«Siamo odiati da tutti». Parlano le comunità rom e sinti in Italia | Rolling Stone Italia
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«Siamo odiati da tutti». Parlano le comunità rom e sinti in Italia

"Ladro", "parassita", "rapitore di bambini": questi sono soltanto alcuni degli epiteti denigratori che vengono affibbiati a queste comunità. Abbiamo intervistato il portavoce dell'associazione Ketane, che chiede il riconoscimento dello status di minoranza

«Siamo odiati da tutti». Parlano le comunità rom e sinti in Italia

Foto di Stefano Montesi - Corbis/ Getty Images

«Ci odiano perché questo paese non ha del tutto fatto i conti col suo passato fascista, l’odio affonda le sue radici in quella tradizione», risponde Noell, quando gli chiedo il perché di tanto astio nei loro confronti. 
Noell ha meno di trent’anni, i capelli neri tagliati alla moda e ha appena passato tutta quanta la settimana a Pitti Uomo, la manifestazione fiorentina di riferimento per la moda maschile italiana.

Ladro, parassita, sporco, rapitore di bambini, usurpatore di alloggi popolari, zingaro pidocchioso. Questi sono soltanto alcuni degli epiteti denigratori che la maggioranza è solita riservare a quelli come lui, costretti a sopportare sguardi di disapprovazione e disgusto in un qualsiasi contesto di italiana normalità; a Noell, invece, nessuno lo guarda con sospetto. In lui, infatti, non c’è nulla che corrisponda allo stereotipo del nomade, è uno stilista affermato ed è perfettamente inserito dentro la comunità locale.

Questa affermazione, apparentemente innocua, necessita però di un inevitabile inciso. L’aspetto esteriore e il tipo di occupazione, infatti, non dovrebbero avere nulla a che fare con la discriminazione e con il rispetto dei diritti inalienabili dell’uomo, perciò sottolineare la lontananza di un soggetto dallo stereotipo che la collettività, in maniera pregiudiziale, sottintende per rappresentarlo non dovrebbe essere necessario; purtroppo, in una società che sputa in continuazione la parola zingaro con disprezzo, si è costretti a fare certe precisazioni. 
«Molti di noi tendono a nascondere la propria etnia, si parla molto di “coming out etnico”, io sono d’accordo, penso che si dovrebbe essere orgogliosi di quello che si è, però se dire da dove vieni trasforma la tua vita in un inferno c’è da riconoscere che non è una cosa semplice», dice mentre guarda i capi appesi alle pareti del suo atelier. Poi continua: «Io stesso ho avuto delle difficoltà durante l’infanzia, sono un sinto (una delle etnie appartenenti alla più ampia famiglia delle comunità romaní dell’Europa, ndr) e dal mio aspetto esteriore è difficile comprendere la mia etnia; se anche io provavo a nasconderla però, c’era sempre qualcuno che lo diceva al posto mio, in primis gli insegnanti».

Ci siamo incontrati perché è uno dei portavoce di Kethane, un movimento nato con l’intento di unire rom e sinti, per aiutarli a rivendicare il proprio posto nella società e per proporsi come interfaccia di dialogo con la politica. «Da anni le nostre comunità sono esposte a campagne di pregiudizio e discriminazione che, negli ultimi tempi, trovano sostegno e giustificazione in una politica che ha assunto la ruspa come simbolo e lo sgombero come pratica. Questa campagna, non contrastata a sufficienza dalle istituzioni e sostenuta da una parte dei media, provoca un odio profondo nei nostri confronti», si può leggere sul sito dell’associazione.

Ad oggi, in Italia, i rom sono la comunità più discriminata ed emarginata del paese, anche se non gli è riconosciuto lo status di minoranza. «Questa è la nostra battaglia principale, l’obiettivo portante su cui vogliamo concentrarci. Ed è anche una delle proposte che lanciamo alle forze politiche in occasione delle elezioni», spiega Noell.

Il mancato riconoscimento istituzionale della comunità rom e sinti li priva, infatti, della tutela garantita a tutte le minoranze e impedisce un efficace contrasto a discriminazione e pregiudizio, alle campagne d’odio e di strumentalizzazione politica che sono causa della mancata inclusione e della conseguente marginalizzazione sociale, civile ed economica. Nonostante vengano percepiti come un elemento esterno, i rom e i sinti sono, infatti, una minoranza storico-linguistica presente nella nostra penisola fin dal 1400. Ad oggi sono circa 180mila, di cui oltre il 70% cittadini italiani e i restanti praticamente tutti quanti cittadini comunitari.

Soltanto una piccola percentuale vive nei campi nomadi, ma quella situazione di disagio forzato, tipicamente italiana, porta, inevitabilmente, a episodi di microcriminalità che poi vengono spalmati sull’intera comunità; dimenticando che la responsabilità non è dell’etnia, ma della marginalità, condizione imputabile a precise scelte istituzionali.

Secondo l’enciclopedia Treccani, il concetto di minoranze nazionali viene generalmente adottato per definire – attraverso dati di carattere storico e con riferimento a tradizioni, costumi, vicende politiche – quei gruppi demici presenti nel territorio di uno Stato non coincidenti con la prevalente comunità o con la maggioranza etnico-linguistica che lo compone.

Il diritto di protezione che consegue l’inserimento nella categoria è tanto più importante se si tiene conto della fragilità di questo gruppo etnico che, nel corso dei secoli, è stato vittima di ingiustizie e vessazioni nonché di un vero e proprio genocidio, il Porrajmos, portato avanti con l’internamento e lo sterminio sistematico nei campi di concentramento, da nazisti e fascisti. La tragedia del popolo romaní non si è fermata neppure con l’arrivo della modernità, fino agli anni’70 del secolo scorso, infatti, in paesi come la Svezia e la Svizzera erano ampiamente diffuse pratiche eugenetiche come la sterilizzazione forzata, consuetudine barbara che, secondo Amnesty international, in Repubblica Ceca è andata avanti fino al 2007.

Il 12 febbraio si voterà per il rinnovo di alcune amministrazioni regionali, tra cui quelle del Lazio e della Lombardia, e il movimento intende rilanciare le proposte già esplicitate alle forze politiche in occasione delle elezioni politiche dello scorso settembre. Oltre al riconoscimento dello status di minoranza, l’organizzazione chiede alle istituzioni la creazione di uno strumento di confronto permanente con i decisori, un gruppo di lavoro presso i ministeri predisposti, composto da rom e sinti, con capacità di rappresentanza e competenze specifiche.