Bielorussia, il coraggio di un popolo | Rolling Stone Italia
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Bielorussia, il coraggio di un popolo

A mesi di distanza dalle elezioni farsa vinte da Lukashenko e dall'inizio delle proteste, la Bielorussia è ancora lontana dal superamento della crisi

Bielorussia, il coraggio di un popolo

Le proteste a Minsk il 20 agosto

Foto: SERGEI GAPON/AFP via Getty Images

Minsk, capitale della Bielorussia. L’inverno è alle porte. Nevica. Durante la settimana la vita sembra svolgersi regolarmente. Negli atenei universitari e nei luoghi di lavoro si fa molta attenzione a parlare di certi argomenti, per paura di spie pronte a denunciare detrattori del regime autoritario. 

Domenica mattina. La situazione cambia. La popolazione si prepara a scendere in piazza per manifestare contro le elezioni farsa che hanno portato alla vittoria del dittatore Lukashenko, ormai a capo del Paese da 26 anni. Il sabato sera i canali della contro informazione hanno diffuso le istruzioni per la manifestazione di protesta pacifica che ogni domenica, dal 9 agosto, si svolge nella capitale e nel resto della nazione. Sono trascorsi 114 giorni e la popolazione non demorde nonostante il pugno duro degli apparati governativi, sventolando le bandiere bianche e rosse della repubblica bielorussa pre-sovietica, diventate un simbolo delle proteste. Ma a sorpresa viene diffusa una nuova tattica di protesta.

“Domani alle 12:00 usciamo per la marcia dei vicini, che inizierà proprio nei nostri quartieri! Cerca di essere puntuale.  Entro le 12:30, ci raduniamo in punti convenienti per l’intero quartiere (può essere un negozio o un incrocio significativo), in modo che più vicino alle 13:00 possiamo riunirci per l’intera area.  I punti di raccolta dei distretti sia per Minsk che per i centri regionali saranno pubblicati domenica mattina”, si legge su Nexta, un canale Telegram dell’opposizione.

“Solo la volontà e la tenacia dei bielorussi nel difendere i loro diritti a vivere in un paese libero e sviluppato fanno sì che il mondo intero ci aiuti a stringere il cappio al collo del dittatore.  La Russia sta già costringendo direttamente il ghoul a fare promesse di andarsene (ma, ovviamente, tradirà se sente che la pressione si è allentata). E tutti gli altri vicini e l’intero mondo civilizzato non ne riconoscono affatto la legittimità, introducendo nuove e nuove sanzioni. Il fattorino collettivo intensifica il terrore, manda le sue formazioni di banditi nei nostri cantieri e nelle nostre imprese (ad esempio i recenti arresti proprio alla BMZ, una della più importanti fabbriche del Paese), ma non riesce più a spezzare la volontà della gente”.

Per evitare di facilitare l’offensiva delle autorità contro la manifestazione nel centro della capitale, sono così stati organizzate piccole manifestazioni in varie parti della capitale. Si sono così svolti circa una ventina di raduni con migliaia di persone presenti, registrano i media locali.

“Grandi colonne di persone si sono radunate in tutti i distretti, senza eccezioni. La polizia di Lukashenko sta correndo disperatamente da un distretto all’altro”, scrive ancora Nexta, il canale dell’opposizione che contribuisce a coordinare le varie iniziative di protesta.

Il sabato precedente l’ultima manifestazione Aleksandr Lukashenko  ha fatto una prima apertura alla piazza dichiarando che non sarà presidente della Bielorussia dopo che il Paese adotterà una nuova Costituzione. Lo ha riportato l’agenzia di stampa statale bielorussa BelTa e di seguito l’agenzia russa Interfax. “Non sto preparando nessuna Costituzione per me stesso. Non sarò presidente con la nuova Costituzione”, ha detto Lukashenko in un incontro col personale dell’ospedale civico numero 6 di Minsk. Non è però chiaro quando sarà adottata questa nuova Costituzione. 

Nonostante questo si contano ancora circa 300 arresti. In questi quasi 4 mesi, il regime di Lukashenko, tramite i suoi apparati di polizia e Omon (corpi speciali), ha messo in atto una repressione molto violenta. Le organizzazioni per i diritti dell’uomo come Amnesty o Viasna parlano di 18.000 persone arrestate. In centinaia hanno subito violenze, picchiate, donne stuprate, intimidazioni e minacce verso familiari per assicurarsi il silenzio su quello che avevano subito o visto.

Sono state uccise 8 persone. L’ultima è morta il 12 novembre, dopo essere stata picchiata dalla polizia: si chiamava Raman Bandarenka, era un artista e aveva 31 anni. È morto il 12 novembre in ospedale: era stato picchiato da sconosciuti a volto coperto che si sospetta possano essere gli Omon, uomini delle forze speciali, oppure “tikhar”, persone in abiti civili che appoggiano la polizia del regime bielorusso. Secondo i media, Roman Bondarenko era intervenuto in una diatriba tra alcuni abitanti locali e gli uomini a volto coperto che stavano togliendo da un cortile dei nastri bianchi e rossi simbolo della protesta. Migliaia di persone si sono radunate il 21 novembre nei pressi della chiesa della Resurrezione di Cristo, a Minsk, per il suo funerale.

