“Don’t say gay”: Ron DeSantis si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti | Rolling Stone Italia
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“Don’t say gay”: Ron DeSantis si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti

Odia la Disney, il politicamente corretto, i libri di matematica e l'aborto. Pensa che la libera circolazione delle armi sia una cosa buona e giusta, si oppone a qualunque controllo e restrizione sui fucili ed è sponsorizzato dalla National Rifle Association. Secondo alcuni, fa sembrare Trump un moderato: conosciamolo meglio

“Don’t say gay”: Ron DeSantis si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti

Foto di Paul Hennessy/SOPA Images/LightRocket via Getty Images

Ora è ufficiale: Ron DeSantis, il 44enne governatore della Florida famoso, tra le altre cose, per le sue battaglie anti–woke contro i cartoni Disney troppo politicamente corretti e i libri di matematica, si è candidato ufficialmente alla presidenza degli Stati Uniti per il 2024.

DeSantis sfiderà Donald Trump alle primarie del Partito Repubblicano per contendergli il titolo di candidato presidente conservatore e, di conseguenza, ridisegnare i rapporti di forza all’interno del Grand Old Party. Come spesso accade nella narrazione della politica statunitense, l’annuncio della discesa in campo – almeno nelle intenzioni – avrebbe dovuto essere monumentale: una diretta audio insieme all’imprenditore e proprietario di Twitter Elon Musk. Solo che, ecco, le cose non sono andate benissimo: la live (che ha ospitato anche il venture capitalist David Sacks) inizialmente programmata per le 18, è iniziata con un ritardo di quasi mezz’ora, e l’account di DeSantis è entrato e uscito dalla diretta ripetutamente, disattivando e riattivando l’audio a più riprese prima di lasciarla completamente.

Problemi tecnici a parte, per Trump DeSantis è un avversario temibile: è l’unico esponente repubblicano in grado di impensierirlo, il solo capace di ritagliarsi uno spazio di visibilità considerevole a destra senza finire oscurato da una figura ingombrante come quella del Tycoon.

Il governatore ha fatto parlare di sé soprattutto per l’approvazione della legge conosciuta come “Don’t say gay”, con cui ha vietato di affrontare nelle scuole pubbliche elementari della Florida un tema delicato come l’identità sessuale: nello specifico, il provvedimento vieta l’istruzione sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere dalla scuola materna fino alla terza elementare, dato che, secondo i promotori, dovrebbero essere gli stessi genitori ad affrontare questi argomenti con i bambini.

Questa misura è stata avversata per il suo carattere discriminatorio anche dalla Disney, che ha costruito proprio a Orlando, in Florida, il suo primo parco giochi. A queste accuse DeSantis ha risposto minacciando di costruire una prigione affianco al parco divertimenti ed eliminando i privilegi di autogestione amministrativa concessi da anni alla compagnia. Minaccia ritenuta da Disney una vendetta del governo come punizione per aver esercitato la propria libertà di espressione e che ha portato la compagnia ad avviare un’azione legale conto il governatore.

DeSantis è un convinto sostenitore della cosiddetta “lobby delle armi”: si oppone a qualunque controllo e restrizione sulle armi da fuoco e considera il secondo emendamento come una sorta di terreno sacro, ricevendo per questo un A+ come voto da parte della National Rifle Association of America, l’associazione fondata nel 1871 da due veterani della guerra civile statunitense, con l’obiettivo di «promuovere e incoraggiare il tiro con la carabina su base scientifica».

Anche la formazione politica di DeSantis è di stampo ultraconservatrice: è legato infatti al cosiddetto Tea Party, un movimento politico schierato a difesa del libero mercato e su posizioni conservatrici/libertariane, emerso negli Stati Uniti nel 2009 attraverso una serie di proteste locali coordinate a livello nazionale.