La metamorfosi di Eugenia Roccella, da femminista abortista a ministra Pro Vita | Rolling Stone Italia
Doppelgänger

La metamorfosi di Eugenia Roccella, da femminista abortista a ministra Pro Vita

Negli anni Settanta l'attuale ministra per la Famiglia era una radicale che scriveva che «a difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe»; oggi è l'ultraconservatrice per definizione

La metamorfosi di Eugenia Roccella, da femminista abortista a ministra Pro Vita

Eugenia Roccella

Foto di ANDREAS SOLARO/AFP via Getty Images

Eugenia Roccella è una di quelle personalità di governo che, fino a sabato scorso, dopo la contestazione al Salone del Libro di Torino da parte di alcuni attivisti di Extinction Rebellion e del collettivo femminista Non una di meno, era rimasta un po’ defilata, vuoi per i deliri di Piantedosi sulla sostituzione etnica, vuoi per le perle di saggezza di un Valditara in formissima e sempre pronto a rubare la scena – «L’umiliazione aiuta a crescere», ricordate?

Eppure, nell’organigramma meloniano, Roccella svolge una funzione essenziale: portare avanti un ideale di famiglia ben preciso, quello monogamo e patriarcale, che Fratelli d’Italia ha consacrato come modello di riferimento fin dai tempi della campagna elettorale. Figlia della pittrice femminista Wanda Raheli e di Franco Roccella, uno dei fondatori del partito radicale, da un decennio abbondante ministra della Famiglia è un volto di spicco del fronte “Pro Vita”. Il profilo lo conosciamo: portavoce del Family day, contraria alla legge sui Dico per il riconoscimento dei diritti alle coppie omosessuali, alla fecondazione assistita e, soprattutto, alla legge 194, quella che garantisce il diritto all’aborto.

Eppure, Roccella ha un passato politico decisamente diverso: anche  se, date le premesse, potrebbe sembrare strano, in giovinezza ha sposato convintamente la causa del femminismo, Appena maggiorenne ha aderito al cosiddetto MLD (Movimento di Liberazione Della Donna), nato proprio nell’orbita del partito radicale. Fin dal suo primo congresso, nel 1971, l’MLD ha denunciato la “natura specifica dell’oppressione della donna a livello economico, psicologico e sessuale” e proposto disegni di legge per di stampo liberale per garantire l’aborto, liberalizzare gli anticoncezionali e istituire asili nido. Non dovesse bastare, nel 1975 ha curato la prima edizione di Aborto, facciamolo da noi, che tra le altre cose sosteneva il metodo Karman per l’interruzione di gravidanza.

Poco più di un decennio dopo, Roccella abbandona i radicali e passa al fronte opposto. La sua trasformazione in una delle esponenti più convinte del conservatorismo cattolico italiano avviene negli anni Novanta, quando lascia la politica attiva e rinnega totalmente la sua militanza giovanile. Diventa un’esponente dei movimenti antiabortisti, demonizza la pillola abortiva RU486 definendola «un enorme inganno» e l’aborto come «il lato oscuro della maternità» e una «scorciatoia che non dovrebbe più esserci».

Anche il suo impegno come autrice subisce un mutamento: da abortista convinta a editorialista del quotidiano della CEI, Avvenire, da sempre – e per ovvi motivi – contrario all’interruzione di gravidanza, sposa la causa del Family Day, e inizia a sfornare una serie di pamphlet pro vita, tra cui Fine della maternità. Il caso degli embrioni scambiati e la fecondazione eterologa (2015). Si occupa principalmente di bioetica, conducendo battaglie contro la pillola abortiva, la procreazione assistita e il fine vita, nel 2007 è co-portavoce del Family Day insieme a Savino Pezzotta.

Leggere le sue dichiarazioni odierne e poi compararle con quelle degli anni Settanta può essere straniante: il confine tra la Roccella “originale”, radicale e femminista, e la doppelgänger che ne ha preso il posto, conservatrice e pro vita, diventa sfumatissimo. La stessa autrice che, nel ’75, scriveva che «a difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe», trent’anni dopo avrebbe dichiarato: «Quest’idea per cui la procreazione assistita sarebbe un modo per andare incontro a un desiderio naturale della donna fa parte di un armamentario esclusivamente propagandistico. È un’accentuazione retorica per giustificare la prassi, appunto della fecondazione assistita. Se uno fosse davvero preoccupato per la salute della donna dovrebbe vietare le stimolazioni ormonali tout court. La cosiddetta libertà di scelta è stata messa in discussione perché si è cominciato a capire che da libertà di scelta di “quando e se” essere madri, sta diventando sempre più una libertà di scelta sul figlio: la libertà di “chi” essere madri, attraverso la selezione genetica».

La sua storia è quella di una femminista pronta a rinnegare le battaglie di gioventù per tuffarsi nel conservatorismo più radicale.