La visita di Meloni a Kiev è stata il disastro fantozziano che aspettavamo | Rolling Stone Italia
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La visita di Meloni a Kiev è stata il disastro fantozziano che aspettavamo

Ribadire l'appoggio del governo a Zelensky quando uno dei tuoi partner di maggioranza ha un rapporto di amicizia consolidato con l'invasore e l'altro, fino a non troppo tempo fa, sfoggiava in pubblica piazza t–shirt Made in Putin non era un'impresa facile. E, infatti, è finita malissimo

La visita di Meloni a Kiev è stata il disastro fantozziano che aspettavamo

Giorgia Meloni e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky

Foto di Roman Pilipey/Getty Images

Che la visita di Giorgia Meloni a Kiev non partisse da premesse confortanti (per utilizzare un eufemismo) non era un segreto per nessuno: nelle ultime settimane i suoi alleati hanno fatto di tutto per alzare l’asticella dell’imbarazzo istituzionale, rendendo traballante la posizione che la premier avrebbe voluto rappresentare per rinforzare la credibilità internazionale del suo governo e ribadire la centralità dell’Italia nel pieno sostegno a Zelensky.

Partiamo da Silvio Berlusconi: il suo delirio post–sanmremese – «A parlare con Zelensky non ci sarei mai andato», ha detto lapidariamente dopo aver votato alle regionali lombarde – ha avuto l’effetto di un vero e proprio dardo avvelenato sugli equilibri della maggioranza, rendendo più evidenti che mai le linee di frattura all’interno di una coalizione di centrodestra decisamente meno compatta di quanto vorrebbe far credere. Sfaldarsi su un tema centrale come quello dell’appoggio al Paese aggredito è un segnale di enorme fragilità che, allo stato attuale, Meloni non riesce in alcun modo a nascondere sotto il tappeto: le parole al veleno del Cavaliere – e l’endorsement che quest’ultimo ha ricevuto da parte di notissimi alfieri del pacifismo in salsa italiana, da Vauro e Di Battista – hanno intaccato l’autorevolezza della leader di Fratelli d’Italia, restituendo l’immagine di una premier in enorme difficoltà, incapace di ammansire le spinte telluriche di quelle stesse forze politiche che le permettono di governare.

Ad aumentare il carico di scetticismo è anche la collezione di magre figure collezionate dall’altro azionista di maggioranza, il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini, che ha fatto dell’ambiguità sul sostegno all’Ucraina un proprio tratto distintivo – è ancora viva nella memoria di tutti noi il duro colpo che Salvini ha incassato in Polonia nel marzo dello scorso anno, quando Wojciech Bakun, sindaco della cittadina di Przemysl ed esponente del partito di destra radicale Kukiz’15, lo ha ridicolizzato nel bel mezzo del tour che il leader del Carroccio aveva organizzato per riabilitare la sua immagine pubblica in senso pacifista, rinfrescandogli la memoria e ricordando a una platea parecchio nutrita (e, grazie all’eco che ne è seguita, all’Europa intera) il passato d’oro filo-putiniano del numero uno della Lega.

Date le premesse, è facile immaginare che recarsi Kiev per ribadire l’appoggio incondizionato del governo Italiano a Zelensky quando uno dei tuoi partner di governo ha un rapporto di amicizia consolidato con l’invasore e l’altro, fino a non troppo tempo fa, sfoggiava in pubblica piazza una maglietta Made in Cremlino, be’, non è un’impresa agevole.

Difficile dimenticare, poi, lo smacco internazionale subito da Meloni il 10 febbraio quando, una volta raggiunta Bruxelles per partecipare al consiglio europeo, ha appreso di essere stata esclusa dalla famosa cena tra il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e, per l’appunto, Volodymyr Zelensky – lei, la premier italiana, non è stata invitata a un appuntamento così centrale. Né il presidente francese le aveva detto nulla di quest’appuntamento l’ultima volta che si erano sentiti al telefono, il lunedì prima.

Anche la scelta dei tempi non è stata delle migliori: la visita della premier è stata sostanzialmente eclissata dall’impatto mediatico del presidente americano Joe Biden, che era arrivato a sorpresa lunedì a Kiev poco prima di Meloni e che, proprio mentre lei era a colloquio con Zelensky, ha tenuto un notevole discorso da Varsavia, in Polonia, in occasione del primo anniversario della guerra in Ucraina.

Infine, la certificazione del fallimento: le parole che Zelensky ha dedicato a Berlusconi e alle sue posizioni filo-putiniane. Attingendo a piene mani dal suo passato da uomo di spettacolo, il presidente ucraino ha colto la palla al balzo per distruggere ciò che rimane della credibilità di un leader sempre più in caduta libera. «Io credo che la casa di Berlusconi non sia mai stata bombardata, mai siano arrivati con i carri armati nel suo giardino, nessuno ha ammazzato i suoi parenti, non ha mai dovuto fare la valigia alle 3 di notte per scappare».

Tra qualche imbarazzo Meloni ha replicato che «al di là di alcune dichiarazioni, nei fatti la maggioranza è sempre stata compatta. Ha un programma chiaramente schierato a sostegno dell’Ucraina, è sempre stato rispettato da tutti e confido che sarà ancora così». Ci fidiamo, ma le dichiarazioni dei suoi sodali sembrano suggerire una spaccatura sempre più evidente; e la sensazione è che, a rimetterci, sia soprattutto la credibilità della premier.