Cercare capri espiatori è inutile: la morte di Alika Ogorchukwu coinvolge tutti noi | Rolling Stone Italia
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Cercare capri espiatori è inutile: la morte di Alika Ogorchukwu coinvolge tutti noi

Ha davvero poco senso imbarcarsi nella difesa – così come nell'accusa – dei comportamenti adottati dai passanti: i fatti di Civitanova Marche sono solo l'ennesima dimostrazione di un processo di disumanizzazione dell'altro che va avanti da troppo tempo

Cercare capri espiatori è inutile: la morte di Alika Ogorchukwu coinvolge tutti noi

Venerdì 29 luglio Alika Ogorchukwu, venditore ambulante nigeriano di 39 anni, è stato barbaramente aggredito e ucciso nel centro di Civitanova Marche da Filippo Claudio Giuseppe Ferlazzo, operaio italiano di 32 anni. Ogorchukwu lascia la moglie Charity Oriachi e un figlio di 8 anni, Emmanuel, che frequenta la scuola a San Severino, dove la famiglia risiede.

L’aggressione è avvenuta in una via molto frequentata della città marchigiana e le numerose testimonianze – compresi i video girati da alcuni passanti e consegnati alle forze dell’ordine – hanno contribuito a ricostruire la dinamica di questo brutale omicidio. Ogorchukwu è stato ucciso «a mani nude», così ha riferito il giorno successivo un dirigente della Squadra Mobile di Macerata, per aver chiesto l’elemosina alla fidanzata di Ferlazzo. L’uomo ha seguito Ogorchukwu, gli ha tolto la stampella che utilizzava per camminare (l’anno scorso era stato investito da un’automobile) e l’ha usata per colpirlo. Una volta a terra gli è salito sopra, schiacciandogli la testa e continuando a picchiarlo fino a ucciderlo. Ferlazzo è accusato di omicidio volontario e rapina (ha sottratto il cellulare alla vittima prima di allontanarsi).

In queste ore, grazie soprattutto ai mezzi di informazione che hanno sottolineato incessantemente come nessuna delle persone presenti sia intervenuta fisicamente per fermare Ferlazzo, ci si sta concentrando molto sulla cosiddetta “indifferenza generale” che avrebbe ucciso Ogorchukwu.

Per quanto riguarda questo aspetto, tra i vari commenti apparsi online, mi ha colpito un post di Loredana Lipperini. La scrittrice e conduttrice radiofonica ha condiviso le parole di una persona che quel giorno era lì.

«Io c’ero a Civitanova, ho visto tutto e ho aiutato come tante altre persone. Ho letto il commento di Mentana che come molti dice che quell’uomo è morto nell’indifferenza generale: non è vero. Io sono ancora molto scossa e non riesco a dormire. Di tutto questa assurdità di come può morire una persona mi porterò nel cuore sempre l’immagine del dottore in vacanza col costume che è stato chiamato dalle persone in attesa che arrivasse l’ambulanza e ha provato a rianimarlo. Delle persone sì hanno ripreso ma le riprese sono state date subito agli agenti per incastrare l’aggressore che da quanto ho potuto capire è stato preso grazie anche a un signore che lo ha rincorso e lo ha segnalato alla polizia. Si capisce tanto da come vengono diffuse le notizie quando certe cose le vedi con i tuoi occhi».

Un post pubblicato su Facebook lascia il tempo che trova, ovviamente. Ma, al netto delle doverose verifiche giornalistiche del caso, vale almeno quanto i giudizi impietosi di chi sa per certo cosa avrebbe fatto in una situazione del genere.

E badate bene: ha davvero poco senso imbarcarsi nella difesa – così come nell’accusa – dei comportamenti adottati dai passanti. Questo specchietto per le allodole che ci viene propinato ha lo scopo di polarizzare il dibattito e dividere l’opinione pubblica in tifoserie contrapposte.

Invece uno spunto di riflessione sul tipo di società in cui viviamo ci viene offerto sempre da Lipperini quando invita a «non usare le donne come simbolo della mancata sicurezza nazionale». Il riferimento è alle dichiarazioni di Ferlazzo che si era inizialmente giustificato dicendo che Ogorchukwu aveva “molestato” la sua fidanzata. Le affermazioni dell’assassino hanno monopolizzato i titoli di molti articoli, agevolando di fatto la riproposizione di un frame tossico tanto caro a certa stampa. L’abbiamo già visto con il terrorista nazifascista Luca Traini, descritto come «il vendicatore di Pamela Mastropietro», diciannovenne uccisa da un cittadino nigeriano. Un’operazione mediatica e politica che ha trasformato l’autore di una strage aggravata dall’odio razziale (Traini sparò dalla sua auto contro un gruppo di persone nere nel centro di Macerata) in un folle accecato dalla rabbia.

