Botte e Covid non nascondono i problemi finanziari della Cina | Rolling Stone Italia
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Botte e Covid non nascondono i problemi finanziari della Cina

I depositi di almeno mezzo milione di cinesi della provincia di Henan sono stati congelati, e i correntisti si sono ritrovati di colpo incapaci di ritirare i propri soldi o effettuare pagamenti. Il blocco dei conti è legato a un’indagine per corruzione: i risparmiatori hanno espresso il proprio malcontento organizzando proteste di piazza, ma non è ancora chiaro dove siano finiti i fondi sottratti

Botte e Covid non nascondono i problemi finanziari della Cina

Foto via Getty

Percosse, silenzi, minacce. Negli ultimi mesi queste sono state le risposte ottenute dai cittadini cinesi che chiedevano che fine avessero fatto i propri risparmi dopo lo scoppio di uno dei più gravi scandali finanziari degli ultimi decenni in Cina.

La vicenda coinvolge, secondo alcune stime, almeno mezzo milione di correntisti che avevano depositato i propri risparmi in quattro banche locali della provincia di Henan e in un’altra dell’adiacente provincia di Anhui, due regioni rurali e ancora poco sviluppate del Paese. A partire dal 18 aprile di quest’anno i soldi depositati in queste piccole banche sono stati congelati e i correntisti, che in molti casi avevano versato i risparmi di una vita, si sono ritrovati di colpo incapaci di ritirare i propri soldi o effettuare pagamenti. Sebbene non ci siano dati pubblici ufficiali a riguardo, il valore dei depositi si aggirerebbe tra i 10 e i 40 miliardi di yuan (1,5-6 miliardi di dollari circa).

Il blocco dei conti è legato a un’indagine per corruzione in cui le banche locali sono state coinvolte, al centro della quale sta l’Henan Xincaifu Group, una società di investimenti e gestione patrimoniale. La holding, diretta da un imprenditore che la polizia ha accusato di essere a capo di un’organizzazione criminale, era tra gli azionisti di tutte e quattro le banche locali dello Henan. Non solo: secondo le indagini della polizia, a partire dal 2011 l’Henan Xincaifu Group aveva effettivamente assunto il controllo delle quattro banche con metodi illeciti favoriti dalla loro governance opaca.

A detta della CBIRC, l’autorità bancaria di Pechino, il gruppo ha usato la propria influenza sulle piccole banche per attrarre fondi illegalmente da altre province cinesi attraverso piattaforme online. Nonostante dal 2021 la banca centrale cinese abbia imposto alle banche locali di non accettare clienti al di fuori della propria regione, le banche in questione avevano attratto correntisti da tutto il paese con tassi di interesse sui depositi superiori a quelli concessi da istituti finanziari più grandi e credibili. Le indagini riportano poi che diversi miliardi di yuan sarebbero stati sottratti alle banche locali tramite falsi prestiti, a beneficiare dei quali era stato proprio l’Henan Xincaifu Group.

Non è chiaro dove siano finiti i fondi sottratti né se siano recuperabili. La legge cinese prevede una garanzia per i depositi fino a 500mila yuan (circa 74mila dollari) ma molti dei correntisti che hanno avuto il proprio conto congelato temono comunque per i propri soldi, anche perché in molti casi la somma depositata eccede di molto quella coperta dalla garanzia. Oltre al timore che gli istituti non abbiano registrato correttamente i propri depositi, alcune vittime dello scandalo bancario sentite dal South China Morning Post hanno espresso la preoccupazione che i prodotti finanziari in cui avevano investito i propri risparmi vengano considerati come investimenti illeciti.

Come spesso accade in Cina, è possibile che le banche coinvolte abbiano frodato i propri clienti vendendo loro come regolari conti correnti alcuni prodotti finanziari ad alto rischio non coperti dalla garanzia legale. Questi timori sono stati ulteriormente ravvivati dalle dichiarazioni delle autorità che, pur se rassicuranti nel senso che anche i conti correnti aperti tramite piattaforme online verranno garantiti, hanno però ricordato che solo i depositi “legali” e gli “interessi legittimi” dei risparmiatori verranno protetti, lasciando intendere che la garanzia non sarà a 360 gradi.

Di fronte alla possibilità di perdere i risparmi di una vita molti hanno deciso di esprimere il proprio scontento. I correntisti colpiti dal congelamento dei conti si sono organizzati tramite WeChat e per settimane hanno protestato a Zhengzhou, il capoluogo dell’Henan.

Sui loro cartelloni comparivano richieste come “ridatemi i miei risparmi”. Dopo settimane di silenzio da parte delle autorità, lunedì 13 giugno si sarebbe dovuta tenere una grande protesta per chiedere risposte e centinaia di persone erano arrivati da altre province per partecipare. Di colpo però moltissime persone che si trovavano a Zhengzhou o che avevano in programma di recarsi in città hanno scoperto che le loro certificazioni sanitarie (lo strumento digitale con cui la Cina controlla la diffusione del Covid-19) erano diventate rosse, impedendo loro di fatto di utilizzare gran parte dei servizi pubblici e obbligandole alla quarantena. L’utilizzo degli strumenti anti-contagio per ostacolare le legittime rivendicazioni da parte delle vittime ha suscitato enorme indignazione online, attirando alle autorità dell’Henan pesanti critiche anche da parte dei media ufficiali e di giornalisti influenti come l’ex direttore del Global Times Hu Xijin. Secondo un rapporto delle autorità disciplinari del ramo locale del Partito comunista, 1317 correntisti hanno subito questo abuso di potere.

