Lasciamo stare Jannik Sinner | Rolling Stone Italia
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Lasciamo stare Jannik Sinner

Dopo il giubilo collettivo per la vittoria, per alcuni è già nomen omen: Jannik il rosso è “peccatore” perché disprezza la Nazionale (e Sanremo!) e paga le tasse a Montecarlo. Ecco cosa dice di noi questo (ennesimo) scandalo

Lasciamo stare Jannik Sinner

Jannik Sinner vince l’Australian Open

Foto: James D. Morgan/Getty Images

Sembra una di quelle frasi motivazionali che si trovano sui profili Instagram dei coach per la crescita personale che parlano a sé, ma con scenografie da video podcast, microfono e poltrona, pare lo facciano con un interlocutore; e invece l’ha detta Enzo Ferrari: «Gli italiani perdonano tutto, ai ladri, agli assassini, ai sequestratori, a tutti, ma non perdonano il successo». È tra gli archetipi classici del nostro Paese, insieme a quello per cui non si fanno rivoluzioni «perché ci si conosce tutti» e alla teoria di Arbasino sui tre stati di una figura pubblica, fino al venerato maestro. E magari è pure esagerato, ma ha un grosso fondo di verità: la notorietà, specie se improvvisa, specie se “non preparata”, comporta una sacco di rogne.

Chiedere a Jannik Sinner, che domenica ha vinto uno slam (primo italiano a riuscirci dai tempi di Adriano Panatta, 48 anni fa) e oggi, mercoledì, è già protagonista di due casi mediatici. Chiaro, il 22ennne tennista altoatesino si era abbattuto come un meteorite sull’immaginario comune, e non poteva finire in pace. I risultati clamorosi di questo Australian Open avevano destato dal torpore migliaia di sedicenti appassionati, portandoli a commentare e congratularsi nonostante, diciamolo, in altri momenti il suo sport non è che fosse così popolare qui, mentre stavolta era tutto una levataccia alla mattina per vederlo, emoticon della carota sui social (in ossequio ai suoi capelli), orgoglio nazionale, incontri con Meloni («È l’Italia che ci piace, sa reagire e vincere»: un manifesto politico) e Mattarella e tutto il cucuzzaro del nazionalpopolare. Chiaro, la realtà prima o poi avrebbe presentato il conto.

E quindi eccolo, il conto. A meno di una settimana dall’inizio di Sanremo, Amadeus ha pensato di invitarlo con il motto assolutista «Sanremo si ama, Sinner si ama». «Sono qui per farti ufficialmente e pubblicamente l’invito a venire al Festival di Sanremo. Tutti me lo chiedono, c’è la grande gioia di vederti a Sanremo», aveva annunciato appena lunedì. In effetti in tanti stavano spingendo per vederlo all’Ariston, per quanto lo stesso Sinner, che ha un carattere introverso, era perplesso («Devo solo giocare a tennis», aveva confidato al Corriere della Sera a ridosso della vittoria, quando l’invito era un’ipotesi). Apriti cielo: il presidente della Federazione Italiana Tennis e Padel ha fatto muro su Amadeus, «Sinner va protetto da tutti: dai dirigenti, dai giornalisti e anche da Sanremo. Se tutti insieme vogliamo scrivere una storia diversa dobbiamo proteggerlo». Martedì, il passo indietro di Aamadeus, che sui social ha dovuto scusarsi («Se deciderai di non venire lo capirò, è importante che ti dedichi al tennis»), limitandosi a «una richiesta» galante («Guarda Sanremo, e fai il tifo per noi») e definendolo comunque «un vero orgoglio italiano».

Non fosse che questa dell’«orgoglio italiano» è un’espressione gigante e ingombrante, e non c’è stata pace neanche qui. Già era arrivata qualche frizione a settembre, quando alla quarta rinuncia di aggregarsi alla Nazionale italiana per la Coppa Davis, vari giornali – specie la Gazzetta dello Sport – avevano tirato in ballo un «amore mai nato» tra Sinner e la Nazionale stessa, che a essere maliziosi sarebbe un amore mai nato con l’Italia stessa, ricamato sulle sue origini nella provincia autonoma di Bolzano.

Il bis è toccato ad Alzo Cazzullo, vicedirettore del Corriere della Sera, che ha ricordato come Sinner, dal 2019, abbia residenza fiscale a Montecarlo, dove paga meno tasse. Non sminuisce il talento, il merito e l’importanza del risultato, dice, ma il fatto che in tanti, politici su tutti, l’abbiano trasformato in un modello: «Se la valutazione non è sportiva, ma morale, allora il fatto che il nuovo portabandiera dello sport italiano abbia la residenza fiscale a Montecarlo, e quindi non contribuisca alla sanità, alla scuola, alla sicurezza, alle molte esigenze della comunità nazionale che rappresenta, dovrebbe farci dubitare non tanto di Sinner, quanto di noi stessi. Un popolo che in fondo si disprezza». Il finale di questa sorta di “accusa”, in fondo, lo sapete già: dibattito polarizzato, tifoserie, chi accusa Cazzullo di aver rovinato la festa di Sinner e di avercela con lui, e chi reputa il tennista un traditore per aver fatto una scelta, ricordiamolo, assolutamente legale.

Il problema, in parte, può avere anche una matrice strutturale: in un Paese che non è abituato al tennis se non nelle poche occasioni in cui sale alla ribalta, Sinner ha portato, ovviamente, tanto entusiasmo ingenuo, impreparato, incosciente; e la cosa, è evidente, può essere sfuggita di mano. Ma il viziaccio, a parte questo, è forse più profondo: riguarda la nostra immedesimazione esagerata, per cui trasponiamo i valori d’italiani (valori che poi, nella vita di tutti i giorni, magari neanche abbiamo, forse abbiamo perso, sono solo proiezioni astratte) in altri, convinti che li possano rappresentare, far rivivere e farci sentire tutti migliori; e poi c’è una politica in perenne campagna elettorale, che vede dei voti ovunque, e allora tira per la giacchetta l’uomo (non politico) del momento. Anche se sembra una banalità, quando Sinner dice di voler giocare solo a tennis e non pensare ad altro, sta dicendo un’eresia, per tanti. Al contrario di Arbasino e Ferrari, quello per cui povera è la patria che ha bisogno d’eroi è un assunto generico, che non riguarda l’Italia nello specifico. Ma va detto che nel cercarci degli eroi, come italiani, siamo discreti campioni.

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