Il futuro dell’Europa, tra Metaverso e sostegno all’Ucraina | Rolling Stone Italia
Quale futuro per l'Europa?

Il futuro dell’Europa, tra Metaverso e sostegno all’Ucraina

Siamo stati all'ultimo appuntamento della Conferenza sul Futuro dell'Europa, un’occasione importante per la costruzione di un’identità (realmente) europeista

Il futuro dell’Europa, tra Metaverso e sostegno all’Ucraina

Foto: Ilaria Potenza

Cosa ne è stato della Conferenza sul Futuro dell’Europa? Lo scorso 2 dicembre eravamo a Bruxelles per l’evento di follow-up sulla CoFoe.

In quell’occasione, mentre si salutavano i cittadini che per un anno intero avevo seguito i lavori in giro l’Europa, il telefono di altri 150 nuovi fortunati iniziava a squillare. Si stava praticamente chiudendo un cerchio, ma non prima di aver lasciato qualche garanzia su una possibile evoluzione della Cofoe. Dopotutto era quasi una questione di credibilità: il primo esperimento di democrazia deliberativa collettiva dell’Unione europea non poteva finire, a conti fatti, con diversi punti lasciati ancora in sospeso. Venivano così annunciati gli European citizens’ panel, momenti di confronto tra cittadini sempre estratti a sorte per garantire un campione comunitario eterogeneo.

Stavolta però l’organizzazione passava nelle mani della Commissione europea, che prendeva il testimone dal Parlamento per dare la sua impronta all’iniziativa. Per iniziare ha scelto allora tre focus monotematici su spreco alimentare, mondi virtuali e mobilità, ha contattato i cittadini in giro per l’Europa e ha aperto le sue porte e Bruxelles.

Il fine settimana dal 24 al 26 febbraio è stato dedicato al Metaverso, per conoscerlo meglio e capire cosa fare per rendere competitivo il settore digitale europeo. I partecipanti siedono intorno ai tavoli dove di solito si trovano i commissari e discutono della propria idea di mondi virtuali, partendo dalla loro quotidianità e dalle diverse esperienze attive nei paesi di provenienza. C’è per esempio Lisa, 22 anni dalla Bulgaria, che fa fatica a parlare di sviluppo tecnologico perché vede questo mondo andare troppo veloce rispetto a ciò che succede a casa sua. Clotilde dall’Italia invece ne osserva le evoluzioni, ma non nasconde la preoccupazione di veder passare in secondo piano scelte etiche capaci di tenere al centro l’uomo. Il confronto è soprattutto tra generazioni: i millennial si aspettano qualcosa di buono dalla tecnologia, non vivono con apprensione il cambiamento, mentre gli adulti sono più scettici e chiedono all’Europa più regole e garanzie. Entrambi però trovano vincente l’idea di un citizens’ panel sul tema, da una parte perché potrebbe aiutare le istituzioni a sapere cosa i cittadini pensano e si aspettano da loro, e dall’altra perché per la prima volta molti dei partecipanti si sentono davvero europei.

Dopotutto è una questione di percezione e vicinanza: entrare in Commissione e conoscere partecipanti di ogni paese dell’Ue permette infatti di considerarsi parte di una comunità che non esiste solo nei racconti dei tg o negli slogan, ma ha un impatto reale sulle nostre vite. E questa sensazione è stata più che mai amplificata dal fatto che in quel weekend ricorreva anche l’anniversario della guerra in Ucraina, con il quartiere europeo che è diventato teatro di manifestazioni per supportare il popolo ucraino, chiedendo la fine del conflitto. Anche se in quelle ore alcuni non hanno fatto a meno di notare la discrepanza tra l’apprensione dell’Ue sulla questione russa-ucraina e la sua assenza quando si parla di migrazione, soprattutto dopo l’ultima tragedia sulle coste di Crotone.

Il sostegno della Commissione all’Ucraina si declina da mesi in vari ambiti, compreso quello culturale e dell’arte pubblica. Si pensi per esempio al quartiere Marolles di Bruxelles, conosciuto non soltanto per la sua storia e autenticità, ma soprattutto per i murales che rendono le facciate dei palazzi vere e proprie opere d’arte. Qui, sulle mura dell’ospedale Saint Pierre, ne è stato realizzato uno per chiedere la pace grazie al lavoro di due artiste ucraine Mishel e Nicol Feldman e della belga Teresa Sdralevich. Il progetto di Port Agency promosso dalla Commissione europea, tra gli altri, si chiama The Wall e serve a rendere un muro uno spazio di libertà. La scelta dell’ospedale come palazzo di intervento poi non è stata casuale, visto il suo impegno nel fornire ancora oggi farmaci e aiuti alla popolazione ucraina. Ora uno dei suoi lati in cemento è lo spazio per la scritta Grow Freedom (far crescere la libertà, ndr). Le sorelle Feldman sono conosciute nel mondo della street art come Sestry, e quando chiediamo loro se l’arte sta avendo un ruolo nel conflitto rispondono di sì, ché l’arte può diventare divisiva: riesce a generare lotte e a sedarle, perché è capace di definire identità che scelgono da che lato della storia stare.

