L’alleanza tra Salvini e Meloni è un disastro | Rolling Stone Italia
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L’alleanza tra Salvini e Meloni è un disastro

Dalle concessioni ai balneari alla guerra in Ucraina, passando per il dibattito sulla castrazione chimica e il ponte sullo stretto, ogni tema all'ordine del giorno è ormai motivo di rissa nel Consiglio dei ministri

L’alleanza tra Salvini e Meloni è un disastro

Foto di TIZIANA FABI/AFP via Getty Images

È bandiera bianca tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini, almeno per il momento. Da quando il centrodestra è al governo, il pubblico si è abituato allo scontro quotidiano tra i due ras della destra italiana. Uno scontro costantemente liquidato con il mantra ossessivo dalla maggioranza: “l’unità della coalizione”, una formula vecchia trent’anni utile a glissare qualsiasi tentativo di autocritica o confronto. Poco importa se ogni argomento all’ordine del giorno – dalle concessioni ai balneari alla guerra in Ucraina, passando per il dibattito sulla castrazione chimica e il ponte sullo stretto – è motivo di rissa nel Consiglio dei ministri, tutto passa in nome dell’unità della coalizione. Nemmeno gli elettori di centrodestra credono più a questa formula, ma a tutti conviene far finta che sia vera.

Dopo un’estate di sgambetti reciproci, la premier e il ministro dei trasporti sembrano aver trovato una quadra ignorandosi reciprocamente, la prima è impegnata a richiamare il suo compagno per le recenti dichiarazioni sui fatti di Palermo mentre il secondo continua a godersi i nuovi panni da capocantiere in giro per l’Italia, ma lo scontro è solo rimandato.

La data c’è già: giugno 2024, le prossime elezioni europee. Per seguire con attenzione le vicende della telenovela governativa bisogna guardare a un appuntamento elettorale che non ha mai interessato più di tanto gli italiani, ma che all’atto pratico si rivela sempre un’occasione per il regolamento di conti tra alleati e presunti tali. Per questo e per la miriade di ripercussioni che avranno sulla politica nazionale, è necessario un riassunto dei fatti più importanti che anticipano la campagna per le europee.

Andiamo per gradi. A quasi un anno dalla conquista del governo, Giorgia Meloni preme sulla via dell’istituzionalizzazione cercando di trasformare definitivamente l’immagine di Fratelli d’Italia in quella di un partito di destra moderna, abbandonando gli ultimi legami con la tradizione post-fascista (a partire dalla fiamma tricolore missina nel simbolo) così da ufficializzare il suo ingresso nella politica che conta. Nonostante militanti e dirigenti di FdI continuino imperterriti con le loro dichiarazioni nostalgiche, il piano c’è e va di pari passo con un progetto molto più ambizioso: spostare a destra l’europarlamento favorendo un’alleanza tra popolari e conservatori, il gruppo di cui Meloni è attualmente presidente.

Qui iniziano a infrangersi i sogni dell’aspirante Merkel romana. Il banco di prova per questa alleanza è stato il voto congiunto contro il provvedimento ambientalista dello scorso luglio, il green deal, la cui approvazione ha segnato una sconfitta plateale per il blocco di destra europeo. I rapporti tra Meloni e i vertici dei popolari si sono raffreddati, lasciando la premier italiana chiusa nel recinto dell’eurogruppo conservatore che con il passare del tempo rischia di trasformarsi in una gabbia di impresentabili esclusa dalle decisioni strategiche che riguardano l’Europa.

Nei conservatori, infatti, troviamo i neofranchisti spagnoli di Vox (già noti per le posizioni radicali contro l’aborto e il “gender”, qualsiasi cosa significhi) e i polacchi di Diritto e Giustizia, non certo dei moderati. Proprio per questo, come riportato da un’indiscrezione degli ultimi giorni, Giorgia Meloni starebbe decidendo di lasciare la presidenza dell’eurogruppo per scaricare definitivamente la zavorra dell’estrema destra dopo il voto dell’anno prossimo. Un eventuale passaggio tra le fila dei popolari la costringerebbe a dialogare con socialisti e liberali, rinunciando al sempiterno slogan del “noi non governiamo con la sinistra”. È su questo fronte che si fa avanti il secondo protagonista della fiction governativa, Matteo Salvini.

Se Meloni è in difficoltà per la posizione del suo eurogruppo, il leader leghista è messo ancora peggio: Identità e Democrazia, il partito europeo di Salvini, è la pecora nera di Strasburgo, un raggruppamento di neonazisti più o meno dichiarati e ammiratori di Vladimir Putin che comprende Marine Le Pen e l’Alternative für Deutschland, quest’ultima attenzionata dal governo tedesco per i molti casi di simpatie hitleriane tra i suoi esponenti. Un quadro tutt’altro che rassicurante, ma al segretario della Lega fa più che comodo, anzi, l’impresentabilità di ID (o meglio, la sua totale assenza di prospettive di governo in Europa) si trasforma in un’arma perfetta per erodere consensi a Giorgia Meloni.

Le elezioni europee permettono a Matteo Salvini di sottrarre a Fratelli d’Italia quella parte di elettorato che non ha digerito la condanna del putinismo e le varie giravolte governative, sfruttando la carta del duro e puro per cercare di recuperare quei voti sottrattigli da FdI e, di conseguenza, avere più potere contrattuale in sede di governo. Così si spiega l’accorata difesa dell’alleata Marine Le Pen – una presa di posizione che fa sorridere se si pensa al celebre manifesto leghista degli anni Ottanta in cui si attaccava Jean-Marie Le Pen in quanto “fascista come i partiti di Roma” – e la proposta di candidatura offerta al generale Vannacci, l’autore del bestseller estivo che ha messo in imbarazzo i vertici dell’esecutivo e che ora si ritrova trasformato nel Giordano Bruno del sovranismo (il paragone è opera dello stesso Salvini). Nei prossimi mesi assisteremo alla maxirissa governativa, fino ad allora dovremmo sorbirci le dichiarazioni sull’unità della coalizione.