Ciò però non ha fermato le proteste. Lo scorso 10 luglio oltre mille persone si sono radunate a Zhengzhou con striscioni che rivendicavano i propri diritti di risparmiatori, bersagliavano le autorità dell’Henan e chiedevano l’intervento del governo centrale. Qualcuno aveva portato con sé i ritratti di Mao Zedong, come a rimarcare la natura non anti-sistemica della protesta e l’accusa verso la cricca di affaristi che sta dietro alla vicenda. Questa volta, dopo gli avvertimenti della polizia che invitava i dimostranti ad andare via per non violare la legge, è entrato in azione un gruppo di uomini non identificati in abiti neri e bianchi che hanno cominciato a picchiare e disperdere i manifestanti mentre i poliziotti sono rimasti in disparte a guardare. Molti sono stati caricati su degli autobus e ad alcuni di essi è stato fatto firmare un documento in cui si impegnavano a non assembrarsi più per protestare. Altri manifestanti invece, una volta rientrati alle proprie case, hanno subito pressioni da parte dei loro funzionari di partito locali o sono stati addirittura licenziati.

Seguendo il classico approccio del bastone e della carota, la sera stessa la CBIRC ha annunciato un piano per rimborsare i correntisti partendo da quelli coi depositi inferiori a 50mila yuan la cui erogazione è cominciata pochi giorni dopo gli scontri.

Il motivo per cui la crisi bancaria dell’Henan è tanto grave non sta in quello che ha rivelato: i 10-40 miliardi di yuan sono una frazione minuscola dell’economia cinese. Ciò che invece è preoccupante è che di realtà simili ce ne potrebbero essere moltissime sparse attraverso la Cina e che quanto visto fino a oggi potrebbe essere solo la punta dell’iceberg. Nel 2019-2020 c’era stato un altro caso simile che aveva coinvolto una piccola banca rurale, la Baoshang Bank. Il gruppo imprenditoriale che ne aveva assunto il controllo azionario aveva interferito per anni con le valutazioni sui rischi e si era concesso prestiti per un valore di circa 156 miliardi di yuan attraverso società fittizie, prima di mandare in fallimento la Baoshang Bank. La domanda che in molti si fanno dopo quel caso e quello di questi giorni è quanto effettivamente sia solido il sistema finanziario cinese.

La rete di oltre 4mila piccole banche locali è secondo molti analisti l’anello debole del sistema. Le banche locali sono un tassello fondamentale per le piccole attività commerciali e l’economia rurale cinese, ma ciò rende la loro esposizione a creditori nonperforming incapaci di ripagare i prestiti molto più alta rispetto ad altre banche. La congiuntura attuale poi è particolarmente avversa alle piccole banche locali, sia per la paralisi economica provocata dalla politica zero Covid, sia per le difficoltà incontrate negli ultimi mesi dal settore immobiliare a cui le banche locali cinesi sono legate.

Per anni, i governi locali hanno chiuso un occhio sulla governance opaca delle banche locali e sul loro modo di erogare prestiti, a patto che queste tenessero aperte le linee di credito e finanziassero l’espansione delle attività produttive. La crescita economica è uno dei fattori che più incidono sulla valutazione dell’operato di ogni amministrazione locale, mentre l’accumulazione di debiti (anche insostenibili) passa in secondo piano. In realtà è pure comprensibile, visto che per anni la prassi è stata che quando un istituto si trovava in difficoltà le autorità pubbliche intervenivano per evitare perdite.

Molti si sono approfittati di questo “paracadute” anche in modo fraudolento, contando sul fatto che lo Stato avrebbe scongiurato il rischio di bancarotta anche davanti alle operazioni più rischiose pur di mantenere la stabilità sociale ed economica.

A pochi mesi dal congresso del Partito comunista cinese, che si terrà in autunno, la dirigenza di Pechino ha posto grande enfasi sul mantenimento della stabilità e lo stesso presidente Xi Jinping ha chiesto di rafforzare la vigilanza nel settore finanziario. Stando ai dati, secondo cui il 99% degli asset bancari non è a reputato ad alto rischio, non sembra esserci una minaccia imminente e la Cina ha spesso dimostrato di saper smentire le previsioni più disfattiste. Rimane però legittimo chiedersi quanto la visione delle autorità bancarie sia accurata, dato che molte banche locali potrebbero mantenere celata la reale entità delle loro difficoltà. E soprattutto: come intendono gestire i dirigenti cinesi questa vicenda e le altre che nei prossimi mesi e anni verranno a galla? Chi dovrà pagare per rimediare alle falle del sistema? Molto del futuro cinese passa da come Pechino risponderà a queste due domande.