Harry Shindler, il laburista inglese che ritrovò il padre di Roger Waters | Rolling Stone Italia
Il cacciatore di ricordi

Harry Shindler, il laburista inglese che ritrovò il padre di Roger Waters

Viveva a San Benedetto del Tronto e, per anni, ha dedicato anima e corpo alla ricerca di tutti i caduti ignoti che hanno contribuito a liberare il nostro Paese, tra cui il padre dell'ex Pink Floyd. È morto oggi all'età di 101 anni: il ricordo di chi l'ha conosciuto

Harry Shindler, il laburista inglese che ritrovò il padre di Roger Waters

La data è il 17 luglio del 2016, una domenica. Il luogo è lo Chalet Vesuvio, sul lungomare di Porto d’Ascoli, la frazione a sud di San Benedetto del Tronto. Sono qui insieme al mio affezionato sodale Mimì per il compleanno di un amico, Harry Shindler, che di anni ne finisce novantacinque.

Harry è un reduce della Seconda Guerra Mondiale, sbarcato ad Anzio insieme agli alleati, ha combattuto i nazifascisti e poi, come pure è accaduto pure a molti altri, in Italia ci è rimasto per tutto il resto della sua vita. C’entrava una donna, di cui il soldato Harry si era innamorato e che poi ha pure sposato.

Nel caldo dell’estate adriatica, tra un prosecco e l’altro, Harry a un certo punto si avvicina e, con il suo irrimediabile accento da suddito di sua maestà, dice: «Oggi verrà pure il mio amico musicista, Roger dei Fluidi». Parla di Roger Waters e, sì, i “Fluidi” sarebbero i Pink Floyd.

Io guardo Mimì e insieme abbozziamo un sorriso educato. Questo simpatico ultranovantenne forse vuole prenderci in giro. «Ma figurati se Roger Waters viene a San Benedetto…», ci diciamo tra noi. Qualche prosecco dopo sul lungomare si ferma un furgone nero da cui effettivamente scende Roger dei Fluidi.

«Ho bevuto troppo, Mimì? Ho le visioni?».
«Forse sì, hai bevuto troppo. Però no, non hai le visioni».

Roger Waters è venuto per davvero fino a San Benedetto del Tronto per una festa di compleanno allo chalet Vesuvio. È così che ho imparato che non bisogna mai e poi mai sottovalutare un soldato inglese.

Harry Shindler è morto oggi: a luglio avrebbe compiuto 102 anni. «Dobbiamo sbrigarci, c’è un sacco di roba da fare», mi ha detto l’ultima volta che l’ho sentito al telefono, prima di Natale.

Ma perché Roger Waters? Che c’entra? Harry Shindler, dal suo appartamento di periferia, è tra le altre cose l’uomo che ha risolto uno dei più potenti misteri della storia del rock. Free four, per esempio, oppure When the tigers broke free, ma anche tutto il disco The Final Cut parlano di Eric Fletcher Waters, padre di Roger, scomparso da qualche parte in Italia durante la Seconda Guerra Mondiale. Dove? Per decenni nessuno è stato in grado di dirlo. E Roger Waters continuava a descrivere se stesso come «the dead man’s son», il figlio dell’uomo morto.

Harry per decenni si è occupato di ritrovare tutti i caduti ignoti che hanno contribuito a liberare il nostro paese: attraverso i diari militari, gli archivi, le mappe e una conoscenza pressoché enciclopedica dei memoriali e dei cimiteri militari, ha ritrovato centinaia di persone, restituendo la loro memoria agli eredi.

È così, ricerca dopo ricerca, è andata anche con Eric Fletcher Waters, sottotenente della Compagnia C dell’Ottavo Battaglione dei fucilieri di Sua Maestà, morto combattendo la mattina del 18 febbraio del 1944, mentre la battaglia infuriava sulle sponde di un torrente nelle campagne vicino ad Aprilia. Il soldato Waters fu travolto dai panzer tedeschi mentre era in una buca nel fango a due passi dalla linea di fuoco del nemico.

Adesso il suo è un nome sul quinto pannello del memoriale eretto a Cassino per i soldati inglesi. Roger Waters ci è andato più volte lì, la prima nel 2013, e lì con la tromba ha suonato il Silenzio, le note che si dedicano ai combattenti. Da allora, per lui Harry è un angelo.

Oltre che cacciatore di ricordi, però, Shindler è stato anche tante altre cose. Il più anziano iscritto al Partito Laburista inglese, per esempio. Era un trotzkista Harry, e per questo finì a combattere in Italia, in accordo con le linee della Workers International League – che poi sarebbe diventata la sezione britannica della Quarta Internazionale – che ruppe con le posizioni pacifiste dell’Ilp (Independent Labour Party) e invitò i suoi militanti a rifiutare l’obiezione di coscienza e imbracciare le armi per combattere i nazisti e i fascisti.

Alla fine della guerra, Shindler è a Napoli, dove frequenta i dissidenti del Partito Comunista, quelli che avevano combattuto in Spagna contro i franchisti ed erano finiti a correre via pure dal fuoco amico stalinista: «Un momento grandioso, dopo il regime finalmente si tornava a organizzare scioperi. Ma era tutto molto difficile comunque».

Harry è rimasto un militante politico fino alla fine. Negli ultimi anni si era dedicato a una lotta poco nota in Italia ma molto sentita in Gran Bretagna, al punto che il Telegraph lo inserì tra i cinquanta personaggi inglesi dell’anno nel 2016. Si parla del voto degli expat, i cittadini britannici residenti all’estero. Quasi un milione e mezzo di persone in totale.

«Se avessimo potuto votare», era la convinzione di Shindler. «La Brexit non sarebbe mai passata». Tra campagne d’opinione, un’udienza all’Onu e un ricorso (vinto) in sede di giustizia europea, nel 2020 l’ex soldato ricevette una lettera dell’allora premier Boris Johnson, che si impegnò formalmente ad approvare una legge per permettere il voto dall’estero: «Molti di voi hanno ancora la famiglia qui. Altri pensano ad una pensione britannica dopo un’intera vita di duro lavoro. E c’è chi, come lei, ha combattuto per il nostro paese», c’era scritto tra le altre cose. La vittoria definitiva è dell’aprile del 2022, con il voto definitivo della Camera dei Lord che ha riformato la legge elettorale. «Questa è la democrazia», fu il commento di Harry, che già però aveva altri pensieri in testa.

Era scoppiata da poche settimane la guerra in Ucraina, e il soldato Shindler aveva assunto al riguardo una posizione fedele alla sua ascendenza trotzkista: «Bisogna armare gli ucraini. Ma non il governo, i cittadini».

Ogni 25 aprile Harry Shindler ha partecipato sia alle varie cerimonie civili organizzate dal Comune di San Benedetto (che gli ha dato la cittadinanza onoraria nel 2012) sia agli incontri con gli studenti delle scuole. Ha continuato a farli fino alla fine. L’unica sua paura era che si potesse dimenticare quello che è successo negli anni ’40 del secolo scorso. Per questo non ha mai smesso di raccontare. Adesso ci rimane la sua storia. La storia di un combattente.

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