Gli influencer sono i nuovi paperoni, facciamocene una ragione | Rolling Stone Italia
Attualità

Gli influencer sono i nuovi paperoni, facciamocene una ragione

A “vivere” di like in Italia sono in parecchi: tra instagrammer, youtuber, streamer e quant’altro, appartengono alla categoria circa 350mila persone, per un valore di mercato di 280 milioni di euro. Abbiamo intervistato i fondatori di Assoinfluencer, il primo sindacato italiano nato per tutelare gli interessi dei content creator, per parlare di un settore con cui conviviamo da anni ma che conosciamo pochissimo

Gli influencer sono i nuovi paperoni, facciamocene una ragione

Chiara Ferragni

Foto: Marco Piraccini/Archivio Marco Piraccini/Mondadori Portfolio via Getty Images

Dobbiamo farcene una ragione: quello degli influencer è diventato a tutti gli effetti un mestiere. E ora ha pure un suo proprio sindacato. Si chiama Assoinfluncer, ed è la prima realtà italiana di questo tipo, nata dall’idea degli avvocati Jacopo Ierussi e Valentina Salonia, con lo specifico scopo di tutelare gli interessi dei social content creator.

Formalmente inserita dal Ministero dello Sviluppo Economico nell’elenco delle associazioni professionali, Assoinfluencer si rivolge a tutti quegli utenti attivi su qualsiasi social media, «che godono di una particolare notorietà nei confronti di un numero elevato di “seguaci” al punto da poterne influenzare il pensiero, su determinate tematiche o scelte commerciali tramite la creazione di contenuti», e per cui ottengono un guadagno in termini economici e di visibilità. Parliamo quindi di un lavoro il cui valore remunerativo dipende principalmente dal numero di followers.

A “vivere” di like in Italia sono in parecchi. Tra instagrammer, youtuber, streamer e quant’altro, appartengono alla categoria degli influencer circa 350mila persone, per un valore di mercato di 280 milioni di euro. Una cifra che nel resto del mondo esplode a tal punto da toccare i 14 miliardi. Un boom in continua espansione negli ultimi cinque anni, tant’è che nel 2021, con l’approvazione del Ddl Concorrenza – la legge annuale per il mercato e la concorrenza – il termine ‘content creator’ è apparso per la prima volta in un documento ufficiale. Per gli influencer, affiliarsi ad un sindacato significa molte cose. I servizi di cui poter usufruire sono diversi, alcuni dei quali “personalizzabili” in base alle esigenze.

Tra questi ci sono un’assicurazione e la possibilità di rivolgersi ad un commercialista interno, oltre ad alcuni sconti sulle piattaforme digitali. Tutti elementi che dovrebbero far sentire più tutelato chi vuole provare a fare questa professione: «I content creator sono spesso avvicinati da tantissimi “venditori di fumo”. Siamo entrati in Confcommercio per poter dare voce alla categoria, sviluppare servizi e convenzioni per i tesserati, e fornire loro un vero e proprio kit di sopravvivenza”, ha dichiarato Jacopo Ierussi, uno dei fondatori di Assoinfluencer.

La capacità degli influencer di attrarre capitale è innegabile. Se ne sono accorti anche gli imprenditori, che sempre più frequentemente associano il proprio marchio ad un volto ben riconoscibile dagli utenti. Come si legge nel report “Brand & Marketer”, redatto dall’Osservatorio Nazionale Influencer Marketing (Onim), l’anno scorso più della metà delle aziende presenti sul nostro territorio ha attivato almeno una campagna di influencer marketing. In più, il 37% di loro, ha investito in almeno 10 progetti che hanno coinvolto un influencer, con un aumento rispetto al 2021 del 15%. Non solo. Il 53% degli intervistati sentiti per la ricerca ha dichiarato di voler ulteriormente aumentare il budget investito in questo settore.

Motivo per cui, «in questo momento storico sono presenti tutti gli elementi utili per promuovere la figura dei creator in Italia e tutelarla», ha spiegato ancora Ierussi. A beneficiare di tale crescita non sono solo creator e marchi: oltre ai diretti interessati, l’influencer marketing genera in Italia più di 100mila posti di lavoro extra, figure che operano dietro le quinte e che contribuiscono a curare l’attività online. Solo per fare un paio di esempi, parliamo dei social media manager o di chi si occupa, nel caso dei brand, della parte di marketing. Un buon lavoro è infatti frutto della collaborazione di diversi professionisti, specializzati in vari settori: un connubio che nel tempo ha reso i contenuti degli influencer sempre più di qualità (come nel caso di video e foto, per cui i creator investono in luci, app di montaggio, videocamere di ultima generazione) e molto più vicini alle esigenze e agli interessi delle proprie community.

