Chi è John Roberts, il giudice repubblicano arcinemico di Trump | Rolling Stone Italia
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Chi è John Roberts, il giudice repubblicano arcinemico di Trump

Pacato, cattolico, repubblicano, potrebbe essere una delle chiavi per archiviare il trumpismo non con una rivoluzione ma con il rispetto del diritto e dell'equilibrio tra le istituzioni

Chi è John Roberts, il giudice repubblicano arcinemico di Trump

John Roberts. Foto Mark Wilson/Getty Images

Anni e anni per cercare di controllare le Corti statunitensi a livello federale. Aveva cominciato Richard Nixon, nel 1972, nominando un “reazionario bastardo” (parole sue) come William Rehnquist alla Corte Suprema. Reagan lo promosse Giudice Capo. Recentemente, Trump e McConnell hanno piazzato il duecentesimo giudice federale in una corte distrettuale, attuando un piano per trasformarle velocemente, “confermando i giudici su un nastro trasportatore”. Lo scopo era rigettare per via giudiziaria tutte le riforme progressiste approvate negli anni di Obama, ma non solo, anche ribaltare sentenze storiche come la Roe v. Wade, risalente al 1972, che garantiva il diritto all’aborto su tutto il territorio americano.

Ma questo piano perfetto è stato incrinato. Non da un presidente democratico, bensì da George W. Bush. Morto Rehnquist, scelse come giudice capo John Roberts, che ne pareva il perfetto successore. Ma solo a un’analisi superficiale. Già nel 2007 un articolo sulla rivista di settore Emory International Law Review il giudizio espresso su Roberts era di un giudice “prudenzialista”. Vale a dire rispettoso della separazione dei poteri e tendente a creare legislazione tramite i precedenti il meno possibile, per evitare scontri con il potere esecutivo e legislativo. All’epoca sembrò il perfetto continuatore di Rehnquist, un tacito sostenitore delle cause conservatrici. Ma cosa succede quando il potere esecutivo è incarnato da Donald Trump? Succede che il pacifico giudice Roberts, affidabile voto quando si legifera in materia di contraccezione, sostegno statale alle scuole e sulla liceità di sostenere senza limiti le candidature politiche con soldi privati, su questo eriga un muro.

Lo aveva già fatto nel novembre 2018 quando Trump attaccò un giudice distrettuale per aver ripristinato la richiesta di asilo da parte dei migranti entrati illegalmente nel paese attraverso il confine meridionale definendolo “un giudice di Obama”. Fu allora che Roberts si espresse con un comunicato stampa affermando con forza che “non ci sono giudici né di Obama né di Trump né tantomeno di Bush e di Clinton, ma solo uno straordinario gruppo di magistrati che garantisce equità di trattamento a chi appare di fronte a loro. Dovremo essere grati per un sistema giudizio indipendente”. E in questo mese di giugno ha risposto con le sentenze.

A cominciare da quella sulla protezione del lavoratori transgender da eventuali discriminazioni sul lavoro: insieme a Neil Gorsuch, nominato da Donald Trump nel 2017, ha stabilito che la legge sui diritti civili del 1964, pensata per proteggere gli afroamericani si estendeva anche a loro. Poi con il Daca, il Deferred Child Arrival Program, un programma governativo risalente al 2012, piena epoca obamiana, per garantire un dilazione di due anni per i minori che dovrebbero essere deportati nei paesi di origine, ma che nel frattempo però potevano trovare un permesso di studio o di lavoro. Con l’avvento di Trump questa possibilità era stata rescissa, così le associazione dei diritti civili avevano fatto ricorso, arrivando fino alla Corte Suprema. Risultato: su nove giudici, quasi equamente suddivisi tra quattro progressisti e quattro conservatori, Roberts ha scritto una sentenza insieme all’ala liberal. La cancellazione del Daca è possibile, con certificati motivi, ma in questo caso no: il provvedimento dell’amministrazione era arbitrario.

Anche nel caso della legislazione restrittiva sull’aborto approvata dalla legislatura statale della Louisiana, a maggioranza repubblicana (ma confermata dal governatore democratico) è arrivato il giudizio di Roberts alla sentenza scritta dal suo collega liberal Stephen Breyer, che di fatto la accomunava a un’altra legge stroncata dalla Corte nel 2016 che riguardava il Texas. Allora il Giudice Capo era in disaccordo, ma stavolta no: il motivo è la sua deferenza al principio del precedente. Infine, due sentenze che riguardano accertamenti fiscali sui patrimoni e i redditi del presidente Trump.

In una che riguarda la richiesta fatta da procuratore distrettuale newyorchese, ci si rifà a un precedente del 1804 nel quale si riteneva che anche il presidente fosse tenuto ad essere giudicabile di fronte alle Corti essendo un uomo “come gli altri”, ma consentendo comunque al presidente di fornire ulteriori motivazioni per la mancata consegna dei documenti richiesti. Nell’altro caso questa richiesta invece derivava dal Congresso: stavolta Roberts, in modo salomonico, rimanda ai tribunali di livello inferiore per stabilire se la richiesta è rispettosa della separazione dei poteri e se non rischia di diventare uno strumento politico qualora la presidenza e uno dei rami del Parlamento appartenessero a partiti diversi.

Ma tutto questo non deve far pensare che il giudice conservatore nominato da Bush sia cambiato in modo radicale. Anzi, tutt’altro. Su sentenze che riguardavano l’obbligo da parte degli istituti religiosi di fornire contraccettivi ai propri dipendenti in Pennsylvania e sulla possibilità per le scuole confessionali di aderire a un programma di voucher per le scuole private in Montana, ha votato in conformità al conservatorismo compassionevole che animava la presidenza di George W. Bush. Ma è comunque un conservatore in senso stretto. Che ama il mantenimento dello status quo tra i poteri e non apprezza le decisioni del presidente Trump che mirano a sovvertire certi equilibri a colpi di provvedimenti forzati.

E questa forza quieta di un pacato magistrato cattolico di origine irlandese può essere una delle chiavi per archiviare il trumpismo: il rispetto della certezza del diritto e dell’equilibrio tra le istituzioni repubblicane. Senza cercare improbabili balzi in avanti da parte di un’eventuale presidenza Biden che verrebbero stroncate da ricorsi mirati da corti ormai quasi integralmente in mano ai conservatori. Un conservatorismo che appare rivoluzionario, rispetto al ciclone trumpiano. E che ha mostrato come un personaggio ligio al dovere e alle leggi si può dimostrare imbattibile anche per il presidente che ha violato tutte le prudenze dei suoi predecessori.