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Volodymyr Zelensky è l’uomo dell’anno?

Secondo il Financial Times, la risposta è sì: il quotidiano britannico ha definito il presidente ucraino «un alfiere della democrazia liberale nella più ampia competizione globale con l'autoritarismo che potrebbe definire il corso del XXI secolo»

Foto via Getty

Ci siamo abituati alla sua figura: lo abbiamo visto rincuorare il suo popolo indossando l’immancabile maglietta verde militare, intervenire in forma di ologramma con tanto di citazione di Star Wars, aprire la mostra del cinema di Venezia, prodigarsi in dichiarazioni un po’ ambigue, sbracciarsi per richiedere l’intervento della NATO e l’adesione ucraina all’alleanza atlantica.

I vari articoli dedicati al suo passato ne hanno messo in luce le differenti anime: il comico nazional-popolare, l’anti-divo per antonomasia, il leader populista in cerca di facili consensi e, infine, la profezia che si auto-avvera, l’attore che interpretava un insegnante stufo della corruzione e dello strapotere degli oligarchi che accidentalmente diventa presidente in una sit-com di discreto successo in patria e che, per uno strano scherzo del destino, poco tempo dopo lo diventa per davvero; un po’ Beppe Grillo, un po’ Checco Zalone.

Come dimenticare, poi, il carico di indignazione che, a luglio, ha travolto la redazione di Vogue America, colpevole di aver mandato Annie Leibovitz a Kiev per fotografare Zelnesky e Olena, sua moglie, all’interno del loro bunker, con set fotografico, luci, piega per lei, t-shirt militare (again) per lui, in quella che in tanti hanno bollato come un’operazione di glamourizzazione del conflitto (secondo altri, e ci sentiamo di sposare questa linea, Vogue non ha fatto altro che il suo lavoro e, com’è ovvio che sia, può occuparsi di guerra quando vuole e nelle modalità che ritiene più opportune).

Complice il corso beffardo degli eventi, Volodymyr Zelensky è entrato a far parte della nostra dieta mediatica quotidiana.

Ora è arrivato anche l’atteso endorsement di uno dei più importanti quotidiani britannici: secondo il Financial Times, il presidente ucraino è l’uomo dell’anno. «A nove mesi dalla brutale lotta per la sopravvivenza nazionale contro gli invasori russi, Volodymyr Zelenskyy appare stanco, con le occhiaie», è l’incipit del pezzo–tributo del FT che racconta il personaggio a partire dall’esperienza come attore alla resistenza contro l’invasione del suo paese voluta dal leader russo Vladimir Putin. «Il 44enne Zelensky si è guadagnato un posto nella storia per la sua straordinaria dimostrazione di leadership e forza d’animo», scrivono Roula Khalaf, Christopher Miller e Ben Hal.

Gli autori hanno anche suggerito un parallelismo con Churchill: come Winston utilizzò la radio per unire il Paese durante il blitz della Germania nazista sul Regno Unito, «Zelensky ha usato i social media con una campagna incessante per ottenere il sostegno militare e finanziario occidentale, trasformando la difficile situazione del suo popolo in una leva morale sui leader di Europa e Stati Uniti. Ha convinto gli europei a sostenere gli enormi costi per opporsi a Putin e ad offrire a Kiev un percorso verso l’adesione all’Unione Europea». Per questa via, si è trasformato in «un alfiere della democrazia liberale nella più ampia competizione globale con l’autoritarismo che potrebbe definire il corso del XXI secolo».

Certo, rimangono alcuni punti un po’ controversi nell’operato del leader ucraino: difficile dimenticare, ad esempio, come abbia gettato benzina sul fuoco in merito al caso dei resti dei missili di marca russa caduti in Polonia. Poco dopo la diffusione della notizia (ingigantita da più fonti ma prontamente ridimensionata da diversi attori, tra cui il presidente americano Biden), Zelensky parlava di «escalation molto significativa» e invitava l’alleanza atlantica a intervenire per garantire la «sicurezza collettiva» (la propaganda di guerra gioca un ruolo importante in entrambi gli schieramenti: non è un segreto, almeno per chi non vive a Disneyland).

A colpire, in ogni caso, sono state in primis le sue doti comunicative: come ha scritto Dario Fabbri tempo fa, «Se la guerra si decidesse solo sulla comunicazione l’avrebbe vinta a mani basse». Il fu comico nazional-popolare oggi sembra quasi aver abiurato la sua stessa natura: ha scelto di svestire i panni del giullare per calarsi nell’archetipo del leader resistente con la massima serietà, ora chiamando la sua gente alle armi, ora spingendo l’Unione Europea all’assunzione di responsabilità, ora alzando l’asticella della tensione. Insomma: per forza di cose, il 2022 è stato l’anno di Zelensky.

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