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Papa Francesco vuole umanizzare la Chiesa?

«In Vaticano c’è chi mi voleva morto» è solo una delle rivelazioni contenute nell’autobiografia in uscita. In cui Bergoglio si toglie parecchi sassolini dalle scarpe, citando cardinali e pure Ratzinger. Ma è un modo per avvicinarsi alla gente o solo una strategia di marketing?

Foto: Franco Origlia/Getty Images

Sorpresa (ma neanche troppo): «In Vaticano c’è chi mi voleva morto». A esporsi non è un eretico di sorta – che comunque, anche lì, parliamo della Santa Sede… – ma Bergoglio, il Papa. Lo fa in Life. La mia storia nella Storia, la sua autobiografia scritta con Fabio Marchese Ragona, vaticanista di Mediaset e amico, in uscita in Europa e in America il 19 marzo per HarperCollins, e di cui il Corriere della Sera ha pubblicato alcuni estratti, tra cui questo sul ricovero. «C’è chi era più interessato alla politica, a fare campagna elettorale, pensando quasi a un nuovo conclave. Quando il Papa è in ospedale, di pensieri se ne fanno molti, e c’è anche chi specula per proprio tornaconto». E sul fatto che in quel momento potesse dare le dimissioni, ammette: «Qualcuno negli anni forse ha sperato che prima o poi, magari dopo un ricovero, facessi un annuncio del genere».

Tradotto: i cardinali non sono tutti santi, nessuno lo è, neanche lui che – notizia! – ha dei nemici interni. E ok, non è niente di nuovo per chiunque sapesse come vanno il mondo e di conseguenza la Chiesa, o chi avesse visto Suburra o The Young Pope e insomma si fosse fatto un’idea dei giochi di potere del Vaticano. Non che le serie fossero documentari illuminanti, ma testimoniano un’opinione diffusa, una verità appurata. È ovvio che sia così. Il punto però è che a parlarne è il Papa. La novità di un’operazione come questa, infatti, si lega a un’immagine diversa che sta cercando di dare di sé, del suo ruolo e di quello di chi fa la Chiesa in questi anni, e in generale segna un distacco da come siamo abituati a concepire il Pontefice e, banalmente, i suoi libri, le sue parole.

Si capisce anche dagli altri estratti della biografia, in cui il Papa fa il Papa poco (giusto la solita, trita tirata d’orecchie sull’aborto: «Non mi stancherò mai di dire che l’aborto è un omicidio, un atto criminale») e per il resto la mette sul piano personale, lui come uomo, ergo si toglie i sassolini dalle scarpe, racconta aneddoti privati, risponde alle varie accuse.

Racconta, per esempio, di quando ha incontrato Maradona, o di chi all’interno della Chiesa critica i suoi modi, giudicati di sinistra: «Parlare dei poveri non significa automaticamente essere comunisti: i poveri sono la bandiera del Vangelo e sono nel cuore di Gesù! Nelle comunità cristiane si condivideva la proprietà: questo non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro!». Ma ce l’ha anche con «qualche sinistrino» secondo cui avrebbe collaborato con la dittatura argentina degli anni Settanta («Sono anche stato interrogato come persona informata dei fatti per il processo sui crimini commessi durante il regime») e con chi, dice, ha «strumentalizzato con scopi ideologici e politici» la figura di Ratzinger, considerandolo «Papa emerito», cioè vero Papa, anche dopo le dimissioni, delegittimando Bergoglio stesso: «Mi ha addolorato». Lui alle dimissioni non ci pensa, a meno che «non subentrasse un grave impedimento fisico. In quel caso ho firmato all’inizio del pontificato la lettera con la rinuncia che è depositata in Segreteria di Stato». Nel caso, «non mi farei chiamare Papa emerito, ma vescovo emerito di Roma, e mi trasferirei a Santa Maria Maggiore per tornare a fare il confessore e portare la comunione agli ammalati». Come a dire: mi tolgo di mezzo, non creo al prossimo i problemi che la presenza/assenza di Ratzinger, suo malgrado, ha creato a me.

Ah, c’è anche un angolo “posta del cuore”, che risale ai tempi del seminario: «Avevo già avuto una fidanzata in passato, una ragazza molto dolce che lavorava nel mondo del cinema e che in seguito si è sposata e ha avuto dei figli. Questa volta invece mi trovavo al matrimonio di uno dei miei zii e rimasi abbagliato da una ragazza. Mi fece davvero girare la testa per quanto era bella e intelligente. Per una settimana ebbi la sua immagine sempre nella mente e mi fu difficile riuscire a pregare! Poi per fortuna passò, e dedicai anima e corpo alla mia vocazione».

È chiaro che un libro così rappresenta – insieme a tanti gesti più o meno eclatanti del suo pontificato – un punto di rottura con il passato. Prima, quando il Papa parlava, anche nei libri, non lo faceva mai a titolo personale, ma a nome della Chiesa: oneri e onori. Da un po’ invece Bergoglio ha aperto le finestre sul privato, che poi significa farlo su quello di tutti i prelati, di tutti i livelli. C’è un Bergoglio Papa, che ricopre quindi un ruolo, e c’è un Bergoglio uomo, che ha i suoi interessi, le sue paure, gli amici e i nemici. Soffre anche di solitudine, come aveva raccontato di recente in un’altra intervista. E vale lo stesso per i cardinali: non c’era mai stato un Pontefice che parlasse apertamente alla gente degli intrighi di potere interni alla Santa Sede, di dissapori e trame da thriller, insomma di fallibilità e di carne. «Ma non c’è da scandalizzarsi», dice a un certo punto degli estratti, riferendosi alle cospirazioni nei suoi confronti. «È umano».

Life, infatti, non serve a fare proseliti per il Vaticano (non direttamente), non è una raccolta di pensieri su religione o massimi sistemi, né di preghiere; è utile, semmai, a umanizzare il Papa, con pregi e difetti di tutti, e da lì a cascata gli altri clericali. Il discorso è complesso, è come camminare sulle uova, e appena Bergoglio deroga un minimo a ciò che è sempre stato rischia di calpestare qualche dogma. Ma è come con le dimissioni: il fatto stesso che abbia scelto di non morire da Papa, ma di dimettersi prima in caso d’impedimenti (come tra l’altro aveva fatto Ratzinger, non sentendo più le forze per andare avanti), segna una cesura netta con il passato; c’è il Papa-Papa che ricopre la sua missione finché può, e c’è il Papa-uomo che si prende il tempo che gli resta dopo privatamente. Il resto, appunto, è soprattutto smettere di nascondere le evidenze, riavvicinare la Chiesa alle persone facendo lei il primo passo. Anche questo è marketing, anche la sincerità è comunicazione. Ma certi modelli, probabilmente, per Bergoglio per primo sono scaduti.

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