Nel mondo alla rovescia di Valditara, dove una preside non può essere “troppo antifascista” | Rolling Stone Italia
Dimissioni?

Nel mondo alla rovescia di Valditara, dove una preside non può essere “troppo antifascista”

Dal grottesco "elogio dell'umiliazione" alla minaccia di misure disciplinari contro una dirigente scolastica rea di avere preso posizione contro un'aggressione intollerabile: il ministro dell'Istruzione ha colpito ancora (sbagliando tutto, ovviamente)

Nel mondo alla rovescia di Valditara, dove una preside non può essere “troppo antifascista”

Giuseppe Valditara ospite di 'Mattino Cinque'

Screenshot: Mediaset

In settimana si è parlato moltissimo dell’aggressione subita da due studenti del liceo Michelangiolo di Firenze ad opera di sei militanti di Azione Universitaria – movimento giovanile di estrema destra legato, anche se non in maniera ufficiale, a Fratelli d’Italia –, in relazione ai quali la procura di Firenze ha aperto un’indagine per violenza privata aggravata e manifestazione non autorizzata.

Le opposizioni hanno condannato duramente il gesto, a partire dal sindaco di Firenze Dario Nardella, che ha parlato senza mezze misure di «aggressione squadrista», mentre Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana, ha annunciato che rivolgerà un’interrogazione parlamentare sul tema al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, e a quello dell’Istruzione, Giuseppe Valditara.

Anche diversi esponenti del mondo della scuola hanno condannato il gesto: tra loro la preside del liceo fiorentino “Leonardo Da Vinci”, Annalisa Savino. Due giorni fa, la dirigente scolastica ha pubblicato una lettera per invitare gli studenti a «condannare sempre la violenza e la prepotenza», ribadendo un assunto che dovrebbe essere chiaro a chiunque, ossia le radici antifasciste della Repubblica di cui facciamo parte.

«Chi decanta il valore delle frontiere, chi onora il sangue degli avi in contrapposizione ai diversi, continuando ad alzare muri, va lasciato solo, chiamato con il suo nome, combattuto con le idee e con la cultura», ha proseguito Savino, «senza illudersi che questo disgustoso rigurgito passi da sé. Lo pensavano anche tanti italiani per bene cento anni fa ma non è andata così».

La lettera è circolata moltissimo sui social e ha ricevuto l’attenzione di diversi esponenti politici (di nuovo, soprattutto delle opposizioni) che hanno lodato le parole della preside. La destra, comprensibilmente, ha reagito in maniera vaghissima: Giorgia Meloni – forse perché interamente assorbita dagli impegni internazionali, forse per ragioni di bottega – ha scelto di barricarsi nel silenzio, ricevendo parecchie critiche, dovute soprattutto a un passato difficile da ignorare – la premier, infatti, è stata stata presidente di Associazione Studentesca dal 1996 al 2000.

A rompere gli indugi ci ha pensato il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, docente, giusromanista di chiara fama e uomo di destra da tempi non sospetti. Ex Alleanza Nazionale, ex Popolo della Libertà, ex Futuro e Libertà (uno dei pochi che credette a Fini ai tempi della famosa scissione), il ministro aveva già fatto parlare di sé a novembre, quando palesò i suoi metodi pedagogici non propriamente ortodossi durante l’evento “Italia, direzione nord” organizzato a Milano dall’associazione Amici delle Stelline – in quell’occasione, definì l’umiliazione come «un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità», attirando a sé una marea di critiche.

Da ieri, Valditara è tornato a monopolizzare i nostri feed: intervenendo durante la trasmissione Mattino 5 , il “ministro dell’Umiliazione” non è riuscito a celare un certo fastidio per la lettera di Savino.