Oltre alla repressione violenta nei confronti dei manifestanti, Lukashenko ha di fatto messo a tacere i membri principali dell’opposizione facendoli rapire, arrestare o costringendoli ad un esilio forzato. Emblematica ed eroica è la storia di Maria Kolesnikova una delle principali tre donne leader dell’opposizione. L’unica che ere rimasta in Bielorussia. Il 7 settembre una testimone ha visto uomini incappucciati rapirla, portandola via con un minivan nero. A quello che si sa oggi, dopo averla detenuta qualche giorno, hanno cercato di estradarla forzatamente su una macchina con altri due suoi colleghi, che poi hanno raccontato l’accaduto. A pochi metri dal confine con l’Estonia Maria Kolesnikova è riuscita ad uscire dal finestrino dell’auto, ha strappato il passaporto, ed ha preferito farsi arrestare dagli agenti di confine bielorussi. Ha tenuto così fede alla promessa che aveva fatto: non avrebbe mai abbandonato il suo Paese. Ora è incarcerata in un centro di detenzione. 

Il Comitato investigativo bielorusso ha annunciato che la leader dell’opposizione Maria Kolesnikova è stata incriminata di “invocare azioni che minacciano la sicurezza nazionale della Bielorussia”. Accusata ai sensi dell’articolo 361 del Codice penale bielorusso, potrebbe ora affrontare da due a cinque anni di carcere. L’unica esponente del gruppo dei principali esponenti che reclamano di indire nuove elezioni è la anziana scrittrice Svetlana Aleksievic, vincitrice del premio Nobel per la letteratura nel 2015. Ma anche lei è stata vittima di numerosi atti intimidatori.

L’Unione Europea ha cercato di indebolire il regime dittatoriale ai suoi confini con alcune sanzioni. Il 6 novembre 2020 il Consiglio europeo ha aggiunto 15 membri delle autorità bielorusse, tra cui Aleksandr Lukashenko e suo figlio – nonché consigliere per la sicurezza nazionale – Viktor Lukashenko, all’elenco delle persone soggette a sanzioni. L’elenco riguarda persone sanzionate in relazione ai violenti atti di repressione e intimidazione perpetrati nei confronti di manifestanti pacifici, membri dell’opposizione e giornalisti in seguito alle elezioni presidenziali del 2020 in Bielorussia. Le misure restrittive comprendono il divieto di viaggio e il congelamento dei beni. Il divieto di viaggio impedisce alle persone inserite nell’elenco di entrare o transitare nei territori dell’UE, mentre il congelamento dei beni colpisce i loro fondi e le loro risorse economiche. È fatto inoltre divieto ai cittadini e alle imprese dell’UE di mettere fondi a disposizione delle persone inserite nell’elenco.

Il 19 novembre, l’Alto rappresentante europeo per gli Affari esteri e la politica di sicurezza Josep Borrel ha commentato su Twitter: “La situazione in Bielorussia continua a peggiorare. La repressione dello Stato contro il suo popolo non si è fermata. Procediamo con i preparativi del prossimo ciclo di sanzioni e continuiamo a sostenere i diritti democratici dei bielorussi”. I ministri degli Esteri UE hanno concordato che questa volta le sanzioni “saranno dirette non solo nei confronti degli individui, ma anche delle imprese bielorusse”.

Anche la Russia sembra aver perso la pazienza nei confronti di Lukashenko. Non è un caso la dichiarazione del dittatore riguardo alla nuova Costituzione che non lo vedrebbe più presidente. Nonostante Putin abbia sempre sostenuto il suo alleato, promettendogli aiuti militari nel caso la situazione fosse precipitata, anche lui vorrebbe sostituire Lukashenko con un altro politico più popolare ma sempre leale a Mosca. Ma non è stata trovata ancora un’alternativa valida.

La situazione sembra rimanere invariata. L’opposizione in Bielorussia manca di un leader. Svetlana Tikhanovskaya, che è a capo di un consiglio di coordinamento che riunisce gli oppositori, è in esilio in Lituania, fuggita appena dopo le elezioni in cui era arrivata seconda per paura di ritorsioni. La sua azione oggi è molto indebolita e svolge soprattutto attività di relazioni politiche per sostenere la causa di elezioni libere e democratiche. Il maggiore avversario di Lukashenko, e probabilmente una valida alternativa, potrebbe essere il banchiere Viktar Babaryka. Ma come altri oppositori è detenuto in carcere da parecchi mesi. Manca quindi un vero dialogo con le opposizioni. E all’opposizione un vero programma di governo.

La BBC ha raccontato ieri la storia di un giovane detective della polizia bielorussa. Andrei Ostapovovich, 27 anni. Ha provato orrore vedendo le torture, gli abusi e le sevizie subite dalla sua stessa gente. Ha disertato. E come lui in centinaia, rifugiandosi in Polonia o nei paesi baltici. O la storia del giovane musicista Alyaksei Sanchuk. Suonava ogni domenica alla manifestazione diventando uno dei simboli della protesta. È stato arrestato e accusato di organizzare azioni che violano l’ordine costituito contro il regime. È punibile con 3 anni di carcere.

Tante storie. Difficile raccontarle tutte. Siamo ancora lontani dal superamento della crisi. Rimangono le proteste della popolazione. La speranza della gente comune. Le bandiere bianche e rosse che ogni domenica sventolano nella capitale fino ai più piccoli paesi della Bielorussia, lungo le strade, sui balconi. E il coraggio di un popolo.