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Che cosa sta succedendo in Bolivia?

Ieri sera, il presidente Evo Morales è stato costretto a dimettersi. Il Paese è controllato di fatto da una dittatura militare. Ecco come ci si è arrivati e perché c’entrano le batterie dei nostri device

Foto: Jemal Countess/Getty Images

Ieri sera Evo Morales Ayma, il primo presidente indigeno della storia della Bolivia al potere dal 2005, è stato costretto a dimettersi su ‘suggerimento’ dei vertici di forze armate e polizia. Insieme a lui si sono dimessi il suo vice e la presidente del Senato – tutti membri del suo partito, il Movimento per il Socialismo (MAS) – lasciando di fatto il potere al vicepresidente del Senato, membro dell’opposizione.

Nemmeno un mese fa, il 20 ottobre, il MAS vinceva al primo turno le elezioni boliviane con il 47 percento dei voti contro il 36 percento di Comunità Cittadina, partito dello sfidante Carlos Mesa. L’opposizione aveva subito denunciato anomalie nel conteggio dei voti e possibili brogli elettorali ma non aveva mai detto di aver vinto: le proteste riguardavano infatti solo l’eventualità che Morales non avesse ottenuto il 10 percento di voti in più sul suo sfidante necessario a evitare il ballottaggio.

Subito erano scoppiate proteste di piazza in diverse aree del Paese, con epicentro a Santa Cruz de la Sierra, città roccaforte dell’opposizione controllata dai Comitati Civici di Luis Fernando Camacho, che aveva dato a Morales 48 ore per lasciare il potere.

Accanto alle proteste sono cominciati anche gli atti di violenza – in cui in prima fila c’è stata l’Unión Juvenil Cruceñista, una milizia paramilitare legata a Camacho, i cui membri sono separatisti, ultracattolici, ferventemente anticomunisti e neonazisti. Ci sono stati atti di violenza contro esponenti sindacali, chiusure forzate delle sedi di radio e televisione di stato, roghi e saccheggi delle case di politici del MAS e il sequestro della sindaca di Vinto, anche lei del partito di Morales – che è stata rasata a zero, coperta di vernice rossa e costretta a fare una walk of shame. C’è stato persino un sospetto attentato contro l’elicottero su cui viaggiava Morales di ritorno da un summit a Cuba, costretto a un atterraggio di emergenza.

Intanto Morales accettava la mediazione dell’Organizzazione degli Stati Americani perché facesse un’inchiesta sull’esito del voto. I risultati di questa inchiesta sono arrivati proprio ieri, solo poche ore prima del golpe: sono state riscontrate delle anomalie ed è stato suggerito di tenere nuovamente le elezioni – cosa che Morales ha accettato di fare.

Nonostante questa disponibilità, ieri sera è arrivato il pronunciamento dei militari, che hanno suggerito a Morales di dimettersi da presidente. Fino a quel momento l’esercito boliviano era sembrato restare neutrale nella lotta di potere – qualche giorno prima aveva diffuso una dichiarazione sibillina in cui parlava di proteggere la democrazia – mentre la polizia boliviana da diversi giorni era passata in blocco all’opposizione nelle principali città della Bolivia.

Poco dopo la conferenza stampa dei militari, Morales ha annunciato le sue dimissioni. Le ore successive sono state estremamente caotiche: mentre una folla di manifestanti dell’opposizione accorreva a saccheggiare e dare alle fiamme la casa dell’ex presidente, militari boliviani ammainavano la Wiphala – la bandiera che rappresenta i popoli indigeni, voluta da Morales accanto alla bandiera nazionale nel 2009 – dal palazzo presidenziale. Luis Fernando Camacho, intanto, si faceva fotografare con la Bibbia e la bandiera boliviana dentro l’ex palazzo presidenziale del Paese.

Dal punto di vista dello sviluppo e dell’equità sociale, l’era Morales in Bolivia è stata largamente positiva: il Paese ha avuto il più alto tasso di crescita medio in America Latina, e questa cresciuta è stata usata per ridurre drasticamente la povertà ed espandere l’accesso della popolazione ai servizi di base. Morales ha inoltre trasformato la Bolivia in uno stato plurinazionale e laico, portando per la prima volta le popolazioni indigene in primo piano sulla scena politica.

Accanto a questi indubbi successi, ci sono stati anche dei lati negativi. In primis l’attaccamento al potere – nel 2016 Morales aveva perso un referendum per modificare la Costituzione e potersi candidare per un terzo mandato da presidente, ma poi si era candidato lo stesso con l’appoggio del Tribunale Elettorale Supremo. In secondo luogo, negli ultimi anni il governo boliviano era sceso a sempre maggiori compromessi con forze armate e grandi gruppi economici, le stesse forze sociali che ieri l’hanno rovesciato, facendo perdere al MAS molto consenso tra la sua base sociale.

Ma dietro il colpo di stato c’è anche un’altra ragione, più meramente economica: il controllo delle più vaste riserve di litio al mondo, situate nel Salar de Uyuni in Bolivia. Il litio è un elemento fondamentale per le batterie e il cui valore si prevede aumenterà in futuro col graduale abbandono dei combustibili fossili in favore dell’elettrico. Morales sperava di farlo diventare per la Bolivia quello che il petrolio è stato per l’Arabia Saudita – “ne abbiamo abbastanza per mantenerci per un secolo”, aveva detto nel 2015. Fino a ieri era in mano a un governo allineato con la Cina, oggi è controllato di fatto da una dittatura militare filoamericana.

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