La Cina sapeva del Covid già nel 2019? | Rolling Stone Italia
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La Cina sapeva del Covid già nel 2019?

Un’inchiesta del Wall Street Journal, basata su documenti ottenuti dal Congresso degli Stati Uniti, sostiene che alla fine del 2019 i ricercatori cinesi avessero già mappato e isolato il virus. Ecco come sarebbe andata

La Cina sapeva del Covid già nel 2019?

Foto: Stringer/Getty Images

E se la Cina, in qualche modo, avesse saputo? L’inchiesta è del Wall Street Journal, che ha messo mano su dei documenti redatti da una commissione del Congresso degli Stati Uniti. In sintesi: pare che alla fine del 2019 i ricercatori cinesi avessero già mappato e isolato il Covid-19. In particolare, il 28 dicembre 2019, Lili Ren – una virologa dell’Institute of Pathogen Biology – aveva caricato una sequenza quasi completa del virus su una banca dati mantenuta da un istituto degli Stati Uniti, e in cui si condividono informazioni da tutto il mondo; non è chiaro perché l’abbia fatto, ma chi gestiva la piattaforma le chiese informazioni aggiuntive che non arrivarono mai, e così le sue informazioni decaddero dal sistema intorno al 16 gennaio, per mancanza di completezza e senza che nessuno le notasse. L’idea della commissione – che è in mano ai Repubblicani, e sta indagando l’origine del Covid-19 – è che Pechino le abbia messo il bavaglio per evitare fuoriuscite di notizie.

In quel momento, infatti, al di fuori del Paese arrivavano ancora solo poche e confuse notizie di cosa stesse succedendo a Wuhan. E la Cina stessa, nelle comunicazioni ufficiali, si teneva sul vago, parlando di una generica polmonite virale di cui non si conoscevano ancora le cause. Non aveva ancora neanche preso accorgimenti come, per esempio, la chiusura del mercato di animali vivi della città. Ma come ricostruiscono il Wall Street Journal e la ricerca stessa, a quel punto le analisi di laboratorio erano già parecchio avviate, segno che le autorità erano state informate della malattia già, volendo, perfino da settimane. La sequenza, come dimostra Lili Ren, era quasi pronta. Eppure, per averne una “ufficiale”, si sarebbe dovuto aspettare l’11 gennaio, due settimane dopo, quando la Cina comunicò la sequenza completa all’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Oltre all’eventuale inefficienza della piattaforma coinvolta, che si chiama GenBak, i temi a questo punto sono due, e vengono sollevati entrambi dal quotidiano statunitense. Il primo: una scoperta del genere non fa comunque luce sulla radice del Covid-19, per cui non è indicativa per sapere se si sia trattato di una fuga di laboratorio o effettivamente su un salto di specie partito da un animale infetto e arrivato all’uomo. Il secondo: le due settimane di silenzio tra la segnalazione di Lili Ren e la versione ufficiale di Pechino sono state, di fatto, due settimane perse; milioni di ricercatori in tutto il mondo, in quei giorni, stavano cercando di capire di più sulla malattia, e quelle informazioni avrebbero senz’altro aiutato a muoversi in anticipo tanto dal punto di vista delle prime risposte per arginarla quanto, com’è ovvio, per lo sviluppo dei vaccini. Forse, ecco, si sarebbero risparmiate delle vite.

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