Un reportage da Ancona, porto aperto | Rolling Stone Italia
PORTO SICURO

Un reportage da Ancona, porto aperto

Mentre il governo gioca a Risiko con i porti, la cittadina marchigiana apre la porte, li accoglie e ci regala una lezione di solidarietà

Un reportage da Ancona, porto aperto

Foto di Antonio Balasco/KONTROLAB/LightRocket via Getty Images

Dicono che gli sbarchi dei migranti siano tutti uguali. Donne, uomini e bambini che scendono a passo lento dalle navi, le coperte della Croce Rossa sulle spalle, lo sguardo disorientato, gli operatori delle ong e la guardia costiera ad accompagnarli a terra, i medici e i paramedici ad assicurarsi che vada tutto bene.

E poi le procedure burocratiche, le lunghe attese, una persona per volta, moduli da riempire per certificare il proprio arrivo sul suolo italiano, lo smistamento verso i centri d’accoglienza e gli alberghi. Intorno può esserci chiunque: attivisti, solidali, semplici passanti. Quasi mai contestatori. Quasi sempre i giornalisti.

Ad Ancona piove e fa freddo, l’umidità rende la mattinata grigia, un gommone della capitaneria di porto si aggira intorno alle Geo Barents, arrivata allo scalo numero 22 dello scalo dorico intorno alle 7 e 30 del mattino di giovedì 12 gennaio. A bordo i salvati sono settantatré. A terra operatori, cronisti e un pugno di militanti a sostenere uno striscione con scritto «Welcome».

La nave ha dovuto percorrere oltre 1.500 chilometri per arrivare sin qui, sulla costa est, in mezzo all’Adriatico. Il viaggio è stato lunghissimo, con una velocità che a volte è scesa anche a 2.5 nodi (5 chilometri orari) perché il mare era agitato e le onde si sono alzate anche fino a quattro metri. Ore in cui la nave sembrava non andare né avanti né indietro, ma solo in su e in giù. Il ponte più basso della Geo Barents si è allagato e le persone a bordo allora sono state portate su quello più in alto. Lontane dall’acqua, ma lì pare che il dondolamento possa raggiungere livelli estremi. Non è stato un viaggio facile anche se – purtroppo – nessuno si era fatto illusioni al riguardo.

Da quando il ministro degli Interni Matteo Piantedosi ha cominciato a giocare a Risiko con i porti italiani, le navi delle ong sono costrette ad aggirarsi per tutti i mari che circondano la penisola in attesa che venga assegnato loro un approdo.

Qualcuno ha notato che i porti che il governo Meloni ha aperto alle ong – Livorno, Salerno e Ravenna prima di Ancona – siano tutti in città amministrate dal centrosinistra, mentre quelle in mano alla destra (Genova, Venezia e Trieste ad esempio) per ora non sembrano essere oggetto di discussione. Il sospetto che si cerchi di scaricare il tutto e, in qualche modo, mettere in difficoltà gli avversi politici è forte e si aggiunge, sempre sulla pelle dei migranti, all’assurdità di non consentire più alle imbarcazioni umanitarie di attraccare nelle località costiere più vicine ai punti dove avvengono i recuperi.

La sindaca di Ancona, Valeria Mancinelli (Pd), scivola via dalle polemiche, parla di «scelta logistica poco felice», aggiunge che «l’arrivo delle navi non da fastidio né a me né alla mia giunta» e conclude dicendo ai cronisti che «sulle assegnazioni dei porti dovete chiedere al governo. Io a questo teatrino non voglio prendere parte».

Ed è la verità: definire problematico l’arrivo dei migranti è un’esagerazione che non trova conferma nelle prassi amministrative di un paese come l’Italia. Gli sbarchi diventano un problema se qualcuno vuole farcelo diventare. Per occupare porzioni di dibattito pubblico che altrimenti riguarderebbero altro, per distrarre dalle questioni più imbarazzanti (vedi il prezzo della benzina), per calcoletto di bottega.

Dopo aver dichiarato i rave party emergenza nazionale, adesso sono le ong l’obiettivo del governo, in un’eterna rincorsa a un nemico invisibile ma che piace moltissimo ai contenitori di spazzatura televisiva, ai fogli di propaganda della destra e, di conseguenza, a un certo tipo di utente di Facebook e di Twitter, il borghese piccolo piccolo che odia tutto ciò che si muove a sinistra degli affaracci suoi.

Piantedosi, contro ogni logica, studio, parere di esperti e senso del ridicolo, continua a ripetere che la presenza delle imbarcazioni dei centri sociali (o «navi dei centri sociali» come pure va di moda dire) nel Mediterraneo sarebbe un fattore di attrazione per chi salpa dalle coste libiche.

Non è così: semplicemente se non ci fossero ci sarebbero più morti annegati, non meno partenze. Ma ormai è qualche anno che i corpi di chi attraversa mezzo mondo alla ricerca di un futuro qualunque sono oggetto dei peggiori momenti di quella campagna elettorale permanente effettiva che per brevità chiamiamo politica. E meno male che almeno nelle Marche sono finiti i tempi della contrapposizione tra i migranti nei resort di lusso e i terremotati abbandonati a se stessi, anche perché quelli che si sono occupati degli sfollati del sisma sono gli stessi che adesso si occupano dei migranti.

«Oramai da anni il Viminale si è trasformato in una macchina di propaganda che genera odio nei confronti di migranti, profughi e richiedenti asilo. Da Minniti passando per Salvini fino a Piantedosi il modus operandi è sempre lo stesso, un enorme strumento di distrazione di massa e costruzione di false emergenze, con tanto di mass media pronti a fare da cassa di risonanza», dicono quelli dell’Ambasciata dei Diritti delle Marche.

Ancona, comunque, da quando sono cominciati gli sbarchi ha mostrato il suo volto di città solidale per storia, tradizione e tendenza. A centinaia, infatti, sin dalla sera del 10 gennaio quando è arrivata la Ocean Vikings (con 37 persone a bordo) si sono radunati al porto esponendo striscioni con scritto «Welcome» e «No discriminazioni».

E quando intorno alle 14 del 12 gennaio si è concluso lo sbarco dalla Geo Barents l’applauso dei presenti è stato fragoroso. «Un clima meraviglioso che non si respirava da tempo – raccontano ancora dall’Ambasciata dei Diritti –, le chat di coordinamento esplodono di foto e di appuntamenti per vedersi. Qualcuno potrebbe dire che si tratta di una sola goccia, speriamo sia quella che innesca una tempesta, per parafrasare Lorenzo Orsetti, Orso».

Oltre tutto questo restano le storie di chi arriva. Adel, chiamiamolo così, ha già troppi ricordi per avere l’età che ha, sedici anni. Chi era a bordo della Geo Barents dice è sembrato sereno per tutto il viaggio, perché ormai aveva capito di essere finalmente in salvo: «Il suo unico obiettivo era far sapere alla mamma che lui era vivo e stava bene». I minorenni sbarcati – trentadue in quarantotto ore – sono stati tutti alloggiati in un hotel della vicina Senigallia, intanto la Prefettura di Ancona cerca operatori e comincia a ragionare sugli affidamenti. Soltanto loro potranno rimanere nelle Marche, gli adulti invece verranno messi su dei pullman e spediti altrove, forse in Lombardia. Ed eccolo qua, alla fine, il futuro che cercavano. È bello, ma fa un po’ paura.