«Li ho visti negli occhi». Il massacro di Hamas al festival Supernova, raccontato da chi c’era | Rolling Stone Italia
Un inferno in terra

«Li ho visti negli occhi». Il massacro di Hamas al festival Supernova, raccontato da chi c’era

Rolling Stone ha raccolto le testimonianze di alcune persone che lavoravano nello staff del Festival di Supernova, in cui sono morte almeno 260 persone: «Ci sparavano alle spalle».

«Li ho visti negli occhi». Il massacro di Hamas al festival Supernova, raccontato da chi c’era

Il sito del Festival Supernova dopo l'attacco di Hamas

Foto: Jack Guez/AFP/Getty Images

Il festival di musica trance nel sud di Israele, dove sabato scorso i militanti di Hamas hanno assassinato 260 persone, doveva essere un momento di evasione: una celebrazione pacifica dell’amore, della natura e della dance elettronica da parte di una comunità unita, stando a quanto dichiarato da alcuni membri dello staff dell’evento che hanno parlato con Rolling Stone. E invece si è tramutato in un inferno in Terra.

Questi addetti dello staff, fornendo nuovi dettagli sul più efferato massacro di civili mai registrato nell’attuale Israele, affermano che l’evento all’aperto si è trasformato rapidamente in un incubo folle e sanguinoso. Hanno raccontato di guerriglieri di Hamas che scendevano dal cielo su deltaplani motorizzati e soldati armati fino ai denti che inseguivano con camionette e moto i partecipanti al festival terrorizzati.

«Una strage di innocenti come questa è assurda. Erano tutti giovani con dei sogni. Nessuna di queste persone voleva la guerra», racconta a Rolling Stone Chen Mizrachi, un manager musicale che lavorava nel backstage del festival Supernova Sukkot, un’estensione del brasiliano Universo Paralello. «Ne conoscevo tante. Volevano solo pace, amore e viaggiare per il mondo. Erano persone che piene d’amore, come il popolo di Woodstock».

Il trentaquattrenne Mizrachi ha aiutato a pianificare la logistica del raduno, compresa l’area di parcheggio per la security. A un certo punto, si è trovato all’interno del camper di coordinamento della security e i razzi hanno iniziato a volare nel cielo e le granate hanno squarciato gli alberi.

«Abbiamo contattato l’esercito per comunicare che eravamo bloccati nell’area dedicata alla security. Abbiamo chiesto: “Dove siete?”. Ci hanno risposto in arabo-ebraico: “Adesso veniamo a prendervi”» ha spiegato, spiegando che Hamas aveva intercettato la comunicazione radio e aveva risposto con quella terribile minaccia.

Mentre cercava di raggiungere un veicolo, Mizrachi ha visto quello che sembrava un poliziotto israeliano fermare un’auto. Ha capito subito che in realtà era un combattente di Hamas che indossava un’uniforme probabilmente rubata a un agente rapito o morto.«Ho visto solo due persone nell’auto. Poi sono partiti i colpi. L’auto continuava a muoversi, ma quel tizio li ha uccisi. L’auto procedeva in linea retta senza che nessuno la guidasse», ha raccontato.

Ha detto che i guerriglieri arrivati coi deltaplani hanno attaccato immediatamente il pubblico. «Li ho visti atterrare e iniziare a sparare alle auto». «Li ho visti negli occhi, mentre uccidevano le persone. Non c’era un solo grammo di pace nei loro occhi: volevano solo assassinare degli innocenti. Non si fa, con persone così giovani e disarmate. È disumano».

Ha detto che mentre osservava così tante persone che venivano *macellate° in quella spianata polverosa vicino al Kibbutz Re’im, al confine con Gaza, continuava a pensare «Come è possibile che io sia ancora vivo?». Sembrava che la morte si stesse avvicinando a lui a grandi passi. «Mi sono detto: “Non guardarti indietro, scappa».

Mizrachi, insieme ad alcuni amici, ha sfondato una recinzione ed è saltato sul furgone di un agente di polizia. I suoi due amici sono stati feriti da alcuni proiettili, poi la granata di un RPG ha colpito la parte posteriore del veicolo, ferendo alcuni passeggeri che hanno riportato ustioni e lacerazioni.

Il van, danneggiato gravemente, si è fermato vicino a un carro armato israeliano abbandonato. Si sono tutti riparati dietro al mezzo pesante e sono rimasti bloccati in mezzo a scontro a fuoco. Mizrachi ha raccontato di essersi strappato la camicia in strisce per creare lacci emostatici. Ha anche aiutato a portare in un nascondiglio sicuro una ragazza che era stata investita da un veicolo di Hamas e non riusciva a camminare.