Lo stesso murales di Bruxelles, inaugurato proprio il 24 febbraio, blocca per certi versi il passaggio di chi cammina per Rue Haute, ma invita ad alzare la testa, a cercare altro dietro ai colori: un’idea, un motivo per resistere anche quando sembra che non ci sia nulla che possa ancora crescere. “La libertà è come un fiore e per venire su ha bisogno che non venga data mai per scontata – dice Yuliana Pyanuh, project manager di Port Agency – abbiamo perciò unito artiste di due paesi diversi, perché l’attenzione necessaria per costruire qualcosa di buono nasce sempre dalla cooperazione. Specie nell’arte, dove mettere insieme le intuizioni può solo essere un esercizio fortunato”. Mentre ci racconta di The Wall, due ragazze con cartelli pro Ucraina tra le mani si avvicinano a noi. Hanno da poco lasciato un corteo per celebrare l’anniversario della guerra e scattano foto davanti al murales stringendosi in un abbraccio che conferma quanto abbiamo bisogno di tenerezza. “Ci sono ancora tante ragioni per non essere del tutto felici di essere europei – ci dicono – soprattutto perché sappiamo di cosa siamo capaci quando stiamo insieme e fa rabbia vedere che spesso ce ne dimentichiamo, lasciando indietro qualcuno”.

Stare dalla stessa parte per creare una comunità funziona quindi sia nei palazzi dove si decidono le cose, che nelle manifestazioni culturali da dove partono piccole rivoluzioni per l’unità. Lo dimostra anche Europavoxmedia, un progetto promosso dalla Commissione e dal programma Creative Europe, attivo dal 2016 sulla scena musicale europea con l’obiettivo di dare un palco prestigioso agli artisti emergenti. Durante l’ultimo anno ha sostenuto particolarmente i musicisti ucraini, come Alina Pash: “Quando mio padre è andato in guerra, mi ha detto che potevo essere anche io in prima linea impegnandomi in qualcosa che avevo scelto con il cuore. Così ho deciso di parlare alle persone attraverso la musica, per strada o durante i concerti di Europavox, e spiegare tutti gli strati della nostra storia a chi mi ascolta, perché conoscere è importante per gli ucraini ma lo è anche per l’umanità in generale”.

Portare i cittadini a Bruxelles durante questo importante anniversario per parlare di digitale si è rivelata in realtà una coincidenza interessante anche per un’altra ragione. Ha permesso infatti di fare il punto su quanto la tecnologia sia utile nel conflitto non soltanto in termini di strategie di intervento, quanto piuttosto di aiuto pratico nei confronti di chi viene colpito. In questo senso l’Europa supporta l’Ucraina grazie al contributo della Dg Connect della Commissione europea per ripristinare le infrastrutture di connessione.

È essenziale infatti che i rifugiati in fuga dall’Ucraina abbiano accesso a una rete a prezzi accessibili per tenersi in contatto con familiari e amici. Secondo il rapporto dell’Organismo delle comunicazioni elettroniche europee a luglio 2022, ottanta operatori mobili dell’Ue hanno offerto chiamate internazionali gratuite verso l’Ucraina e altri quarantaquattro chiamate a un prezzo ridotto. La Commissione europea ha firmato inoltre un accordo per includere l’Ucraina nel programma Europa digitale, con cui le imprese, le organizzazioni e le pubbliche amministrazioni possono beneficiare di finanziamenti nel settore del supercalcolo e dell’intelligenza artificiale per rispondere alle sfide digitali. E infine Laptops for Ukraine è l’iniziativa per raccogliere e consegnare laptop e smartphone a scuole, ospedali e amministrazioni pubbliche nelle regioni più colpite.

Ecco perché temere la tecnologia è limitante: significherebbe sottrarre tempo a occasioni per ritrovarsi. Un po’ come sta accadendo ai cittadini dei citizens’ panel della Commissione europea che, dopo una sessione totalmente condotta nel metaverso l’11 e il 12 marzo, torneranno a essere rete nella sessione finale di aprile.