Dopo mesi di schermaglie e dissidi interni all’insegna delle ipotesi più disparate (da Guido Bertolaso a Maurizio Gasparri, fino a Giulia Bongiorno e all’ex nuotatore Fabio Rampelli), il centrodestra capitolino sembra avere finalmente risolto l’intricato rebus per individuare il candidato sindaco di Roma. Salvo ulteriori colpi di scena, quello di Enrico Michetti ha tutta l’aria di essere il “nome forte” su cui la coalizione potrebbe convergere. Avvocato, professore di Diritto degli enti locali presso l’Università di Cassino e profondo conoscitore della vita amministrativa della Capitale, la scorsa settimana Michetti ha incassato l’endorsement di Giorgia Meloni, che lo reputa il profilo giusto per guidare il Campidoglio nei prossimi cinque anni.
Come da copione, negli ultimi giorni Michetti sta vivendo un’esposizione mediatica senza precedenti: il suo nome ha trovato posto nelle prime pagine dei giornali nazionali, che non hanno mancato di riportare alcune sue dichiarazioni abbastanza controverse, come quando paragonò la campagna vaccinale del governo al “doping di Stato” dell’ex Germania dell’Est o rivendicò, con una certa nonchalance, la natura “igienica” del saluto romano, prospettandolo come una soluzione più sicura rispetto al pugno o al gomito, dato che salutandosi da lontano non ci si tocca e ci si pone al riparo da eventuali malattie – insomma, nel caso in cui non fosse ancora chiaro: parliamo di un personaggio un pelino colorito.
Eppure, fino a qualche settimana fa, il suo nome era pressoché sconosciuto tanto alla stampa tradizionale quanto ad alcuni suoi potenziali sostenitori politici, come Maurizio Gasparri, che ha fatto sapere di non conoscerlo, o Antonio Tajani, che non è riuscito a celare un certo scetticismo nei suoi confronti. Persino un esponente storico della destra romana come Francesco Storace sembra nutrire qualche perplessità in merito alla sua nomina: “Ero a San Pietro e tutti si chiedevano chi fosse quello vestito di bianco vicino a Michetti. Non ci mortificate”, ha dichiarato ironicamente l’ex Presidente della Regione Lazio. Sulla base di queste premesse, la domanda sorge spontanea: da dove nasce Enrico Michetti?
Per comprendere il retroterra che ha reso possibile trasformare un anonimo professore universitario nel nuovo maître à penser della destra romana, bisogna fare un passo indietro e soffermarsi su una delle peculiarità proprie delle dinamiche politiche capitoline: il ruolo delle radio indipendenti. In città sono attive decine di emittenti che riescono a esercitare un forte ascendente sull’opinione pubblica cittadina, orientando le preferenze degli elettori, mobilitando il dissenso, alimentando polemiche sopite da tempo – ad esempio, esasperando le proteste contro campi rom, degrado cittadino e centri d’accoglienza – o affossando la credibilità di alcuni personaggi pubblici considerati “scomodi” in un determinato periodo, come accaduto nel caso di Ignazio Marino. Si tratta di gruppi di pressione locali parecchio influenti, capaci di intercettare un bacino d’utenza formidabile. Tanto per rendere conto delle proporzioni, secondo i dati Radioter, nel secondo semestre 2020 le emittenti capitoline si sono assicurate 2 milioni e 493mila ascoltatori al giorno – un numero in crescita costante, incentivato dal fatto che i romani passano buona parte della loro giornata in macchina, in quella che è la seconda città al mondo per ore perse nel traffico.
Tra queste, una delle più seguite è Radio Radio. Punto di riferimento degli ambienti ultras della Capitale – come per la maggior parte delle emittenti indipendenti romane, il cui focus principale, all’apparenza, dovrebbe essere il calcio – e vicina alla galassia della destra romana, Radio Radio si è resa spesso megafono di pulsioni xenofobe, sovraniste e antiscientifiche: il direttore, Ilario Di Giovambattista, è uno storico sostenitore del “metodo Di Bella” – che, privo di riscontri scientifici, promette di curare il cancro. Negli ultimi mesi l’emittente non ha perso occasione per strizzare l’occhio ai teorici della “dittatura sanitaria”, avvalendosi del contributo di opinionisti sempre disposti allo scontro, pseudo-scienziati e teorici del complotto navigati.
