Perché ce l’hanno tutti con Soros? | Rolling Stone Italia
Il nemico di tutti

Perché ce l’hanno tutti con Soros?

Anni di accuse e teorie del complotto non hanno bloccato il miliardario ungherese–americano e i suoi finanziamenti alle ONG europee, ma forse ora potrebbe essere arrivato un cambio di strategia

Perché ce l’hanno tutti con Soros?

George Soros nel 1993

Foto: Daniel SIMON/Gamma-Rapho via Getty Images

Negli ultimi giorni Elon Musk ha accusato il miliardario ungherese-americano George Soros di voler distruggere la civiltà occidentale. Lo ha fatto con un commento su X a un filmato sugli sbarchi che faceva riferimento a una presunta «invasione dell’Europa guidata da George Soros». «L’organizzazione di Soros sembra non volere altro che la distruzione della civiltà occidentale», ha scritto il proprietario di X.

Ma chi è George Soros e perché è una figura così controversa? Perché l’odio verso di lui è così trasversale, al punto da comprendere uno degli uomini più ricchi del mondo e uno spettatore medio di Rete4? La risposta probabilmente sta nel ruolo che Soros ha assunto a livello globale: il filantropo è stato oggetto di molteplici teorie complottiste, spesso antisemite, a causa delle sue Open Society Foundations; attraverso questi enti, Soros sostiene gruppi della società civile, tra cui alcuni che lavorano su questioni come la sicurezza e il benessere di migranti, rifugiati e richiedenti asilo. Il bersaglio perfetto per l’estrema destra.

Pensare che Soros voglia distruggere l’Occidente fa sorridere pensando alla sua storia. Da ragazzo, negli anni Trenta, Soros visse in un appartamento in Kossuth tér, la piazza che si affaccia sul palazzo del Parlamento di Budapest, finché la sua famiglia non fu costretta a dividersi e a vivere sotto false identità per sfuggire all’Olocausto. Lasciò l’Ungheria nel 1947 per studiare a Londra e successivamente emigrò negli Stati Uniti, guadagnando miliardi come investitore e gestore di hedge fund. Qui costruì la sua carriera di finanziere, che lo portò nel 1992 a essere noto come “l’uomo che ha rotto la Banca d’Inghilterra” dopo aver guadagnato un miliardo di dollari scommettendo contro la sterlina. Dopo aver fatto fortuna a Wall Street, è diventato però uno dei più fermi sostenitori della democrazia e dei diritti umani, soprattutto in Europa orientale: ha iniziato a convogliare la sua immensa fortuna in fondazioni che hanno promosso l’idea della “società aperta”, concentrandosi inizialmente sull’Ungheria e su altri regimi nella sfera di influenza sovietica.

Così si è arrivati a oggi: ogni anno attraverso le sue fondazioni Soros finanzia con oltre 186 milioni di euro una miriade di ONG europee. La posizione che questa istituzione privata occupa a sostegno della società civile è quasi unica. Alberto Alemanno, professore di diritto dell’Unione europea e fondatore di The Good Lobby, ha scritto che “Nella storia, nessun’altra fondazione ha fatto di più per costruire e sostenere la società civile europea. Dopo aver inizialmente incoraggiato il dissenso dietro la cortina di ferro – compreso il Paese natale di Soros, l’Ungheria – oggi è difficile trovare un’associazione no-profit (o un’iniziativa di interesse pubblico) ben avviata che operi nell’Unione e che non abbia beneficiato del sostegno della fondazione”.

Ora però un nuovo orientamento sembra farsi strada, nonostante una serie di smentite: la nuova strategia porta la firma del nuovo presidente Alexander Soros, figlio trentasettenne di George. La vera domanda è se l’inversione di rotta abbia più a che fare con le preferenze personali della nuova leadership che con una rigorosa valutazione sullo stato della democrazia nell’Ue. La cosa certa è che l’impegno di Soros a livello politico ha attirato le attenzioni di tutto il mondo. In Europa e nel resto del globo non mancano i nemici del magnate e delle sue attività, anche tra i capi di Stato: tra i più attivi c’è ovviamente il presidente ungherese Viktor Orbán, minacciato dall’attenzione di Soros per la sua patria. E pensare che nel 1989 è stato proprio lo stesso finanziere a pagare un soggiorno di studio in Gran Bretagna a Orbán.

La reputazione di Soros in Ungheria è stata particolarmente colpita durante la crisi dei migranti del 2015, quando il suo impegno a favore di un trattamento umano dei rifugiati si è scontrato con il governo ultraconservatore ungherese e con i nascenti sovranisti europei. Orbán lo ha definito come una persona che ha “rovinato la vita di decine di milioni di persone” con la sua speculazione finanziaria. La cosa negli anni è andata oltre l’Ungheria. In Romania, il politico Liviu Dragnea ha affermato che Soros e le sue organizzazioni hanno “alimentato il male” nel Paese; mentre un conservatore polacco ha definito Soros “l’uomo più pericoloso del mondo”. Anche la destra statunitense si è unita: il conduttore radiofonico trumpiano Alex Jones ha affermato che Soros è a capo di una “mafia ebraica”.

Poco alla volta, il discorso anti-Soros è diventato mainstream, alimentando la narrazione populista anti-migranti. Soros è stato per anni il bersaglio di teorie complottiste in molti Paesi, ma il governo di Orbán ha portato la questione a un nuovo livello nel 2017, con una campagna mediatica che diceva agli ungheresi di non lasciare che fosse Soros a ridere per ultimo. Il governo ha finanziato cartelloni a Budapest e in altre città che raffiguravano Soros come un burattinaio.

Come ha scritto il New York Times, la destra (soprattutto quella estrema) vede in lui un villain perfetto: per anni, dall’Asia all’Europa fino agli Stati Uniti, Soros è stato dipinto come un capro espiatorio, come l’uomo che ha provocato il crollo delle valute o l’aumento dell’immigrazione. Ora è stato accreditato dalla destra americana di un nuovo risultato: l’incriminazione di Donald Trump. La bibliografia social delle teorie su Soros è pressoché infinita: gli utenti hanno visto nel miliardario un ex nazista, hanno detto che “giura di distruggere gli Stati Uniti”, che possiede i movimenti ANTIFA e Black Lives Matter e che paga i manifestanti. Negli Stati Uniti, Soros è stato anche erroneamente collegato a eventi come la Women’s March del 2017, l’attivismo per il controllo delle armi, il flusso di migranti dell’America centrale.

Le prime teorie su sono apparse all’inizio degli anni Novanta, ma hanno preso piede dopo la sua condanna della guerra in Iraq del 2003 e l’inizio delle donazioni di milioni di dollari al Partito Democratico americano. Da allora, i commentatori e i politici americani di destra si sono accaniti contro di lui con sempre maggior impegno, e spesso con scarsa attenzione ai fatti. Trump una volta ha anche ritwittato un video che mostrava la distribuzione di denaro a persone in Honduras per “assaltare il confine con gli Stati Uniti”, suggerendo che il denaro potesse provenire da Soros. Non stupisce di trovare anche The Donald in questa lista di complottisti.