Silvio Berlusconi, larger than life | Rolling Stone Italia
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Silvio Berlusconi, larger than life

Com'era l'Italia prima di Berlusconi? E come dovremmo considerarlo? Lo inquadriamo come l'uomo che ha sventrato il Paese o come un personaggio la cui statura è non meno che mitologica? Forse non ci sono risposte valide a queste domande

Silvio Berlusconi, larger than life

Foto di Giorgio Cosulich/Getty Images

Come si scrive il coccodrillo di Silvio Berlusconi? La questione non è nuova. Quasi tutti i giornali ne hanno uno pronto da anni. O da decenni. E non possiamo escludere che alcuni degli autori siano morti nel frattempo. Da quando nel 2006 Berlusconi si è fatto impiantare un peacemaker negli Stati Uniti, le redazioni hanno cominciato a ragionare seriamente sul da farsi in caso di dipartita. Funziona così, di solito: si prende una bella penna e le si chiede di scrivere un bel numero di righe per rievocare i momenti più salienti della vita del morto di turno.

Ecco, come si fa con Berlusconi? L’aneddotica è vastissima, così come è pressoché sterminato il repertorio di barzellette su di lui e non si contano gli spifferi, le storielle forse quasi del tutto inventate o forse quasi del tutto vere che lo riguardano. Impossibile, poi, tener conto delle tesi, delle opinioni, delle analisi sul berlusconismo come fenomeno storico, sociale, antropologico, metafisico.

Tantissimi hanno detto la loro su quanto quest’uomo abbia cambiato la nostra storia, il nostro modo di pensare, il nostro sguardo sulle cose. Anche a volersi limitare al suo curriculum giudiziario, l’impresa sarebbe comunque titanica. Nel 2009 Rolling Stone elesse Berlusconi rockstar dell’anno: la decisione fece discutere, ma le intenzioni erano probabilmente giuste. La categoria è quella: al di là del bene e del male, oltre la condotta ordinaria, prima delle intenzioni, dopo le riflessioni.

«Larger than life» è un’espressione idiomatica anglosassone che si può tradurre con «incredibile», «straordinario» o, letteralmente, «più grande della vita stessa». Ecco, siamo di fronte a un personaggio del genere: incredibile perché tutto quello che lo riguarda di credibile ha ben poco, straordinario perché di certo fuori da ogni ordinarietà, più grande della vita stessa perché, be’, la metafora pare calzante. Servirebbe un poeta. Qualcuno in grado di dire tutto in poche parole.

Quando morì Napoleone Bonaparte, Alessandro Manzoni in due sillabe si dimostrò in grado di dire tutto. «Ei fu». Suona come una fucilata. Anche lui, però, poi si è trovato costretto ad andare avanti per altri 107 versi. Ed era Alessandro Manzoni. E quell’altro era Napoleone Bonaparte. Anche Shakespeare ha messo in bocca a Marco Antonio un cospicuo numero di parole per fargli dire della morte di Giulio Cesare. Ed era Shakespeare. E quell’altro era Giulio Cesare.

Eccessivo? Troppo retorico? Stiamo divagando. Però è vero che dobbiamo metterci d’accordo: Berlusconi lo inquadriamo come l’uomo che ha sventrato l’Italia o come un personaggio la cui statura è non meno che mitologica? Non ci sono risposte valide a questa domanda. La storiella del bambino che va al cimitero col padre, guarda le lapidi piene di belle parole per tutti e chiede dove mai siano sepolti i cattivi, ormai, la conosciamo tutti. Ad ogni buon conto, limitarsi a elencare le malefatte di Berlusconi sarebbe ridondante. Oltre che inutile. E pure un po’ meschino.

Potremmo parlare dei suoi nemici, di tutti quelli che si sono messi in mezzo tra Berlusconi e i suoi voleri e sono stati tutti sistematicamente schiacciati. Persino Romano Prodi – l’unico in grado di batterlo non una ma ben due volte alle elezioni – ormai appartiene al passato, protagonista di una stagione che non c’è più. E invece Silvio c’è ancora. E Fini? Ve lo ricordate? Adesso lo intervistano come padre nobile della nuova destra, ma quando osò sfidare Berlusconi ne uscì tagliato a fette. Alfano? Ah, povero Angelino.

