TikTok è un’arma della Cina per spiare gli americani? | Rolling Stone Italia
A Spy Story?

TikTok è un’arma della Cina per spiare gli americani?

Secondo Biden, che vorrebbe vietare l'utilizzo negli Stati Uniti, la risposta è sì. Ieri il CEO della compagnia ha parlato davanti al Congresso americano per tranquillizzare gli animi, spiegando che «Il governo cinese non ha accesso a questi dati». Ma sarà vero?

TikTok è un’arma della Cina per spiare gli americani?

La deputata Kat Cammack interroga il CEO di TikTok, Shou Zi Chew, durante l'audizione in Congresso. 23 Marzo 2023

Foto di Nathan Posner/Anadolu Agency via Getty Images

Negli Stati Uniti si parla solo di TikTok: anche avendo trascorso gli ultimi mesi in una caverna, sfogliando le home dei principali quotidiani americani – dal New York Times al Washington Post fino a USA Today – è facile rendersi conto di come l’app cinese – che oltreoceano è utilizzata da più di 150 milioni di utenti – abbia finito per occupare un posto di primissimo piano all’interno del dibattito pubblico.

Sintetizzando i termini della contesa: l’amministrazione Biden vorrebbe vietare l’utilizzo di TikTok negli states o, in alternativa, venderlo a una compagnia americana. Il motivo è semplice: si sospetta che la struttura corporativa di TikTok obblighi la piattaforma a condividere le informazioni degli utenti con il governo cinese.

L’app è sul banco degli imputati da tempi non sospetti: nel 2020, l’ex presidente Donald Trump ha tentato di vietarla, senza riuscirci.

A dicembre, dopo mesi di audizioni al Congresso, il governo ne ha proibito l’utilizzo sui dispositivi federali e molti Stati federati e università hanno seguito la stessa strada. Si tratta di misure simboliche e poco impattanti, dato che è l’applicazione può ancora essere utilizzata sui dispositivi personali e il suo bacino di utenti continua a crescere, ma che rendono chiaro quanto la pervasività della piattaforma preoccupi le istituzioni americane.

Ieri il CEO di TikTok, Shou Zi Chew, è stato protagonista di un’audizione davanti al Congresso che ha fatto molto discutere: provando a tranquillizzare gli animi, ha definito il rischio sicurezza paventato da Biden «ipotetico e teorico», sollevando qualche sopracciglio tra i deputati. Riguardo alle preoccupazioni sull’uso dei dati personali degli utenti, la privacy e la sicurezza, Chew ha dichiarato di aver portato avanti interventi in questa direzione e di avere intenzione di continuare a farlo. Ha aggiunto di non avere «prova del fatto che il governo cinese abbia accesso a questi dati: non ce li hanno mai chiesti e noi non li abbiamo mai forniti».

In aula il clima era tesissimo: la stragrande maggioranza dei rappresentanti non ha accolto con convinzione le argomentazioni di Chew. Il CEO è stato criticato da alcuni deputati per aver dato risposte evasive e «nebulose» e un membro del congresso ha paragonato la sua udienza a quella avvenuta con l’amministratore delegato di Facebook Mark Zuckerberg nel 2018, durante il caso Cambirdge Analytica. A suo sfavore ha giocato anche un grave precedente: a dicembre TikTok ha dovuto ammettere che «alcuni dipendenti» di ByteDance (dipinti come le classiche “poche mele marce”) hanno violato la privacy di giornalisti americani che indagavano proprio su TikTok, nel tentativo di scoprire la fonte di indiscrezioni venute dall’interno dell’azienda.

Non sono mancati momenti imbarazzanti: ad esempio, Chew ha scelto di non rispondere a una domanda sulla persecuzione degli Uiguri (una minoranza di religione musulmana e di etnia turcofona che risiede principalmente nella vasta regione dello Xinjiang), quello in cui ha ammesso che i dipendenti di ByteDance, la società proprietaria di TikTok, hanno accesso ai dati degli utenti americani, e quello in cui il Ceo ha per un attimo perso la compostezza e ha lanciato una frecciatina ai parlamentari americani e a un illustre collega: «Neanche le aziende americane non brillano per correttezza, da questo punto di vista», ha detto Chew rispondendo a una domanda sulla capacità di TikTok di eliminare i contenuti violenti e di proteggere i dati personali degli utenti: «Vi ricordate di Facebook e Cambridge Analytica».