Cos’è questa storia delle commissioni di Vinted? | Rolling Stone Italia
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Cos’è questa storia delle commissioni di Vinted?

Il sito online per la compra vendita (principalmente) di abbigliamento e accessori di seconda mano è stato multato per 1,5 milioni di euro dall’Antitrust per aver dato informazioni ingannevoli e scorrette agli utenti italiani della piattaforma, non rivelando alcuni costi nascosti

Cos’è questa storia delle commissioni di Vinted?

Foto di VIRGINIE LEFOUR/BELGA MAG/AFP via Getty Images

Vinted, il sito online per la compra vendita (principalmente) di abbigliamento e accessori di seconda mano è stato multato per 1,5 milioni di euro dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Antitrust) per aver dato informazioni ingannevoli e scorrette agli utenti italiani della piattaforma, non rivelando alcuni costi nascosti

«A partire dal mese di febbraio 2021, sono pervenute una serie di segnalazioni da parte di consumatori e loro associazioni rappresentative» si legge nel documento ufficiale redatto dall’Antitrust, riguardanti essenzialmente costi di pagamento e di spedizione dei beni offerti in vendita su Vinted. La società avrebbe inoltre bloccato gli account degli utenti che avevano presentato reclamo proprio in merito alla gestione dei costi aggiuntivi. Per questo motivo l’Autorità ha avviato una fase di verifica e raccolta di informazioni, che si è conclusa con la multa da un milione e mezzo. È stato infatti ritenuto che la piattaforma abbia pubblicizzato le proprie attività premendo sulla gratuità delle operazioni: informazioni ingannevoli perché alla fine i costi reali si sono rivelati più alti di quelli dichiarati. Gli acquirenti infatti, oltre a farsi carico (ovviamente) dell’importo della merce comprata, devono pagare spese di spedizione e commissioni relative alla “protezione acquisti”. Si tratta di una specie di “tassa” che Vinted addebita a chi compra, per garantirgli un eventuale rimborso in caso di merce smarrita, arrivata danneggiata o significativamente diversa da quanto descritto dal venditore.

Sul sito della piattaforma c’è scritto che la commissione si applica «agli acquirenti per ogni pagamento effettuato tramite Vinted e consiste in un importo fisso, pari a 0,70 € più il 5% del prezzo dell’articolo». Il problema non è che la società la faccia pagare, ma che abbia «omesso di indicare in modo chiaro e trasparente, fin dal momento dell’iniziale aggancio pubblicitario, l’esistenza a carico dei consumatori di costi ulteriori». Queste modalità andrebbero avanti almeno da dicembre del 2020, quando l’app di Vinted è arrivata in Italia e costituiscono una pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21 e 22 del Codice del Consumo, secondo cui: i consumatori sono indotti ad assumere una decisione circa l’acquisto di un prodotto che – se avessero saputo dell’esistenza di ulteriori costi – magari non avrebbero preso. Per l’Antitrust, Vinted doveva indicare sin dal momento della ricerca o della consultazione del catalogo (quindi sull’homepage del sito o dell’app) il costo effettivo degli articoli (quindi con le annesse commissioni).

Ovviamente Vinted non è rimasta a guardare. Altroconsumo, associazione nata in difesa dei consumatori, dice che dopo la pubblicazione della notizia sulla sanzione dell’Antitrust, la società di compravendita di usato ha comunicato che farà appello perché «i costi della Protezione Acquisti sono variabili in quanto si basano sia su una percentuale applicata al prezzo dell’articolo, che su un importo fisso; per questo motivo l’importo finale della commissione dipende dal prezzo dell’oggetto. Poiché il prezzo può essere negoziato dagli utenti, l’importo finale della Protezione Acquisti viene calcolato al termine della transazione». Dunque l’omissione di certi costi sarebbe da attribuire al fatto che il prezzo “si costruisce” in base alla contrattazione tra i due utenti e non può essere stabilito a priori. Per questo Vinted reputa il proprio servizio assolutamente chiaro e trasparente, in linea con gli standard del settore. Inoltre la società ha sottolineato che durante il processo di acquisto, chi compra viene ripetutamente informato dei costi che si andranno ad aggiungere alla fine della pratica.

Anche se ne sentiamo parlare relativamente da poco, Vinted in realtà è un portale nato nel 2008 in Lituania, da un’idea di Milda Mitkute e Justas Janauskas. La prima, co-fondatrice del progetto, stava organizzando il trasloco in una nuova casa quando si è resa conto di avere troppi vestiti da portarsi dietro. Il secondo, un suo amico, ha avuto l’idea di creare un sito web per aiutarla a sbarazzarsene, vendendoli ad altre persone. Funzione che nel tempo è rimasta piuttosto simile: gli utenti utilizzano l’app principalmente per vendere vestiti, scarpe o accessori usati, ma di recente il mercato si è esteso a giocattoli e altri tipi di merce. Come spesso accade, però, quando un prodotto, una piattaforma o un sito arrivano all’apice del proprio successo, è molto più facile che saltino fuori criticità e problematiche fino a quel momento nascoste, proprio come è accaduto a Vinted. Dopo un periodo trascorso sull’orlo del collasso, infatti, la società è riuscita a trovare la chiave giusta per arrivare ad un bacino di utenza di più di 75 milioni di membri registrati in tutto il mondo. Di questi, 7 milioni risiedono in Italia. In generale è un periodo piuttosto fortunato per il mercato dell’abbigliamento di seconda mano, che nel 2018 è stato valutato – escluso il noleggio di abbigliamento – a 24 miliardi di dollari e dovrebbe arrivare a toccare quota 64 miliardi entro il 2028. Un settore insomma che per decollare non ha bisogno di sotterfugi.