La Rai sta diventando ‘Civil War’ | Rolling Stone Italia
guelfi e ghibellini

La Rai sta diventando ‘Civil War’

Lo sciopero indetto da Usigrai per la giornata di ieri è solo la punta di un iceberg che parla della riscrittura storica, e culturale, di un paese. Quel che è certo: nei servizi andati in onda lunedì 6 maggio, se è questo che conta, di Meloni si sarà parlato bene

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Foto: RaiNews

Un clima di guerra così, in Rai, non c’era mai stato. Perlomeno a sentire le due fazioni in campo, che La Stampa, in un articolo che riassume la giornata di ieri vista dalla mensa della tv di Stato, ridendoci su definisce «guelfi e ghibellini». Stavolta non è questione di soli dirigenti, con i pezzi da novanta di Viale Mazzini che hanno giocato a scaricarsi a vicenda la responsabilità per il caso Scurati, cercando di salvare la faccia ‒ e la poltrona ‒ davanti a Meloni, certo consenziente ma lo stesso imbarazzata per come era stata gestita la faccenda. Né c’entra lo sconforto per i risultati pessimi dei nuovi programmi, l’addio di Amadeus, le invasioni barbariche del Nove e il resto. È uno scontro che si sta consumando tra i giornalisti, con soldati più o meno semplici da una parte e i vari direttori, vicedirettori e caporedattori di TG1, TG2 e Rai News 24.

A far saltare il tappo, in un’atmosfera già pessima, è stato appunto il caso Scurati, con lo scrittore fatto fuori da Che saràper un intervento che è ormai leggenda, in cui accusava Meloni di non aver mai preso le distanze dall’antifascismo per la Festa della Liberazione. L’Usigrai, cioè il sindacato dei giornalisti Rai, aveva condannato subito la scelta della casa-madre, e dopo altri rilanci aveva proclamato un giorno di sciopero per ieri. Già al momento di darne notizia, nei telegiornali di domenica l’annuncio era stato accompagnato da una replica dell’azienda ‒ stizzita, e soprattutto insolita, perché tirava in ballo ragioni «ideologiche» dietro lo sciopero stesso. E questo, di per sé, non è un gran segnale per i diritti dei lavoratori: come se i vertici stiano cercando di delegittimare a priori le loro motivazioni.

Il resto è venuto fuori durante una conferenza stampa avvelenata organizzata ieri all’Associazione Stampa Estera, in cui gli esponenti del sindacato hanno vuotato il sacco. Ok le solite rivendicazioni, la stabilizzazione dei precari e il fatto che i pensionati devono essere sostituiti per garantire un servizio all’altezza; ma il vero problema è l’ingerenza del governo Meloni, il cappio che avrebbe messo sui giornalisti. Enrica Agostini, cronista parlamentare di lungo corso per Rai News 24, ha ammesso di non aver «mai subito pressioni come in questo periodo»: il direttore Paolo Petrecca, uomo di fiducia di Fratelli d’Italia, legge e rilegge ogni servizio per evitare che possano screditare la destra, taglia e omette dettagli o direttamente notizie (la fermata del Frecciarossa per Lollobrigida, tra le varie, «non  l’abbiamo potuta dare»), fa la voce grossa sui nuovi arrivati per decidere i toni, morbidi, dei servizi. Ad aprire un tg, nel Giorno della Memoria lo scorso 27 gennaio, fu un servizio «sulla pastasciutta che va nello spazio». In più, dice, «non facciamo più nemmeno le domande»: da destra ricevono gli interventi dei politici «già registrati», come fosse propaganda, e li mandano in onda senza la possibilità d’intervenire; «solo con la sinistra riusciamo ancora a fare domande».

Anche gli altri che erano lì hanno denunciato vari tentativi di censura più o meno riusciti sugli altri telegiornali, o dichiarazioni particolarmente ostili al governo omesse senza avvisare chi aveva realizzato il servizio. A volte, in segno di protesta, alcuni hanno chiesto di rimuovere la propria firma. Sigfrido Ranucci, di Report, ha parlato di «filosofia dell’inchino», e che in Rai «l’aria è irrespirabile, e il controllo del governo asfissiante». Poi, certo, qua nessuno è fesso: anche con i governi precedenti c’erano state pressioni più o meno esplicite, la Rai è territorio di conquista di chi è al potere e l’Usigrai l’ha ribadito senza problemi. Ma per Vittorio Di Trapani, ex giornalista Rai ora presidente della Federazione Nazionale Stampa Italiana, «la differenza è che adesso in Rai si sta tentando un’operazione che è di revisionismo storico, politico, culturale e sociale per riscrivere la storia di questo paese». Di nuovo: una situazione senza precedenti.

E senza precedenti, oltretutto, è anche ciò che è successo in parallelo in sede, mentre la stragrande maggioranza dei dipendenti (gli scioperanti hanno dichiarato un’adesione dell’85%) era a casa. Scene, cioè, da guerra civile, o di potere. Da novembre 2023, infatti, si è formato anche Unirai, una specie di contro-sindacato di destra che ha provato in tutti i modi a sabotare lo sciopero, lavorando fianco a fianco con i direttori, Petrecca su tutti. Conta poche centinaia d’iscritti, contro le circa 1600 dell’Usigrai, ma ieri è comunque riuscito a mandare in onda più o meno regolarmente le edizioni dei telegiornali, stiracchiando qua e là formule e formati, per esempio allungando a dismisura la durata dei servizi. Dai sessanta secondi di rito, a un certo punto ne è comparso uno da sei minuti, per riempire i vuoti. «Un minutaggio», ha scritto sempre La Stampa, «da Corea del Nord».

E poi un fritto misto di colpi bassi, come quello di assicurare promozioni nel caso in cui non si fosse scioperato, fino alla messa in onda di un’edizione straordinaria nel pomeriggio per l’incidente sul lavoro a Casteldaccia ‒ per la quale il comitato di redazione in sciopero doveva prima essere avvisato, e ovviamente non lo è stato. Tra chi ieri ha lavorato regnavano slogan post-sovietici: «Il Muro», hanno sospirato, «è crollato»; la Rai «comunista» è stata «sconfitta»; «è l’alba di un nuovo giorno». Nel dubbio, nei servizi andati in onda ieri Meloni avrà sicuramente ricevuto un trattamento di favore, se è questo che conta.

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