Per non parlare della sinistra: che brutta fine che hanno fatto tutti quanti. Guardatelo oggi, Occhetto. Va in televisione vestito come uno dei Dik Dik e nessuno capisce bene le cose che dice. Il famoso completo marrone con cui perse il confronto televisivo del 1994 era solo l’inizio. Anzi, è quasi da rimpiangere. E però non è abbastanza. Raccontare Berlusconi a partire dai suoi nemici non funziona. Anche perché a lui dei nemici è sempre fregato il giusto, cioè molto poco. 
In un’intervista di qualche tempo fa, Patty Pravo disse in poche parole quella che, a conti fatti, appare come la più grande verità su Berlusconi: «Ho fatto un certo a casa sua, in Sardegna. Una bellissima serata. Tra l’altro fa dei gelati buonissimi. Con me c’era la mia band, tutta gente di sinistra, che a fine serata non era più di sinistra. Stavano tutti lì con quei gelati e lo adoravano».

La vita è mossa dal desiderio, e il desiderio che Berlusconi ha inseguito per tutta la vita era quello di piacere a tutti. Dicono che i suoi malumori siano stati leggendari. La sensazione di stretta nel petto e di stomaco aggrovigliato è un’esperienza comune a tutti. Lui la provava quando apprendeva di non essere amato. Una cosa molto infantile, si direbbe. Un narcisismo patologico. Una dimostrazione di megalomania. Tutto vero, tutto esatto. Tutto qui.

In fondo è dal 2011 che non è più capo del governo. E per quanto sia rimasto influente e potentissimo, sono ormai parecchi anni che non è più il presidente degli italiani. È rimasto però Berlusconi fino all’ultimo, e a tratti è stato in grado di scatenare anche moti sinceri di ammirazione per la sua capacità di restare al centro della scena. Anche se in realtà la scena era ormai altrove e lui al massimo poteva aspirare a un posto da comprimario o da figurante. Questo tramonto è stato abilmente mascherato dal suo impero mediatico, e noialtri abbiamo assistito senza fiatare all’ostentazione costante e priva di qualsivoglia senso della misura di una piaggeria degna dell’epoca delle corti e dei cortigiani.

Ci andava bene così. Nanni Moretti diceva che Emilio Fede, quando dirigeva il Tg4 (e come lo conduceva…), non era un personaggio comico ma tragico, violento. La stessa cosa potremmo dire dei direttori dei giornali di Berlusconi, degli adoratori messi a comandare sulle sue reti televisive, dell’esercito di pagati che continuano a perorare la sua causa in ogni discussione pubblica. Ci hanno sfiancato, non riusciamo più nemmeno ad odiarli come dovremmo, abbiamo dimenticato quanto ci abbiano fatto del male, vessato, umiliato, ridotto ai minimi termini. Quanto siano riusciti a cambiarci. La politica di oggi si muove tutta sulle coordinate disegnate da Berlusconi ai tempi della sua discesa in campo, quello che c’era prima è un ricordo sbiadito, l’alone di qualcosa che non riusciamo più ad afferrare.

Lo storico Gianpasquale Santomassimo sostiene che nel 1994, in Italia, c’è stato un referendum tra anticomunismo e antifascismo. Ricordiamo com’è andata a finire e sappiamo chi è stato il principale autore di questo incredibile rovesciamento. Adesso i nipotini di Salò comandano e dirsi comunisti, cioè eredi di una delle forze che hanno costruito la democrazia di questo paese, è quasi una bestemmia. E pensare che Berlusconi fascista non lo è stato mai. E non per motivi ideali, ma per cinico interesse di bottega. Parliamo di un figlio della Milano che bada al sodo, gente consapevole di quanto Mussolini e i suoi fossero dei cialtroni e nulla più. E figuriamoci allora gli eredi. Silvio aveva però capito che potevano tornargli utili, e allora li ha usati per raggiungere i propri scopi: l’aria che tira lui l’ha sempre saputa intuire un attimo prima che arrivasse.

Ma com’era l’Italia prima di Berlusconi? Possiamo elencare fatti, cose e persone, ma «quella maniera» di intendere la realtà, semplicemente, non esiste più. E a ucciderla è stata lui: l’uomo che ha cambiato le regole del gioco e le ha riscritte a sua immagine e somiglianza nella stessa identica maniera con cui ha riscritto un gran numero di leggi per evitare di finire in galera. Che tempi estremi che abbiamo vissuto. Quanta rabbia abbiamo sprecato? Quante parole? Quanto eravamo convinti di aver ragione? Che ci piaccia o meno, Berlusconi lo abbiamo perdonato. Perché lo abbiamo capito. Il suo desiderio di essere amato – di essere amato da chiunque – era la manifestazione di un sentimento che tutti quanti abbiamo incontrato almeno una volta. Avete capito, no? Era paura di morire.

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