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Tutti odiano Fabio Fazio, ma nessuno sa perché

Da quando l’onda populista e destrorsa ha infiltrato le istituzioni, il conduttore è stato calato nei panni di rappresentante della parte non xenofoba e non identitaria del Paese, il "buonista" per antonomasia. Eppure la sua assenza in RAI si farà sentire. Un in bocca al lupo per chi lo sostituirà: non sarà facile

Foto via Getty

Spesso il consesso mediatico – quello più cattivo e cinico in assoluto, alla costante ricerca dello scalpo dello sventurato di turno – ha potuto contare su solidi appigli per fare della (facile) ironia sulle doti da intervistatore di Fabio Fazio: etichettato a più riprese come “agiografo” (come accadde in occasione dell’ormai celebre colloquio con Obama, secondo alcuni una monumentale marchetta encomiastica), costretto a incassare tacitamente una marea di insulti, tra un “fratacchione” di Vincenzo De Luca e un “cocco dei salotti” di Gianluigi Paragone, nel corso del tempo il conduttore di Che tempo che fa è stato il bersaglio di una specie di sassaiola mediatica, foraggiata da una platea sempre pronta a cogliere ogni occasione possibile per distruggere il suo operato e, quando possibile, mettere in campo ogni strategia utile a soffiare sulla rabbia degli haters – la più famosa delle quali è quella di sbattere in prima pagina i suoi “eccessivi compensi” con toni enfatici e polemici, ormai un classicone della cronachetta da quattro soldi nostrana che siamo costretti a subire passivamente ogni anno.

Questo rumore di fondo è diventato un ritornello costante anche nelle ultime ore: per alcuni, la fine della lunga avventura di Fabio Fazio in Rai è un’ottima notizia. Lo è sicuramente per Giorgia Meloni, che non ha mai nascosto il desiderio di ridisegnare la televisione pubblica sulla base delle necessità della maggioranza, e lo è anche per il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che ieri ha celebrato l’epurazione con un tweet un po’ accattone, ma efficace.

Ieri il conduttore di Che tempo che fa ha parlato pubblicamente del mancato rinnovo del proprio contratto: «Il mio lavoro continuerà altrove, d’altronde non tutti i protagonisti sono adatti per tutte le narrazioni. Me ne sono reso conto e quindi continuo a fare serenamente il mio lavoro altrove che è quello, che ho sempre fatto in questi 40 anni», ha detto.

Di sicuro, sul fronte “narrazioni” Fazio ha ragione da vendere. Il suo non è esattamente il volto più adatto per raccontare un Paese in cui, nell’ordine: 1) i rave rappresentano una minaccia spaventosa – nonostante il numero di morti direttamente imputabili a questi eventi nell’ultimo anno in Italia equivalga a quello di una mezz’ora di escursione all’interno della gloriosa famiglia tradizionale: uno; 2) le ONG finanziate da Soros favoreggiano la sostituzione etnica e devono essere fermate con apposito decreto (nonostante 9 migranti su 10 raggiungano le coste italiane senza l’aiuto delle navi umanitarie); 3) i migranti vengono definiti “carichi residuali”; 4) Dante è venduto come il fondatore del “Pensiero di destra” (…); 5) le umiliazioni aiutano a crescere; 6) i manager declamano a memoria i discorsi pubblici di Mussolini; 7) la seconda carica dello Stato sostiene che nel 1944 «I partigiani uccisero una banda di semi-pensionati, non di nazisti delle SS». Molto meglio una salutare, identitaria, nazionalista, ipocalorica e italianissima “Zuppa di Porro”, ché costa poco e fa pure bene alla salute, o (perché no?) affidare la prima serata a Paolo Del Debbio e al suo mondo parallelo in cui evadere le tasse è “una forma di democrazia”, i cori contro i neri sono goliardia pura e semplice e non c’è differenza tra pregiudizi e opinioni.

Che il conduttore fosse percepito come una minaccia da una certa area politica non era un mistero per nessuno: da quando l’onda nera populista e destrorsa ha infiltrato le istituzioni, Fazio è stato scelto come il nemico pubblico numero uno, venduto come rappresentante della parte non xenofoba e identitaria del Paese. In principio fu la coalizione sovranista, leghista e pentastellata, che lo mise alla gogna per lo stipendio: ai tempi, il ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio definì la retribuzione di Fazio come un “caso”, e il suo sodale di governo Matteo Salvini gli fece eco apertamente di “fenomeno buonista”. Da questo punto di vista, il governo Meloni sembra porsi in perfetta continuità con l’operato dei predecessori: non è un caso se l’uomo scelto per dare il via al repulisti di Viale Mazzini è Giampaolo Rossi, l’opinionista anti Soros che, a giorni, diventerà il nuovo direttore generale della Rai. Rossi ha messo Fazio nel mirino da tempi non sospetti: l’anno scorso, chiamando implicitamente in causa Che tempo che fa, parlò di «Alcuni programmi, sotto l’etichetta dell’intrattenimento, producono un condizionamento culturale e politico». Insomma: la volontà di accompagnarlo alla porta era più che manifesta.

Ma proviamo a lasciare da parte logiche di lottizzazione, calcoli politici e opinioni personali sullo stile di conduzione (che può legittimamente non piacere) per porci la più scontata delle domande: Fabio Fazio era l’uomo giusto per un’azienda come la RAI?

La risposta l’ha data lo stesso conduttore in un’intervista di qualche tempo fa: «Le regole le fa il mercato, nessuno regala nulla. Il programma costa 450 mila euro, 15 secondi di pubblicità costano 40mila euro. Considerando 16 minuti di pubblicità, si fa presto a comprendere costi e ricavi». Nulla di strano: Che tempo che fa ha sempre portato ascolti, che significa anche pubblicità, dunque soldi. Con una media di share che su Rai3 è doppia di quella di rete. Fazio l’ha sempre saputo e, sul punto, ha sempre mostrato assoluta trasparenza.

Non è un caso se il conduttore, per anni, ha chiesto alla RAI di rendere pubblici i ricavi del suo programma per spegnere ogni possibile polemichetta sul suo cachet, ma la sua richiesta non è mai stata accolta. Come riporta questa mattina il Corriere, però, chi sa di conti, assicura però che, a fronte di una spesa di 450 mila euro a puntata, gli incassi arrivano al milione.

Se non vogliamo credere ai retroscena, però, possiamo fidarci della Corte dei Conti, che nel 2019 ha archiviato un’inchiesta per danno erariale nei confronti del conduttore, certificando il circolo virtuoso costi–benefici: nessuno scandalo, Fazio è una manna dal cielo per i conti dell’azienda

E poi, che piaccia o meno, c’è un tema grosso come una casa: la qualità del programma. Con tutti i limiti del caso, in una televisione costituzionalmente vecchia, asfittica e pochissimo a passo con i tempi, Fazio è riuscito a realizzare la cosa più vicina a un Late Show americano mai partorita in Italia. Ha portato negli studi RAI Magic Johnson, i Metallica, Barack Obama, Emmanuel Carrère, il Papa, solo per dirne alcuni: chi c’era riuscito prima di lui? 

A chi lo dovrà sostituire non possiamo che augurare un grosso in bocca al lupo: non sarà semplice. L’editto bulgaro meloniano potrebbe trasformarsi presto in un boomerang. 

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