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Il Comune di Roma cerca veterinari da sottopagare

Il Comune di Roma ha diffuso un bando per assumere dei veterinari. Requisiti? Almeno 7 anni di esperienza, una laurea conseguita da almeno dieci anni, avere una macchina, essere disponibili a lavorare durante le festività nazionali, nei weekend e di notte. Ah, e farsi andare bene uno stipendio di meno di 800 euro netti al mese

Foto di Leon Neal/Getty Images

AAA cercansi medici veterinari con voglia di essere sottopagati. Il dipartimento tutela ambientale del Comune di Roma ha diffuso un bando – con scadenza il 31 marzo – per assumere professionisti del settore che si occupino degli animali allevati nelle aziende agricole “Tenuta del Cavaliere” e “Castel di Guido”.

Requisiti? Almeno 7 anni di esperienza, un diploma di laurea in Medicina Veterinaria conseguito da almeno dieci anni, dimostrabile esperienza nello svolgimento della libera professione o della professione presso strutture pubbliche e/o private di almeno tre anni nell’ultimo quinquennio, essere automunito e disponibili a lavorare durante le festività nazionali, nei weekend e di notte. E, soprattutto, farsi andare bene uno stipendio di meno di 800 euro netti al mese.

Per una durata dell’incarico di 21 mesi infatti, a partire cioè dal 1 aprile 2023 e fino al 31 dicembre 2024, il compenso previsto è di € 9.000,00 per l’anno in corso e € 12.000,00 per quello successivo, per ciascuna figura professionale. Sempre che questa abbia Partita Iva, quindi con spese previdenziali a carico – e togliendo dal compenso un’ulteriore parte destinata all’ENPAV e per l’eventuale Iva al 22%.
E ovviamente a patto che ci sia da parte del lavoratore totale flessibilità «per assicurare il benessere degli animali in allevamento» e che quindi si dia disponibilità ad essere contattati «nell’arco completo delle 24 ore, soprattutto tenendo conto delle urgenze che normalmente si verificano». Significa, in altre parole, dover essere sempre reperibili: una richiesta che ostacola lo svolgimento, in parallelo, di altre collaborazioni, date le evidenti difficoltà organizzative e l’imprevedibilità degli orari lavorativi.

«Nel magico mondo di Roberto Gualtieri anche lo sfruttamento professionale è una triste, squallida realtà» hanno commentato con una nota congiunta il consigliere capitolino Daniele Diaco (M5S) e la consigliera del M5S in VII Municipio, Stefania Balsamà. Se poi si tiene conto che l’offerta di lavoro – se possiamo chiamarla così – è stata pensata, scritta e proposta da un’amministrazione pubblica, un’istituzione che dovrebbe tutelare i diritti dei propri cittadini, la questione appare ancora più grave. Ma non insolita.

L’8 marzo il Ministero dell’Università e della Ricerca, guidato dalla politica di Forza Italia Anna Maria Bernini, ha pubblicato un bando per assumere «quindici esperti ad elevata specializzazione» per il nucleo di coordinamento delle attività di analisi, studio e ricerca. Anche in questo caso, a fronte di requisiti specifici – come aver conseguito una laurea magistrale in ingegneria, economia, matematica e simili – e di un impegno a tempo pieno e per 18 mesi (prorogabili), la paga offerta è incongrua. Anzi, non c’è. Tutte e quindi le posizioni sono infatti da considerarsi a titolo gratuito. Anche se in serata il Mur, con una nota, ha annunciato di aver ritirato l’avviso pubblico e di aver avviato un’indagine interna, la sensazione che qualcosa non stia andando nel verso giusto ci rimane comunque addosso.

D’altronde basta guardarci intorno: i dati ci dicono che un lavoratore italiano guadagna in media 15 mila euro in meno all’anno di quello tedesco, e 10 mila in meno di quello francese, a parità di potere di acquisto. Una condizione che ci portiamo dietro da tempo perché, di fatto, nel nostro Paese gli stipendi sono fermi ormai da decenni, mentre l’inflazione continua a galoppare. Tant’è che sono circa 4,6 milioni i lavoratori che in Italia non raggiungono i 9 euro l’ora (circa uno su tre) e la classe dei “working poor”, cioè dei poveri nonostante il lavoro, ingrossa sempre di più le sue fila.

Di chi è la colpa? Da una parte del sistema economico, che non è stato in grado di maturare come invece accaduto negli altri Paesi (il PIL è piuttosto costante ormai dagli anni Novanta). Dall’altra dell’assenza di misure efficaci che contrastino lo sfruttamento lavorativo, come l’introduzione di un salario minimo di 9 euro l’ora. Una possibilità che fatica a mettere d’accordo le forze politiche, ma che, a conti fatti, permetterebbe ai lavoratori di poter usufruire di 8,4 miliardi in più. Significa che chi non è coperto dalla contrattazione collettiva – il 30% degli occupati – lavorando fra le 38 e le 40 ore settimanali potrebbe ricevere uno stipendio fino a 1500 euro. Una cifra per molti irraggiungibile.

E poi, diciamocela tutta, c’entra pure un po’ come siamo fatti e qualche retaggio che ci portiamo dietro: l’idea che l’importante è lavorare, e che chi ci dà un lavoro, in pratica, ci sta facendo un favore e che solo se ci ammazziamo di fatica e non ci dormiamo la notte allora sì, meritiamo una paga degna, è radicata inconsapevolmente in ognuno di noi e nella società. Ed è ora di disfarcene.

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