Alla fine, sono stati salvati dalle forze israeliane. Mizrachi ha mandato avanti i suoi amici feriti, poi ha raccontato di avere accompagnato un soldato ferito che continuava a svenire, facendogli riprendere conoscenza per tenerlo in vita.

Ora, tornato a casa a Ramat Gan, Mizrachi è felice che i suoi amici siano riusciti a raggiungere l’ospedale e sopravviveranno, ma è preoccupato per tutti gli ostaggi rapiti. «Il mio migliore amico, che vive in Costa Rica, e le sue due sorelle sono dispersi. E chi ha dato loro i pass gratuiti? Sono stato io. È una cosa che mi spezza il cuore», ha detto Mizrachi. «Abbiamo contattato la polizia per avere informazioni, ma non sanno nulla. Credo che Hamas nemmeno sappia quanti prigionieri ha».

Sofia Nikitin, 26 anni, lavorava come barista al festival quando è iniziato l’attacco a sorpresa contro i 3 mila partecipanti. Racconta a Rolling Stone che, all’inizio, tutti erano confusi e non capivano l’entità del pericolo. Lei e altri membri dello staff, credendo di essere ancora in servizio, sono rimasti mentre la gente iniziava a fuggire. Lei si è subito data da fare, cercando di calmare le ragazze che venivano portate in un centro di triage improvvisato vicino al luogo in cui si trovava la security del festival.

Quando tutti si sono resi conto che i miliziani si stavano avvicinando, lei ha cercato di fuggire in auto, ma poi ha capito che stava per cadere in trappola ed è corsa nella foresta a nascondersi.

«Ci sparavano alle spalle. Si vedevano i ragazzi che cadevano giù», racconta a Rolling Stone in un’intervista telefonica. Era insieme a qualche decina di persone, nascosta tra gli alberi, sperando che i combattenti non li vedessero mentre cercavano di contattare la polizia per farsi venire a prendere.

«Gli spari arrivavano da tutte le direzioni. All’improvviso, una delle ragazze ha urlato che qualcuno stava puntando un razzo contro di noi. Dopo un secondo, c’è stata una grande esplosione al centro del nostro gruppo. È stato come nei film: si vede tutto grigio, senti lo spostamento d’aria in faccia e il rumore. Poi non senti più nulla, solo un ronzio. Ho iniziato a correre», ricorda. «Sapevamo che ci avevano visti. Sapevamo che potevano venire e ucciderci tutti».

Nikitin si è messa a correre in un campo e alla fine ha visto dei soldati. Subito ha avuto paura di avvicinarsi perché aveva sentito che i miliziani di Hamas si erano travestiti. Ma le truppe si sono dimostrate amichevoli e l’hanno accompagnata in una stazione di polizia dove ha aspettato per ore, prima di poter tornare a Tel Aviv in sicurezza. Martedì ha partecipato al funerale della sua collega barista, Liron Barda. È scoppiata a piangere descrivendo Barda e le altre bariste che aveva raccomandato per il lavoro e che risultano ancora disperse.

Ha detto che i membri sopravvissuti dello staff sono in stretto contatto fra loro e descrive il gruppo come una «famiglia». Ha raccontato che una barista è tornata sul palco della festa e si è sporcata il viso di sangue per nascondersi tra i cadaveri. Gli uomini di Hamas però l’hanno trovata e le hanno ordinato di aprire il registratore di cassa e una cella frigorifera del bar dove si erano nascoste delle persone, dice Nikitin. Si pensa che l’abbiano fatto in modo che, se le persone nella cella fossero state armate, avrebbero sparato prima alla barista.

«Hanno ammazzato tutti quelli che si nascondevano nella cella frigorifera, l’hanno aperta e li hanno uccisi. Poi le persone nascoste nei bauli: li hanno aperti e li hanno assassinati», ha detto (la barista è stata poi rilasciata).

Nikitin ha spiegato che il festival organizzato da Tribe of Nova, prima dell’attacco, era una piccola utopia in cui i partecipanti che campeggiavano nella natura condividevano tazze riutilizzabili per ridurre i rifiuti e ballavano a cielo aperto. Non poteva immaginare che si sarebbe trasformato in un «massacro».

Da Rolling Stone US.