Quarant’anni dopo, il caso Emanuela Orlandi è ancora il mistero italiano per definizione | Rolling Stone Italia
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Quarant’anni dopo, il caso Emanuela Orlandi è ancora il mistero italiano per definizione

Tra detti e non detti, siamo arrivati alla clamorosa riapertura del caso da parte del Vaticano. Ripercorriamo storia, zone d'ombra e possibili sviluppi del mistero italiano per definizione. Avevamo bisogno di saperne di più? Assolutamente sì

Quarant’anni dopo, il caso Emanuela Orlandi è ancora il mistero italiano per definizione

Pietro Orlandi, fratello di Emanuela, durante la manifestazione organizzata in occasione del compleanno di sua sorella Emanuela

Foto di Antonio Masiello/Getty Images

La sparizione di Emanuela Orlandi è una di quelle storie destinate a far parlare di sé per sempre. Bastano 108 battute (spazi inclusi, nemmeno due righe secondo gli standard editoriali) per capire il perché: 22 giugno 1983, una ragazza di 15 anni, cittadina vaticana, sparisce nel nulla e poi nessuno la ritrova più.

Se vogliamo aggiungere qualcosa, a ulteriore spiegazione del rumore che a quarant’anni dai fatti continua a fare la vicenda, basta citare i nomi dei soggetti chiamati in causa nel tempo: la Città del Vaticano, la Repubblica Italiana, l’Istituto per le opere di religione, il Banco Ambrosiano, i servizi segreti di almeno una dozzina di paesi diversi, la banda della Magliana e un numero difficilmente precisabile di organizzazioni terroristiche internazionali. Inevitabile dunque la serie sterminata di inchieste giornalistiche, ricostruzioni storiche, libri, film, documentari, podcast, racconti, tesi, opinioni, pensieri e retroscena che hanno attraversato quattro decenni di storia senza arrivare mai ad alcuno sbocco concreto.

Il mistero, insomma, c’è. E dove c’è un mistero c’è quasi sempre dibattito infinito. E la situazione si intreccia, gli elementi si sommano tra di loro, le voci si sovrappongono: è come se fossimo in presenza di un gomitolo da srotolare, e a ogni giro scopriamo un nodo nuovo da sciogliere. Con tutto quello che comporta in termini di tempo perso e di progressivo allontanarsi dal centro della questione.

Ma oggi, gennaio 2023, cosa c’è di nuovo sul caso di Emanuela Orlandi? Risposta lunga: almeno uno scoop giornalistico e la sorprendente – o forse addirittura clamorosa – decisione del Vaticano di riaprire l’inchiesta, riprendendo in mano le vecchie carte e di mettere in piedi un nuovo fascicolo. Ufficialmente l’iniziativa è legata a una serie di istanze presentate da Pietro Orlandi – il fratello –, ma su tutti i giornali, dai tabloid a quelli più seri, la coincidenza tra la morte di papa Ratzinger e il riavvio dell’indagine è stata notata, del resto tra i due eventi passano appena dieci giorni. La spiegazione, a leggere in giro, sarebbe politica: sepolti Wojtyla e Ratzinger (i due papi che più da vicino hanno toccato il caso Orlandi), adesso l’aria sarebbe diversa e allora il promotore della giustizia Vaticana, Alessandro Diddi, potrebbe finalmente arrivare a una qualche verità con le sue indagini.

Troppa dietrologia? Forse sì, ma è sostanzialmente impossibile farne a meno quando si tratta di storie che avvengono Oltretevere.
Dicevamo prima di uno scoop. Eccolo: il 4 dicembre scorso, il Giornale pubblica in anteprima un audio raccolto dal giornalista Alessandro Ambrosini in cui un ex socio del boss della banda della Magliana Enrico De Pedis, “Renatino”, riferisce «verità sconcertanti» in grado di legare il Vaticano alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Le registrazioni sarebbero parte di un colloquio avvenuto nel 2009, la durata totale del resoconto sarebbe di quattro ore.