Quest’ultimo è un aspetto fondamentale in ottica lavorativa: guadagnare la fiducia dei “seguaci” e risultare credibile ai loro occhi, è la chiave del successo – e della paga. Se l’utente si fida del creator, si immedesima in quello che fa e in quello che crede, allora cercherà di vivere come lui. Frequentando per cena gli stessi posti, ad esempio, acquistando alcuni prodotti anziché altri, e sottoscrivendo un certo abbonamento ad una rivista X. Ad un maggiore seguito corrisponde un guadagno più alto. A stilare per la prima volta una specie di “listino prezzi” degli influencer è stata DeRev, una società specializzata in strategia e comunicazione digitale e che di fatto si occupa della costruzione del posizionamento e della reputazione online. Per stabilire la retribuzione di ogni singola collaborazione, si tengono prima di tutto in conto tre fattori analitici: numero di follower, Engagement Rate e tasso di conversione. Una volta valutati questi dati, va presa in considerazione la piattaforma di pubblicazione, la tipologia di collaborazione e la complessità del contenuto.

In linea di massima, per un post su Facebook di un nano influencer (chi ha tra i 10 mila e i 50 mila follower) il compenso può arrivare fino a 150 euro. Cifre che decollano per i macro influencer (300mila-1 milione di followers), pagati fino a 1.500 euro a contenuto, e per le celebrity (più di 3 milioni di followers) con 5mila euro.

Ma postare su Facebook e su Instagram non è la stessa cosa. Una persona che pubblica su due piattaforme differenti, guadagna in maniera differente (pur avendo grosso modo un bacino di utenza simile). Prendiamo l’esempio del micro influencer, chi cioè ha 50-100 mila followers su Facebook e 10-50 mila su Instagram. Nel primo caso la sua speranza di guadagno è di (massimo) 500 euro a post, nel secondo caso di 750 (seppur con meno seguaci). La motivazione sta proprio nella piattaforma e in un tipo di utenza sì numerosa, ma più “superficiale”, a cui si fa fatica a “vendere” qualcosa. «Non a caso, i creator stanno progressivamente abbandonando Facebook, dove l’influencer marketing sopravvive soltanto quando è legato ai branded content di community verticali e celebrity come The Jackal», ha spiegato la società. Tutt’altro discorso per YouTube, il canale che ha registrato nel 2022 l’aumento dei compensi più alto rispetto allo scorso anno (+60%): «qui una menzione di 60 secondi in un video (quindi non un video dedicato) da parte di uno youtuber nella fascia mega influencer (da 500mila a 1 milione di follower) o celebrity (oltre 1 milione di follower) arriva a costare 15mila euro» si legge nel report. Praticamente, in ottica commerciale, 50mila follower su YouTube valgono più di 1 milione di follower su Facebook.

I compensi degli influencer in Italia. Fonte: DeRev

Numeri destinati a crescere ancora, dal momento che, secondo le stime di DeRev, il trend globale vedrà aumentare i volumi fino a 16,5 miliardi di dollari, con più di 960 miliardi di dollari di vendite attraverso il social commerce entro la fine del 2022. Va da sé che anche i brand troveranno sempre più conveniente collaborare con i content creator, soprattutto perché le ricerche degli ultimi anni hanno dimostrato che effettivamente la fiducia da parte del consumatore c’è. Lo Statista Global Consumer Survey conferma che gli influencer attualmente esercitano un grosso potere sulle decisioni di acquisto delle persone. Accade in particolare in Brasile, Cina e India, mentre in Europa sono proprio gli italiani a starci particolarmente dietro: il 22% delle persone intervistate ha affermato di aver fatto almeno un acquisto nel 2022 perché un influencer pubblicizzava il prodotto.

L’influenza degli influencer. Fonte: Statista

Insomma, ci tocca davvero cominciare a pensare a quello dell’influencer come un mestiere: non dovrebbe essere complicato, visto che inconsapevolmente ci siamo già dentro da un pezzo.

Altre notizie su:  Influencer Sindacato