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Che fine ha fatto l’app del PD?

Annunciata almeno tre volte, non è mai stata mai pubblicata. Ce la farà Nicola Zingaretti a scrivere un post di suo pugno che non sia un riciclo di lanci d’agenzia operato dal suo staff?

Foto: Getty Images

Il Pd ha un problema con l’internet. Il maggiore partito di centrosinistra d’Italia proprio non ce la fa, a stare online. Nessuno dei suoi dirigenti, fatta eccezione per Matteo Renzi, è mai riuscito ad avere una presenza significativa sui social; nessuna delle sue iniziative, proposte, o semplice evento di piazza si è mai sviluppato a partire dalle infrastrutture della rete; nessun suo iscritto, militante o semplice attivista si è mai sentito parte di un gruppo grazie anche a internet.

L’ultimo tentativo, che finora non ha promesso nulla di buono, è “l’app del Pd”. Tentativo di risollevarsi dalle ceneri di quella fallimentare “Bob” (app creata nell’era Renzi e rimasta byte morti, ancora presente sull’Apple store), l’app era stata annunciata in pompa magna dal partito lo scorso fine settembre. “È la rivoluzione del secolo”, aveva detto molto sobriamente Francesco Boccia. “Entro il 15 ottobre saremo in rete”, aveva detto sicuro Carlo Guarino, consigliere digitale del Pd. “In un mese andremo a regime”.

A oggi, però, non abbiamo trovato nessuna traccia dell’app del secolo.“C’è qualche ritardo”, ci avevano confermato dall’ufficio stampa. Lo stesso Zingaretti, il 23 ottobre annunciava (di nuovo) l’app sui social: “Con la nuova app parte l’iscrizione alla comunità dei democratici in forma diretta e digitale”. Niente ancora.

Adesso il partito ci riprova e dall’Assemblea nazionale di Bologna, oltre al nuovo statuto, annuncia (per la terza volta) la fantastica app. La “Piattaforma deliberativa online” (chiamata così con un gusto della leggerezza piuttosto discutibile) dovrebbe rendere il Pd “un partito più aperto alla partecipazione delle persone, molto più diretta, rendendo protagonista chi ne fa parte”.

Lo slogan iniziale è “Tu vali tu”, una parafrasi in seconda persona dell’«uno vale uno» grillino; i colori saranno i soliti del Pd (rosso e verde); la tracciabilità sarà garantita dall’iscrizione con dati personali, codice fiscale e indirizzo fisico. La differenza con Rousseau? “Lì Casaleggio sa chi sono tutti gli iscritti ma gli iscritti non si conoscono tra di loro”, ha detto Boccia. “Noi invece creiamo una rete in cui chi ha la app può interagire con gli altri”.

Una sorta di Facebook del Pd, praticamente. Soltanto, a pagamento. Secondo le ultime informazioni, è solo pagando un euro al mese che gli utenti potranno accedere a tutte le sezioni. In “Attivismo e condivisione” potranno “condividere le verità del Pd”; in “Consultazioni” potranno partecipare ai sondaggi”; in “Contributo” potranno leggere e suggerire modifiche alle proposte di legge.

Un progetto ambizioso, e molto tardivo, che difficilmente riuscirà a portare uno dei maggiori partiti italiani su internet in un modo intelligente e significativo, se non sarà affiancato da un cambio di approccio al web, da un impegno in prima persona dei suoi leader, da uno sforzo di comunicazione orizzontale. Ce la farà, il suo segretario Nicola Zingaretti, a scrivere un post di suo pugno che non sia un riciclo di lanci d’agenzia operato dal suo staff? Ce la farà mai, il partito, a finirla d’ignorare il web e a postare qualcosa di sinistra? Aspettiamo di saperlo fiduciosi, tra un TikTok di Salvini e un tweet di Di Maio.

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