Un milieu nutrito e variegato, che annovera al proprio interno personaggi del calibro di Diego Fusaro e Alessandro Meluzzi, psichiatra, ex senatore di Forza Italia e primate della Chiesa Ortodossa Italiana Autocefala Antico-Orientale, con un curriculum di tutto rispetto in termini di ciarlataneria mediatica: in passato era facile vederlo pontificare negli studi Mediaset, in vista di “opinionista scientifico” di Dritto e Rovescio, il talk show condotto da Paolo Del Debbio. Nelle sue ospitate a Radio Radio, Meluzzi porta avanti la propria crociata contro i metodi autoritari e pervasivi adottati dal governo per soggiogare la popolazione. Ad esempio, stando a uno dei suoi tormentoni più celebri, le mascherine servirebbero per diffondere il contagio e conterrebbero un microchip in grado di controllare ogni nostro movimento: “La mascherina è un oggetto molto pericoloso. È un pabulum – che, in batteriologia, è l’ambiente che permette ai microrganismi di moltiplicarsi – micidiale di concentrazione di Covid”. Anche QAnon rientra tra i leitmotiv maggiormente caldeggiati da Meluzzi, secondo il quale l’arresto per frode di Steve Bannon, l’ex portavoce di Donald Trump, farebbe parte del “fuoco di sbarramento Dem Deep State sadopedofilo contro Trump e i popoli sovrani. Ne prepareranno altre da veri luciferiani quali sono, ma forse non basterà, se Maria Vergine e Madre protegge il suo popolo!”.
È in questo pantheon di personaggi al limite del caricaturale che la figura di Michetti è riuscita a proliferare, fino a trovare la propria legittimazione elettorale: conosciuto come il “Tribuno” di Radio Radio (ulteriore testimonianza della sua ossessione per l’iconografia dell’impero romano), il delfino di Giorgia Meloni ha acquisto una certa fama tra i romani de Roma grazie al successo riscosso dalla sua striscia radiofonica quotidiana, in cui amava pronunciarsi in merito ai fatti politici della settimana.
Anche se ama definirsi “un italiano senza tessere di partito e moderato, Michetti ha sempre mantenuto una linea parecchio ambigua sulla campagna vaccinale: in una prima fase alimentava gli istinti dei No Vax, ricordando come i suoi ascoltatori non fossero delle “cavie” e che nessuno avrebbe potuto imporgli un’iniezione. Recentemente, in un lampo di lucida follia, sembra avere cambiato idea: qualche giorno fa ha deciso di vaccinarsi, anche se ha fatto sapere di rispettare “chiunque abbia un’opinione diversa dalla sua”. Un cambiamento non da poco, per chi era abituato a etichettare il Covid come “un’influenza” tra le tante, utile soltanto per fomentare il terrorismo psicologico affinché l’Italia potesse accedere ai fondi del Meccanismo europeo di stabilità – “Finché non andremo a prendere questi maledetti 38 miliardi del MES, ci faranno una capoccia tanta”, diceva a ottobre.
Insomma, il “candidato civico” che piace tanto a Giorgia Meloni – la cui candidatura è ancora in bilico, anche a causa dell’indagine della Corte dei Conti del Lazio per alcuni appalti milionari affidati da enti pubblici senza gara – è decisamente meno sprovveduto di quello che alcuni suoi alleati vorrebbero far passare: Michetti ama presentarsi ai propri ascoltatori come una figura a metà strada tra la cultura alta e quella bassa, un amico del popolo dalla grande autorevolezza, capace di unire il registro altolocato dell’accademia a un lessico pop dalla sicura presa sulle masse. Ed è questa la sua principale qualità: la disinvoltura con cui riesce a sembrare “uno di noi”.