È accettabile percorrere 50 km per consegnare un panino? | Rolling Stone Italia
Pedalando orgogliosamente

È accettabile percorrere 50 km per consegnare un panino?

Secondo il rider Filippo Bazerla, che lo ha fatto per davvero, la risposta è sì: «Se ho accettato quella consegna, è perché amo il mio lavoro». Inconsapevolezza di classe, dicono alcuni; dignità personale, sostengono altri. Una storia che sembra un film di Ken Loach al contrario

È accettabile percorrere 50 km per consegnare un panino?

La storiella di cronaca odierna, a prima vista, ha dell’incredibile: sembra quasi il ribaltamento della sceneggiatura di un film di Ken Loach. Per farla breve: Filippo Bazerla, rider che lavora per il celebre colosso del delivery Glovo, ha percorso la bellezza di cinquanta chilometri complessivi per consegnare un panino al consigliere regionale Andrea Bassi, in quota Fratelli d’Italia.

La vicenda ha fatto discutere moltissimo e ha stupito in primis lo stesso Bassi che, comprensibilmente colpito dalla considerevole distanza percorsa da Bazerla, ha raccontato l’accaduto in un post pubblicato su Facebook: «Avevo ordinato da una nota catena di fast food alle 18:40, la consegna era prevista alle 19:40 ma alle 20:50 ancora l’ombra di nessuno. Il ragazzo è arrivato alle 21:10 e quando ho visto in che condizioni era, l’arrabbiatura si è trasformata in pena», ha scritto. «Non cado dalle nuvole ma ho toccato con mano quello che accade a questi poveri ragazzi: è stata la prima volta che ho usato l’applicazione. Ero ignorante, ora ne ho preso consapevolezza».

Bassi ha anche spiegato di aver pensato all’accaduto per tutta la notte: «Ma questo povero Cristo ha dovuto patire per portarmi a casa degli hamburger con patatine? (…) Gli ho anche chiesto se volesse salire a scaldarsi un po’ ma mi ha risposo che non aveva tempo, che doveva correre via per altre consegne», ha detto, sottolineato come non intenda essere complice di questo sistema« Fino a quando non vedrò un cambiamento, non contribuirò a perpetrare lo sfruttamento».

La presa di coscienza di Bassi, però, non ha trovato una corrispondenza di amorosi sensi da parte del diretto interessato: Bazerla, infatti, ha difeso con le unghie e con i denti la pedalata ultra–chilometrica, rispendendo al mittente ogni accusa di sfruttamento e tirando in ballo la sua personalissima interpretazione di diverse categorie marxiste, a partire dall’alienazione. In un post condiviso sul suo profilo Facebook, il rider ha rivendicato l’orgoglio e la soddisfazione che prova per il lavoro che ha scelto di intraprendere, nonostante il racconto del consigliere abbia fatto capire l’opposto. «Si dice che siamo sfruttati – ha scritto Bazerla – che guadagniamo miseramente. È vero. Ma io non mi sento sfruttato perché non conta la quantità di denaro nel mio modo di essere quanto piuttosto la qualità del tempo in cui vivo».

Secondo Bazerla, le pedalate chilometriche sono una pena tutto sommato sopportabile, se comparate al grigiume da cancelleria un po’ fantozziano tipico degli uffici: «In soldoni, se vado in ufficio e devo stare in silenzio 8 ore, per fare 2 ore di pausa pranzo, insomma queste cose alienanti e per me tristi, le rifiuto», ha scritto. Infine, il punto focale sottostimato da tutti: a Bazerla la routine da rider piace. «Amo il mio lavoro, posso rifiutare le consegne se voglio. Lui (Bassi, ndr) se voleva poteva annullare l’ordine, sia prima che dopo 5 minuti dall’offerta contrattuale, ma se lo faceva dopo io avrei ricevuto un indennizzo. Ma meglio così, se no arrivo a Bussolengo e scopro di aver fatto la strada per niente e allora non va bene», ha sottolineato.

Infine, in relazione al dardo avvelenato che finisce per cannibalizzare il dibattito relativo alle condizioni lavorative dei rider (il compenso), la posizione di Bazerla è chiarissima: «Come puoi pretendere 1300 euro con un lavoro che fai giocando? Puoi sempre cambiarlo. Guadagni poco? Cambia lavoro o fanne un altro, la soluzione c’è, se non lo trovi cosa diamine centrano gli algoritmi?».

Che si tratti di inconsapevolezza di classe (come hanno sostenuto alcuni sui social) o difesa della propria dignità (come hanno argomentato altri), a colpire di questa storia è soprattutto la particolare concezione di alienazione denunciata dal giovane: a spaventarlo non sono quelle storture ben rappresentate da film come Sorry We Missed You, che indaga a fondo il senso di alienazione e la stanchezza che pervade questa nuova schiera di lavoratori costretti a “correre” per poter guadagnare, muovendosi in città caotiche, con un occhio sulla strada e un altro sull’app che ti offre la prossima pizza da consegnare; quello da cui sembra voler rifuggire a ogni costo è una quotidianità meccanica alla Fantozzi, i corpi flaccidi, mostruosi e tragicomici che sballottolano in continuazione sulle onde dei luoghi del lavoro – l’ufficio, il corridoio, la macchinetta del caffè, la sala riunioni, la mensa. Una sorta di avversione invincibile contro i moti perpetui da ufficetto.

Una tendenza ben visibile anche consultando velocemente il profilo del rider, che in un post del 2021 ha scritto: «Voi non lo crederete, ma io sono felice, anche se tutto va male. Sì, perché prima dovevo sempre stare al passo, raggiungere l’obbiettivo, non deludere nessuno… La mia vita pre-covid faceva schifo, e il covid non c’entra. Il fatto è che finalmente sono libero dallo studio, attività sempre odiata (lo studio accademico scolastico) ma sempre imposta dall’alto, per essere come gli altri appunto. Adesso siamo ritornati tutti alle basi della vita: sopravvivere, mangiare, avere al più un compagno di giochi… Diciamolo chiaro: da scimmie si vive meglio!!! Sono libero! Anche se poi non faccio nulla di utile».

Insomma: Bazerla non vuole allineato ai canoni di successo occidentali, e tutto sommato ha ragione. In quest’ottica, si spiega anche il fastidio che il ragazzo ha provato per la narrazione pietistica di Bassi: vuole essere trattato come un primo tra pari, non vuole competere con nessuno, vuole badare all’essenziale. E non abbiamo ragione di non credergli, di calarlo nei panni della vittima a ogni costo: oggi abbiamo scoperto che, anche se per tante persone – compreso chi scrive – dovrebbe essere inaccettabile anche soltanto pensarlo, per qualcuno percorrere cinquanta chilometri per consegnare un panino è tutto sommato un giusto compromesso.