Amnesty International: «Ci auguriamo che il governo faccia il possibile per scarcerare Zaki» | Rolling Stone Italia
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Amnesty International: «Ci auguriamo che il governo faccia il possibile per scarcerare Zaki»

Dopo la sentenza di ieri abbiamo intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International: «Chiediamo a Giorgia Meloni un risultato concreto, che possa evitare questi ulteriori 14 mesi di detenzione».

Amnesty International: «Ci auguriamo che il governo faccia il possibile per scarcerare Zaki»

L'arrivo di Patrick Zaki davanti al tribunale di Mansura, il 21 giugno del 2022

Foto di Mohamed EL-RAAI / AFP via Getty

Ieri il tribunale di Mansura, in Egitto, ha condannato Patrick Zaki a tre anni di carcere con una sentenza inappellabile. L’ex studente dell’Università di Bologna ha già scontato un anno e 10 mesi di detenzione, e di conseguenza dovrà trascorrere dietro le sbarre ancora un anno e due mesi.

«Abbiamo vissuto la sentenza di ieri come una specie di azzeramento: tutti gli sforzi che abbiamo compiuto negli ultimi tre anni sono stati cancellati con un colpo di spugna. È come se fossimo tornati alla notte tra il 7 e l’8 febbraio 2020, quando Patrick fu arrestato», spiega a Rolling Stone Italia Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International e attivista che ha seguito da vicino la vicenda di Zaki sin dall’inizio. «Stiamo superando questa fase di sgomento, almeno a livello di piazza: ieri c’è stata una grande manifestazione a Bologna, e in settimana ne saranno organizzate altre in diverse città italiane».

Secondo Noury, alla consapevolezza dell’opinione pubblica, fa purtroppo riscontro «un deficit profondo di attenzione politica verso questa vicenda, un deficit che ha interessato tre diversi governi. Ieri Giorgia Meloni ha dichiarato pubblicamente che prospetta fiducia. Bene: le chiediamo di passare da questa affermazione di ottimismo a un risultato concreto, che possa consentire a Patrick di evitare ulteriori 14 mesi di detenzione».

Un punto su cui Amnesty ha insistito moltissimo negli ultimi anni riguarda la concessione della cittadinanza a Zaki, con l’obiettivo di fornire allo studente maggiori garanzie legali e fare pressione sull’Egitto per ottenerne la liberazione. Il governo potrebbe conseguire questo risultato basandosi su una legge del 1992 che prevede questa possibilità per un cittadino straniero «quando questi abbia reso eminenti servizi al Paese, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato». La concessione della cittadinanza a Zaki ricadrebbe, quindi, nella seconda ipotesi, dando per assodato che lo stato italiano abbia un «eccezionale interesse» a garantire l’incolumità dello studente di un suo ateneo.

Il Parlamento ha compiuto qualche azione concreta in tal senso: ad esempio, nel 2021, il Senato e la Camera hanno approvato due mozioni per il conferimento della cittadinanza italiana all’allora studente (Zaki si è laurato all’università di Bologna lo scorso 5 luglio, discutendo la propria tesi a distanza). L’ultima parola, però, spetta al governo, che può decidere autonomamente quali iniziative intraprendere. La cittadinanza, ovviamente, non sarebbe sufficiente per garantire la scarcerazione, ma aumenterebbe la forza contrattuale dell’Italia sul tavolo delle trattative: il governo agirebbe infatti in difesa di un suo cittadino, aumenterebbe la pressione sull’Egitto e farebbe cadere le accuse di intromissioni negli affari interni di un altro Stato. «Avrebbe potuto essere una soluzione molto utile per garantire a Patrick una maggiore protezione. Oggi resta un tema importante, ma le speranze sono poche: già allora il governo si precipitò a dire che questa strada avrebbe potuto essere controproducente, che sarebbe stato meglio agire con cautela e prudenza per non irritare ulterorimente l’interlocutore. Alla fine cosa abbiamo ottenuto? Il nulla», spiega Noury.

La strategia dei governi sulla questione Zaki, finora, è stata portata avanti con segretezza e in via informale. «È nella natura della diplomazia intraprendere azioni non pubbliche, e va benissimo così: l’importante è che si faccia qualcosa. Ai nostri lidi, invece, si sta percorrendo la strada opposta: tanta enfasi sull’importanza dei diritti umani, ma alla prova dei fatti non cambia nulla». Noury precisa che la segretezza delle trattative ha portato un qualche tipo di risultato: «È indubbio che la scarcerazione di Patrick dell’8 dicembre del 2021 sia stata anche il frutto di un intervento istituzionale, ma da quel momento in poi ha regnato l’immobilismo: tutti si sono dimenticati del Patrick imputato, concentrandosi unicamente sul Patrick in libertà vigilata». «Si è pensato che tutto fosse terminato – prosegue Noury –, che non ci fosse più bisogno di esercitare un qualche tipo di pressione, e così facendo si è perso di vista il dettaglio più importante: l’imputazione di Patrick in un tribunale di emergenza e che, di conseguenza, non prevede possibilità di appello. Chi ha contezza della questione sa perfettamente che in Egitto “imputato” è sinonimo di “condannato”. Ecco perché per la sentenza di ieri si può provare amarezza, non certo stupore. Questo risvolto era nell’aria da mesi».

Un altro strumento potenzialmente a disposizione del nostro Paese è la Convenzione dell’ONU contro la tortura, promulgata nel 1984 e ratificata sia dall’Italia sia dall’Egitto negli anni successivi: le torture che Zaki ha subito nelle ore successive all’arresto all’aeroporto del Cairo sono, ormai, di dominio pubblico, e agire su questo fronte potrebbe portare a una risoluzione della questione. «La convenzione prevede un meccanismo di ricorso interno per gli Stati sottoscrittori», spiega Noury. «Uno stato può denunciarne un altro per aver commesso atti di tortura. A quel punto si avvia un processo negoziale che può terminare con un’opera di risarcimento, ossia il ripristino dei fatti precedenti la tortura. Nel caso dell’Italia, quindi, il risarcimento sarebbe la scarcerazione di Zaki. Finora, però, questa possibilità non è stata mai presa in considerazione».

Il team legale di Patrick sta studiando tutte le risicatissime possibilità che ha a disposizione per evitare la continuazione della detenzione di Patrick: «Al momento le strade percorribili sono due: l’annullamento del processo, che può avvenire soltanto nel caso di un vizio procedurale, e la grazia del presidente, quindi un provvedimento extragiudiziale».

Per mesi il dibattito sulla questione Zaki è stato incentrato anche sul grande tema degli interessi italiani italiani in Egitto, primo acquirente delle armi prodotte in Italia e Paese strategico dal punto di vista energetico. Ma quanto pesano, questi interessi? Secondo Noury «Incidono al cento per cento: l’Egitto, per il nostro paese, rappresenta un grosso mercato per la vendita di armi, e anche una fonte di idrocarburi imprescindibile, data anche la necessità di diversificare i fornitori per non alimentare la guerra di invasione russa in Ucraina. E poi non bisogna dimenticare la questione migratoria, dato il ruolo che l’Egitto ha nella questione libica. In questo quadro purtroppo i diritti umani sono i grandi assenti, sempre e comunque».