Inizialmente la gola profonda di Ambrosini non fa esplicito riferimento al caso Orlandi, ma parla genericamente di «alcune ragazze» per poi ripercorrere alcune tappe della vicenda e concludere che sarebbe inutile raccontare la verità su quanto successo «a lei e alle altre». Qui il primo riferimento che viene in mente è a Mirella Gregori, anche lei quindicenne e anche lei scomparsa a Roma nel 1983, un mese prima di Emanuela Orlandi: non è la prima volta che questo accostamento emerge, ma sin qui, ipotesi e suggestioni a parte, di legami concreti tra i due eventi non ne sono stati trovati.

Nella registrazione di Ambrosini, comunque, il nome che ricorre più spesso è quello di De Pedis (incredibilmente sepolto nella basilica di Sant’Apollinare) e poi si fa riferimento a un vecchio cardinale morto sul finire del secolo scorso, Agostino Casaroli, segretario di Stato al Vaticano dal 1979 al 1990. Un ripescaggio dal passato: Casaroli è finito in decine di inchieste giornalistiche – era uno dei famosi 121 ecclesiastici massoni secondo Op di Pecorelli – ed è stato anche citato da Ali Agca in un talk show turco come vero mandante del suo attentato a Wojtyla.

In buona sostanza, quello che emerge dagli audio di Ambrosini sarebbe un legame tra «alcune ragazze» presumibilmente scomparse, un cardinale e una banda criminale romana: cose già dette in passato, ma stavolta a raccontare la storia è un personaggio che stava al vertice della famosa banda. Quello che anche qui manca, ma che in fondo si può facilmente immaginare, è un movente: perché la sparizione?

A questa domanda, appunto, nessuno è mai riuscito a rispondere senza scadere nell’ipotesi, cosa abbastanza prevedibile e in fin dei conti inevitabile vista la mostruosa mole di attori coinvolti nella vicenda. Da citare, quantomeno per accuratezza della ricostruzione e originalità, la ricostruzione che ha fatto del caso Maria Giovanna Maglie nel suo libro «Addio Emanuela», uscito pochi mesi fa per Piemme. Secondo la popolare giornalista, la giovane cittadina vaticana sarebbe stata tenuta prigioniera per anni in un ostello religioso a Londra. Quando poi è morta, il corpo sarebbe stato rispedito in Italia dove è stato cremato e sepolto nel cimitero teutonico della Città del Vaticano. La mole di documenti raccolti a supporto di questa tesi è piuttosto ingente, e andrebbe, mettendo insieme parecchi elementi, va a rafforzare la cosiddetta «tesi mista» sulla scomparsa di Orlandi, ovvero l’insieme di più fattori. È, in buona sostanza, la «teoria del tutto» sul caso e contiene sia la pista legata all’attentato a Wojtyla, sia quella legata allo Ior e alla morte del banchiere Roberto Calvi, sia quella della pedofilia (la più forte in assoluto, sostenuta sia da sacerdoti sia da pentiti di Cosa Nostra).

E così, tra detti e non detti, arriviamo alla riapertura del caso da parte del Vaticano. Le prospettive, a volerla dire tutta, sono incerte. «È come quando incaricano la questura di indagare sulle malefatte di alcuni poliziotti – commenta sarcastico Ambrosini -, dunque non so cosa potrebbe venire fuori». Il problema, in fondo, è tutto qui: se la verità esiste ma non si è detta per quarant’anni, siamo sicuri che il passare del tempo sia un elemento sufficiente a farla venire fuori una volta per tutte? Tra gli intrighi e i misteri, i peccati e i reati, la verità è quasi sempre una questione di contesto: non chi ha materialmente fatto qualcosa, ma l’ambiente da cui proviene e che, in un modo o nell’altro, ha favorito una certa piega degli eventi. Purtroppo è un discorso che non riguarda solo il caso di Emanuela Orlandi.