Un “raptus”, per utilizzare un altro termine molto abusato dai media. E per rimanere nell’ambito dei luoghi comuni che colpiscono spesso le donne vittime di violenza, anche nel caso di Ogorchukwu molte persone hanno messo in dubbio la ricostruzione degli eventi, chiedendosi «cosa avesse fatto davvero per scatenare quella reazione».

Già, perché qualcosa devi aver fatto per “meritare” quattro minuti di agonia sul marciapiede di una città italiana con il ginocchio di una persona che preme sul tuo collo fino a toglierti la vita.

«Tutto nato da una lite per futili motivi», spiega la polizia. Gli stessi futili motivi che spinsero quattro giovani a bruciare vivo un senza dimora somalo nel centro di Roma. Si chiamava Ahmed Ali Giama. Correva l’anno 1979. Dopo Giama ce ne sono stati tanti altri.

Giacomo Valent, figlio di un diplomatico friulano e di una donna somala, aveva solo 16 anni quando nel 1985 fu accoltellato 63 volte da due compagni di scuola a Udine. E poi ancora il rifugiato sudafricano e bracciante Jerry Masslo assassinato a Villa Literno, il diciannovenne Abba Abdul Guiebre ucciso a sprangate a Milano perché accusato di aver rubato un pacco di biscotti, le sette vittime nere della strage camorrista di Castelvolturno, i due senegalesi Samb Modou e Diop Mor uccisi a Firenze dal terrorista neofascista Gianluca Casseri, il pakistano Khan Muhamad Shanzad pestato a morte nel quartiere di Torpignattara perché «era già tre o quattro volte che passava e cantava nenie in arabo», il richiedente asilo nigeriano Emmanuel Chidi Nnamdi ucciso a Fermo per aver reagito agli insulti razzisti indirizzati alla sua compagna, il senegalese Idy Diene ucciso sul Ponte Vespucci con sei colpi di pistola «perché era la prima persona che passava», il bracciante e sindacalista maliano Soumaila Sacko ucciso a colpi di fucile mentre cercava dei pezzi di lamiera in una fabbrica abbandonata.

Sono tanti i nomi e le storie che mancano all’appello. Nel 1989, dopo l’omicidio di Masslo, ci furono funerali, scioperi e manifestazioni. Dopo la morte di Ogorchukwu è scesa in piazza solo la comunità nigeriana. Ed è una tendenza sempre più evidente col passare degli anni.

L’ultima grande manifestazione antifascista e antirazzista è stata quella del 10 febbraio 2018 a Macerata in risposta all’atto terroristico di Luca Traini. Un’iniziativa, come ricorda in questi giorni Christian Raimo, osteggiata dal Partito Democratico «nonostante una sua sede fosse stata presa di mira».

L’omicidio di Ogorchukwu è purtroppo già finito nel tritacarne politico-mediatico della campagna elettorale, come dimostra il comunicato del deputato e commissario Lega Marche Riccardo Augusto Marchetti sulla vicenda: «Sentito cordoglio alla famiglia di Alika Ogorchukwu, vittima a Civitanova Marche della follia omicida. L’assassino merita ora una pena esemplare. Sgomento per quanto avvenuto, nell’indifferenza dei passanti che filmavano la morte in diretta di una persona senza muovere un dito, nel pieno centro di una città turistica che merita più sicurezza. La Lega denuncia da tempo la mancanza di regole certe tanto nelle periferie quanto nelle città, dove una maggiore presenza di forze dell’ordine rappresenterebbe di per sé già un deterrente prezioso e fondamentale nella prevenzione di fatti criminali ad opera di delinquenti di qualsivoglia nazionalità. Questi sono i tristi risultati», ha scritto.

Dopo le condoglianze d’obbligo, Marchetti inserisce subito il gesto nella cornice della “follia”, spogliandolo di qualsiasi connotazione politica o sociale. E la verità è che la dichiarazione del deputato potrebbe concludersi anche qui, perché è evidente che alla Lega non interessi capire che nelle nostre città alcune vite valgono meno di altre. Nulla di sorprendente, sia chiaro. Non sono interessati a fare certi discorsi perché le loro politiche securitarie, improntate alla tutela del decoro (parola feticcio anche di partiti “progressisti” come il PD, ricordiamolo), si basano sulla contrapposizione tra “noi” e “loro”. E in quel loro ci sono tutte le persone marginalizzate che vivono nella nostra società: poveri, neri, rom, senza dimora. Ogorchukwu è solo l’ultima vittima di un processo di disumanizzazione dell’altro che va avanti da troppo tempo anche in Italia.