La “caccia alle borseggiatrici” su YouTube è un teatrino giustizialista di cui non abbiamo bisogno | Rolling Stone Italia
Contro la giustizia privata

La “caccia alle borseggiatrici” su YouTube è un teatrino giustizialista di cui non abbiamo bisogno

I nostri feed sono tempestati di sceriffi della domenica e sedicenti vigilantes che si attribuiscono il potere di ristabilire l'ordine: inseguimenti, microcriminali veri o presunti presi a colpi di spruzzino e accenni di rissa. Mettiamocelo in testa: non viviamo a Gotham City

La “caccia alle borseggiatrici” su YouTube è un teatrino giustizialista di cui non abbiamo bisogno

Screen dalla pagina Instagram "Milano bella da Dio"

Sarà la fascinazione per la figura del vigilantes lasciateci in eredità da opere seminali come Batman o Watchmen, sarà quell’irrefrenabile desiderio di giustizia privata che la propaganda destrorsa ha portato aventi senza soluzione di continuità o, magari, una specie di passione per le ronde volontarie e le vendette private che abbiamo lasciato sedimentare dentro di noi nel corso del tempo.

Fatto sta che ci piace pensare di potere trasformarci in giustizieri per un giorno, indossando il mantello, impugnando il nostro manganello, coltivando l’illusione di poter ristabilire l’ordine e il decoro. I nostri feed sono letteralmente tempestati di contenuti a tema securitario: para–poliziotti della domenica che decidono di salire in metro muniti di megafono per difendere i cittadini da borseggi e truffe, inseguimenti da b movie nelle stazioni, inquadrature insistenti per mettere alla gogna microcriminali veri o presunti, accenni di rissa sul tram.

I canali dedicati alla lotta senza quartiere contro il degrado morale milanese godono di ottima salute. Prendiamo l’esempio più celebre: dopo gli accoltellamenti e gli scippi della scorsa settimana, si fa un gran parlare della seguitissima pagina Instagram @milanobelladadio, una sorta di “Roma fa schifo” 2.0 in salsa meneghina che mette in fila una sequela interminabile di scene indecorose: vigili del fuoco che recuperano motorini nella darsena, topi che sfilano fuori dai ristoranti del centro, maranza che impennano in autostrada, ladri di orologi, gli “attentati” a colpi di vernice di Ultima Generazione e, ovviamente, il vero e proprio core business: le borseggiatrici, antitesi numero uno di questi sceriffi senza distintivo.

 

 
 
 
 
 
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Oggi il Corriere ha intervistato uno dei nuovi eroi di questo tempo, il 18enne Nicholas Vaccaro – uno dei volti noti della pagina –, che ha raccontato come preferisca spendersi per la sicurezza della sua città invece di andare a ballare con gli amici. Tra le altre cose, Vaccaro è impiegato in una società di sicurezza che ha un contratto d’appalto con un’università milanese. «Sto alla reception. Controllo chi entra e chi esce». Come ogni vigilantes che si rispetti, anche questo Gen Z appassionato di giustizialismo fai da te ha la sua origin story. Da quel poco che possiamo apprendere, sembra un personaggio uscito dalla mente di Frank Miller: «Ho fatto l’alberghiero, tre anni al Capac, un istituto professionale. Ho scritto un libro autobiografico, Hotel del futuro, sulla mia infanzia travagliata, la vita in comunità, ma non per droga. Colpa di problemi familiari, genitori distanti».

Vaccaro è una sorta di campione del mondo di rincorsa alle borseggiatrici: racconta che queste entità malefiche lo minacciano quotidianamente. «Soprattutto i loro mariti o compagni. Lo fanno su TikTok. Avevo condiviso un video di un tentato furto, milioni di visualizzazioni. A un certo punto arriva un messaggio: “Sei un figlio di p., hai picchiato mia moglie incinta, il mio bambino, dammi il tuo indirizzo, vedrai cosa ti succede”. Un’altra volta una borseggiatrice mi ha spruzzato lo spray al peperoncino».

Assieme al suo sodale Matthia Pezzoni (38 anni), fondatore della pagina, definisce il Comitato per la sicurezza che ha fondato come «un gruppetto di sette ragazzi che, nelle ore libere, gira nei quartieri più periferici e critici della città. Ma non siamo armati, al massimo dotati di spray al peperoncino. E nel caso in cui vediamo qualche situazione critica chiamiamo le forze dell’ordine».

Ora: allertare le forze dell’ordine è cosa buona e giusta (e ci mancherebbe pure), ma esplorando a fondo i contenuti della pagina è difficile credere che l’attività quotidiana di questo «gruppetto di sette ragazzi» possa essere ridotta alla denuncia pura e semplice: spesso e volentieri, anche quando le borseggiatrici di turno vengono colte sul fatto, i nostri vigili senza distintivo si lanciano al loro inseguimento anche al di fuori delle stazioni, non disdegnando di reprimerle a colpi di spruzzino.

INSEGUIMENTO BORSEGGIATRICI MILANO CENTRALE 👜❌📣

In tanti lodano l’operato di Vaccaro e soci: i commenti sono perlopiù entusiastici, con elogi del calibro di «Mi aggiungo a quelli che si complimentano con voi. È sempre bello vedere giovani con dei valori. Bravi, ragazzi!» e «Grazie per quello che fate tutto il mio sostegno». Sono reazioni, tutto sommato, comprensibili: in un Paese che ha eletto il decoro a valore supremo, vedere dei ragazzi giovanissimi impegnarsi per risolvere un sopruso conduce direttamente al rilascio di endorfine.

Al di là delle facili emozioni, però, il dato è solo e soltanto uno: non dovrebbero farlo. La ragione è basilare: abbiamo accettato un patto sociale che ci impedisce di rincorrere concezioni del tutto personali di cosa sia conforme a giustizia. Proprio per evitare il far-west, il nostro legislatore ha previsto il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni che ricorre in tutti i casi in cui il cittadino, bypassando il giudice, si fa giustizia da solo. L’esistenza di una limitazione di questo tipo è facilmente intuibile: comportamenti del genere, proprio perché sottratti al controllo di un organo terzo e imparziale come il giudice, potrebbero innescare una spirale di vendette e ritorsioni.

Monica Romano, la consigliera milanese del PD finita al centro delle polemiche per aver condannato questo tipo di comportamenti, ha pronunciato parole intrinsecamente impopolari, che restituiscono un sentimento del tutto contrario alla rabbia covata dalla pancia del Paese; eppure ha ragione: non possiamo fare ritorno allo stato di natura, azzerare la dimensione comunitaria in cui viviamo soltanto per puro amore della pornografia giustizialista. Senza contare tutti i problemi di privacy del caso. «Come spesso accade, il modo peggiore per affrontare storie come questa è ponendo in contrapposizione il diritto alla sicurezza e il diritto alla privacy. Non stiamo discutendo di lasciare privi di difesa i cittadini borseggiati per difendere la privacy dei borseggiatori, ma che esistono modi altri per difendere i cittadini da certi rischi. Quei video possono anche essere fatti nella misura della denuncia perché arrivino alle forze dell’ordine così che facciano il loro lavoro, ma non perché finiscano spiattellati su un social network, di fatto invitando a forme di auto-giustizia e anzi facendo già autogiustizia attraverso la pubblicazione», ha sottolineato Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali.

Per tutti questi motivi, svegliamoci dal sogno: non viviamo a Gotham City, mettiamocelo in testa una volta per tutte.