopo un mese di arresto dell’economia, in pochissimi hanno visto i soldi. 

TRUMP CONTRO TUTTI

Gli americani, tutti gli americani, fin dal primo briefing alla Casa Bianca (diventato un appuntamento quotidiano), hanno potuto constatare di che pasta è fatto Donald Trump. Arrogante, dispettoso indisponente, insicuro, ignorante, egoista e pericoloso. Nonostante avesse per le mani una pandemia senza precedenti, si è comportato (e continua a comportarsi) come un bambino dispettoso, che poco ha a che fare con la presidenza.

Stringe le mani di tutti, tocca il microfono, mente sul numero di tamponi, sulle richieste di ventilatori, sulle pressioni delle industrie, sugli aiuti agli stati, sui soldi alle corporation, sui vaccini. Costringe il povero Fauci a contraddirlo appena può. È evidente che non gliene frega nulla, mente e basta. E dobbiamo soffrire tutti. 

In più, vuole sminuire due governatori che hanno dimostrato coraggio e che hanno messo il cittadino e lo Stato al di sopra di tutti – quelli di New York e della California. Loro si preoccupano di scienza, rispetto, sicurezza; citano Bergamo e Lombardia come modelli da non seguire; parlano della necessità di aiutare medici e infermieri; sono contro disinformazione e confusione. Trump li attacca perché sono Democratici, e perché deve far vedere a tutti i costi che non ha sbagliato, che non è colpa sua me è colpa dei cinesi, di Fauci che disobbedisce, dei giornalisti che fanno domande scomode, di Cuomo che chiede aiuti federali com’è suo diritto, di Obama, di chiunque altro. 

Di fronte ai governatori Repubblicani invece mostra tutta un’altra faccia: ha accontentato quello della Florida che voleva la riapertura delle spiagge, quello del Texas che voleva tenere aperte chiese e campus universitario, ed ecco arrivare quello della Georgia che ha definito servizi essenziali i centri massaggi e le sale da bowling. Ha preso posizione in favore dei manifestati anti-quarantena, le sue truppe, e ha bloccato completamente l’immigrazione per “proteggere i posti di lavoro del nostro grande Paese”.

LE PROSSIME ELEZIONI

È qui che spunta prepotente la sua strategia: aizzare il popolo americano con i tweet per “liberare” gli Stati che mettono le restrizioni contro il coronavirus dal “socialismo”, lanciare velatamente una minaccia di guerra civile. Il suo comportamento in questo senso è l’atteggiamento di un bullo che le prova tutte per far ripartire gli Stati Uniti e con essi un’economia zoppa e ferma, giocando però alla roulette russa sulla pelle dei suoi cittadini, come un Viktor Orban o un Bolsonaro qualsiasi. 

Invece che egoismo ed individualità, sarebbe ora che l’America riscoprisse, grazie anche al coronavirus, i valori delle istituzioni, dello stato, dell’importanza sociale di avere istruzione e sanità gratuite per tutti. Sarebbe bello se sentisse il bisogno, la necessità e la voglia di essere più solidale, senza guardare alla razza, ai soldi, alle preferenze politiche. Si dice sempre che se non vogliamo farlo per noi dovremmo farlo per i nostri figli, ma i nostri figli sanno già benissimo che questo sistema è un casino: dobbiamo farlo per noi, adesso, perché di tempo ne resta poco. 

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