Il successo di Sánchez in Spagna non deve creare illusioni | Rolling Stone Italia
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Il successo di Sánchez in Spagna non deve creare illusioni

Dopo il buon risultato dei socialisti spagnoli in Italia sono tornati i classici cori che accompagnano queste situazioni, che in gran parte intonano “La Sinistra riparta da…”. La situazione è più complessa di così, e in Europa l'estrema destra gode ancora di ottima salute

Il successo di Sánchez in Spagna non deve creare illusioni

Il leader dei Socialisti, Pedro Sanchez

Foto: Cesar Luis de Luca/dpa via Getty Images

Alla vigilia delle ultime elezioni in Spagna, nel novembre 2019, la copertina della rivista satirica El Jueves mostrava il leader socialista Pedro Sánchez agitato e sudato, accovacciato su una slot machine, nella disperata speranza che la sua scommessa di indire le seconde elezioni politiche dell’anno fosse vincente. E così era stato.

Quattro anni dopo la posta in gioco era ancora più alta per il presidente spagnolo. Sánchez, politico noto per la sua inclinazione a correre rischi, ha sorpreso tutti a fine maggio, quando ha reagito ai consensi deludenti del suo partito alle elezioni regionali e locali convocando un voto anticipato.

La chiave dei risultati che abbiamo visto in queste ore non sta tutta qui, nella decisione di anticipare le consultazioni elettorali; però di sicuro una buona parte della rimonta socialista è cominciata da questa decisione. Di fronte alla sonora sconfitta a livello locale, il messaggio di Sánchez agli elettori è stato chiaro: è arrivato il momento di scegliere tra una Spagna progressista – rappresentata dal Partito Socialista (PSOE) e dai suoi alleati di sinistra Sumar – e le forze reazionarie del Partito Popolare (PP) e dell’estrema destra di Vox.

Proprio la collaborazione tra i popolari e Vox potrebbe aver involontariamente provocato la remuntada socialista nei due mesi che sono trascorsi tra le elezioni amministrative e quelle generali. A maggio il PP si è dovuto alleare con la destra neofranchista in diverse regioni e in più di cento comuni per formare governi di coalizione. L’esito di questa cooperazione è stato a dir poco caotico: divieti sulle bandiere LGBTQ+, guerre culturali sul teatro e chiusura di piste ciclabili, cambiando il volto delle città.

Secondo gli analisti, questo trend si è tradotto in due effetti sostanziali: una grande spinta al voto per gli elettori di sinistra, compresi quelli disillusi dalla Sánchez experience, e una progressiva discesa dell’entusiasmo tra i popolari più moderati, che avevano già dei dubbi su Vox e sul suo approccio ostile verso l’energia green, il multiculturalismo e il femminismo.

Alberto Núñez Feijóo, leader del Partito Popolare, è noto per essere un manager sobrio ma altamente competente: uno dei suoi grandi errori però è stato quello di non aver fissato dei limiti all’operato di Vox nel percorso verso la premiership. Il PP si è precipitato in un rapido accordo di coalizione con Vox nella regione di Valencia, dove un funzionario di estrema destra ha affermato che “la violenza contro le donne non esiste” e Feijóo è stato costretto a porre il veto su un rappresentante di Vox perché era stato condannato per “violenza psicologica” contro la sua ex moglie.

C’è stata molta confusione in questa nuova alleanza: in Estremadura, nella Spagna occidentale, la leader regionale del PP si è rifiutata di prendere in considerazione qualsiasi accordo con Vox, per poi fare marcia indietro e formare una coalizione che ha dato agli ultraconservatori il controllo degli affari rurali, tra cui la caccia e la corrida.

Per tutte queste motivazioni, non sorprende che gli elettori siano rimasti piuttosto spaesati nei confronti delle mosse del centrodestra. In contesti come l’Estremadura, Feijóo ha perso la credibilità necessaria per convincere i socialisti indecisi e i potenziali astenuti che avrebbe avuto la lungimiranza e l’autorità per prendere le distanze da Vox. Questo si è tradotto in risultato deludente per i popolari, primo partito ma anche primo degli sconfitti; per Vox, una vera e propria disfatta, con un numero di seggi al Congresso in calo rispetto alle precedenti elezioni. Secondo moltissimi sondaggi, il centrodestra avrebbe dovuto governare tranquillamente – invece è arrivata la sorpresa socialista.