Sollecitato da una domanda che faceva una sintesi piuttosto sbrigativa della lettera – e incentivato dal fare non propriamente bipartisan del conduttore, secondo cui, per qualche oscuro motivo, il «rigurgito» menzionato dalla preside sarebbe stato indirizzato non soltanto verso i sei militanti di Azione Universitaria, ma anche verso il governo Meloni –, Valditara l’ha liquidata come una missiva «del tutto impropria» e ha sostenuto che «non compete a una preside nelle sue funzioni di lanciare messaggi di questo tipo». Poi ha aggiunto che «in Italia non c’è nessun pericolo fascista» e che «non c’è alcuna deriva violenta o autoritaria», facendo riferimento probabilmente a un passaggio in cui la preside scriveva che «è in momenti come questi che, nella storia, i totalitarismi hanno preso piede e fondato le loro fortune». Infine ha detto che «difendere le frontiere e ricordare il proprio passato o l’identità di un popolo non ha veramente nulla a che vedere con il fascismo o, peggio, con il nazismo».

In conclusione, Valditara ha chiamato in causa Savino in un modo che lascia pochissimo spazio all’immaginazione: «Se questo atteggiamento dovesse persistere, se ci dovesse essere un comportamento che va al di là dei confini istituzionali, allora vedremo se sarà necessario prendere delle misure. Attualmente non ritengo che sia necessario intervenire». Parole in cui in tanti hanno letto una minaccia neppure troppo velata.

Come da previsioni, le opposizioni sono insorte urlando alle dimissioni, dal sindaco Nardella a diversi altri esponenti del centrosinistra, come il vicepresidente del PD Peppe Provenzano e il leader dei Verdi Angelo Bonelli. Anche la società civile non è rimasta indifferente alle parole del ministro: su Avaaz è stata lanciata una petizione con cui l’associazione Priorità alla scuola ha espresso alla dirigente «solidarietà di fronte alle esplicite minacce di provvedimenti disciplinari, scandalosamente lanciate dal ministro durante un’intervista televisiva» – l’appello, secondo quanto dichiarato dalla portavoce dell’associazione a Repubblica, ha superato la soglia delle 50mila firme.

Ora: dati i precedenti, è ormai chiaro come Valditara rappresenti l’autogol perenne del governo Meloni. Ogni volta che sceglie di pronunciarsi pubblicamente su un tema relativo al suo ambito di politiche, scatena un putiferio. Comunicativamente, il triste “elogio dell’umiliazione” è stato un inciampo di portata epocale, restituendo un immaginario da calzoncini corti in lana grigioverde – forse il prossimo passo sarà sostenere che due schiaffi non hanno mai fatto male a nessuno e che, insomma, alla fine della fiera le bacchettate sulle dita aiutano a imparare le tabelline.

Urlare alle dimissioni è un malcostume parecchio radicato e fastidioso – lo è anche in questo caso: in passato, ministri hanno mantenuto il proprio ufficio per comportamenti decisamente più gravi.

L’uscita di ieri, però, ha inevitabilmente alzato l’asticella dell’inammissibilità: prefigurare sanzioni disciplinari contro una dirigente scolastica rea di avere preso posizione contro un’aggressione intollerabile e di aver ribadito che il fascismo debba essere combattuto «con le idee e con la cultura» è un atto di puro autolesionismo, uno scollamento dalla realtà in piena regola. Il principio che nessuno dovrebbe smarrire, talmente basilare da non dover neppure essere ribadito, è che in una Repubblica antifascista il fascismo si condanna, in primis a scuola: funziona così dal 2 giugno del 1946, pensarla diversamente significa rigettare il valore fondante della Costituzione italiana, quello più importante in assoluto, quel collante che chiunque, a prescindere dal proprio orientamento politico, dovrebbe proteggere e considerare antidivisivo. È questa l’unica lezione che possiamo trarre dal triste siparietto di ieri: forse nel Valditara–verso una preside non può essere troppo antifascista, in Italia ne ha il dovere.

Lo ha spiegato bene il presidente emerito della Corte Costituzionale, Ugo De Siervo, in un’intervista di questa mattina: «Un ministro della Repubblica che, in quanto ministro, ha giurato fedeltà alla Costituzione repubblicana, non può fingere che certe cose non siano avvenute e che abbiano un tono di violenza politicamente motivata. E non può prendersela con una preside che, in termini non violenti, ricorda di doversi ispirare ai valori di dialogo, confronto e fedeltà alla Repubblica».