I problemi sull’asse conservatore hanno coinciso con la rimonta di Sánchez, che ha cavalcato queste settimane di campagna elettorale con grande ottimismo verso la performance del suo partito. L’atteggiamento oltranzista del centrodestra ha contribuito a sottolineare gli avvertimenti del presidente, favorendo la mobilitazione progressista. Un recente sondaggio ha rivelato che oltre il 60% degli spagnoli è preoccupato dalla prospettiva di un governo di coalizione che includa Vox.

Per il leader socialista non è stata però una passeggiata: la campagna elettorale per le elezioni di maggio era stata dominata dai suoi presunti legami con l’Eta, un’organizzazione armata terroristica e indipendentista, sciolta nel 2018, il cui scopo era l’indipendenza del popolo basco. Era infatti emerso che il partito nazionalista basco EH Bildu – di cui il governo Sánchez ha chiesto il sostegno al Congresso – aveva candidato 44 membri dell’Eta condannati, tra cui sette persone giudicate colpevoli di crimini violenti. Stavolta, però, la voglia di fermare la marea conservatrice ha prevalso sulle polemiche.

Ora si apre per la Spagna un’altra partita, forse ancora più delicata di quella vista finora: la composizione di un governo. Non essendoci una chiara maggioranza, lo scenario più accreditato dai commentatori è quello di una nuova tornata elettorale, con un Sánchez rinvigorito dalla rimonta e un Feijóo in difficoltà dopo la vittoria mancata.

L’altra strada di cui si sta parlando sarebbe la formazione di un esecutivo guidato dai socialisti con l’appoggio di molti partiti regionali. Nel tentativo di formare una coalizione più ampia, potrebbe essere avviata una trattativa con i gruppi che tendono a rappresentare le istanze locali. Tra questi, i più rilevanti sono i due partiti indipendentisti catalani, ovvero la sinistra Esquerra Republicana de Catalunya (ERC), che conta sette seggi, e Junts per Catalunya (JuntsxCat) di orientamento di destra, anch’esso con sette seggi. Inoltre, vi sono anche due partiti nazionalisti baschi: ovviamente EH Bildu, con sei seggi, e il Partito Nazionalista Basco (PNV), di destra, con cinque seggi. Nella legislatura precedente, molti di questi partiti hanno fornito un sostegno esterno al governo di Sánchez, dimostrandosi essenziali per la sua attività.

Dopo il successo di Sánchez e del suo partito in Italia sono tornati i classici cori che accompagnano queste situazioni, che in gran parte intonano “La Sinistra riparta da…”. La situazione è ovviamente più complessa di così e non basta la (seppur importante) rimonta dei socialisti spagnoli a scacciare la consolidata presenza dell’estrema destra in Europa, o a mostrare una via percorribile dalla sinistra in ogni Paese.

La debacle di Vox mostra sicuramente un’inversione di tendenza inattesa, con i cittadini che hanno reagito con vigore di fronte a politiche e prassi estremiste: non è sufficiente però per parlare di un trend europeo, considerando anche che a differenza di tutte le altre nazioni la Spagna è quella con i ricordi più vividi dell’autoritarismo di destra.

Guardando al resto del continente, la situazione resta comunque preoccupante per i progressisti: la destra è saldamente al potere in Italia, Ungheria e Polonia; ha scalato posizioni in Finlandia e Svezia; si sta aprendo varchi importanti in Germania; in Francia è costantemente una spina nel fianco per il presidente Macron. Restando su Vox, la loro battuta d’arresto non cancella l’ascesa imperiosa (e inquietante) degli ultimi anni e non è detto che possa compromettere il futuro di questa formazione politica, che comunque ha fatto il suo ingresso nelle amministrazioni locali spagnole.

Il cammino è lungo ed è presto per lanciarsi in analisi avventate, soprattutto se la situazione suggerisce tutt’altro. La rimonta di Sánchez e dei suoi però è certamente importante, perché potrebbe riportare la Spagna sul percorso di riforme avviato nella scorsa legislatura, orientato verso diritti civili, sostenibilità e politiche del lavoro. Non esistono formule magiche per vincere le elezioni, ma se la sinistra dovesse ripartire da qualcosa, potrebbe farlo da questi contenuti.