Case chiuse, preti che ballano la techno e acchiappafantasmi: è la Svizzera, bellezza | Rolling Stone Italia
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Case chiuse, preti che ballano la techno e acchiappafantasmi: è la Svizzera, bellezza

'La 25esima ora', programma prodotto da RSI, ci porta in una Svizzera completamente diversa, quella notturna e underground, lontana da quell'immaginario ovattato tutto pascoli, noia e banche. Un viaggio tra centri di ricerca che ricordano grosse fette di emmenthal, piccoli sabba improvvisati in chiesa, bar per nani e tanto altro

Case chiuse, preti che ballano la techno e acchiappafantasmi: è la Svizzera, bellezza

Qualche sera fa mentre passeggiavo per il centro di Milano ho sentito musica ad alto volume venire da non so dove. Ho pensato che sarebbe bello se si potesse ballare dentro il duomo. Il mio pensiero non è così bislacco. A poco più di quattro ore di treno dalla madonnina, Padre Frank organizza party che vanno avanti tutta la notte nella chiesa dove è stato consacrato pastore e che ora dirige. Non una chiesa sconsacrata quindi, ma un luogo di culto ancora attivo e funzionante.

Riuscite a immaginare l’arcivescovo Delpini che fa serata sotto le navate della cattedrale meneghina con musica techno ed elettronica a palla?! Sarebbe un miracolo, se accadesse.

Quando ho visto che all’interno dell’imponente chiesa diretta da Padre Frank c’erano persone che ballavano con indosso calze a rete, culotte di latex, harness, mentre altre stavano in jeans e a seno nudo con degli sticker sui capezzoli, non riuscivo a crederci.
Eppure accade.

Purtroppo non in Italia ma a Basilea.

Ammetto che per me la Svizzera è sempre stata montagne, pascoli e banche a perdita d’occhio, scoprire che contiene realtà così lontane dal mio immaginario mi ha stupito e ha giovato il lavoro che cerco di fare – innanzitutto su me stessa – per la decostruzione dei pregiudizi.

Se anche voi ne avete – quantomeno sul popolo elvetico – dovreste vedere il programma La 25esima ora, che va in onda su RSI – radiotelevisione svizzera, prodotto da Nick Mottis.

Per una che non ha la tv ormai da 15 anni, appassionarsi a un programma televisivo, per di più della televisione svizzera, è stato di per sé eccentrico. Di RSI conoscevo solo gli sketch di Aldo e Giovanni, poi ripresi con Giacomo nei loro indimenticabili personaggi Huber, Rezzonico e Gervasoni (quelli del “Potevo rimanere offeso”, tanto per capirci). La loro parodia mi aveva influenzato molto e francamente non pensavo che la rete potesse produrre un programma così ben confezionato come La 25esima ora.

La prima puntata che ho visto è stata quella su Losanna, che conosco perché ogni anno da 11 anni a questa parte viene organizzata La fête du slip, un festival multidisciplinare che presenta progetti artistici su affetti, sessualità e generi che disobbediscono alle norme, come recita la presentazione sul sito dell’evento. L’episodio su Losanna racconta, fra le altre, la storia di Elias, un professore universitario all’Università di Neuchâtel che si trovava in città per competere per il campionato nazionale di wrestling. «Io non sono due persone diverse, sono la stessa persona, ma in due contesti differenti» dice di sé Elias, che non ha mai nascosto la sua doppia vita.

Un approccio simile, seppure complicato dal punto di vista della morale, è quello di Lisa, proprietaria di Venusia, una casa chiusa di Ginevra: «Quando le persone mi chiedono quale sia la mia professione, dico sempre la verità. Mi ero detta: vediamo se mi accettano, e ho capito molto rapidamente che mi accettavano come persona indipendentemente dalla mia professione».

In Svizzera il lavoro sessuale è legale, ma non esente da stigma. Nonostante sulla carta sia equiparato a qualunque altro mestiere, dire pubblicamente che ci si prostituisce costituisce un passaggio di status agli occhi di molte persone.

Con una colonna sonora accattivante – da Under your Spell dei Desire ad Amanda Lear dei Baustelle – e inquadrature che attraversano gli spazi in modo sciolto, La 25esima ora narra la vita notturna di alcune fra le più grandi città svizzere attraverso le storie delle persone che ci abitano; chi da sempre, chi dopo essere arrivato anche da molto lontano, come Latifa – cuoca marocchina immigrata a Friburgo che prepara piatti take away – o Bonny B, musicista trasferitosi ancora bambino a Friburgo dalla Cambogia.

Con un montaggio che evita il patetismo e non ha l’obiettivo di commuovere a ogni costo, ciascun episodio restituisce uno spaccato peculiare, ossia quello delle persone che si muovono con disinvoltura quando cala il buio e le strade si fanno deserte.
Non tutte le strade, come nel caso di Zurigo, a cui sono state dedicate due puntate.

Della prima mi ha particolarmente colpito la storia della videoteca e associazione Les Videos, che si trova a Niederdorf, un quartiere centralissimo della città.

Fabio (tantissime delle persone intervistate hanno nomi italiani, il che mi fa supporre che siano figlie, nipoti o pronipoti di persone arrivate dall’Italia) dice che «non era più una questione economica ma idealistica. Così abbiamo realizzato che per continuare, dovevamo lottare. Sia per il personale che per i clienti, tutti insieme, abbiamo dovuto impegnarci per mantenere vivo questo ideale».

Un ideale che risale le correnti come un salmone per deporre le uova e pare che – nonostante le difficoltà oggettive (la brutale concorrenza delle piattaforme di streaming, a pagamento e pirata) – resista. Anche perché l’archivio che conserva è di trentamila film contro i circa diecimila di una qualunque piattaforma di streaming, che per di più elimina i contenuti quando li considera non più remunerativi, come racconta un loro cliente affezionato.

La ragione che sta dietro questa scelta commerciale è che i server, per quanto grandi, hanno uno spazio limitato e sono costosi, quindi bisogna ottimizzare. Le aziende di quelle dimensioni non contemplano il sentimentalismo né tantomeno la socialità così come io non contemplavo che in Svizzera sentimentalismo e socialità potessero avere cittadinanza.

Nella mia testa le persone svizzere erano dedite a farsi i cazzi propri mangiando la raclette e andando a letto presto. Suppongo che a corroborare questa visione pregiudizievole abbia contribuito anche Sorrentino con Le conseguenze dell’amore, dove pure il personaggio di Servillo – Titta Di Girolamo, salernitano – era imperturbabile.

Un’altra storia che mi ha colpito dell’episodio zurighese è quella di Rolando, un artista che si descrive piccolo in quanto nano, esibizionista e creativo, insieme alla moglie ha aperto un’attività a sua misura, in senso letterale: «voglio che la gente venga giù da me. Devo sempre guardare in su, invece voglio che la gente venga giù da me. E così è nato il minibar e funziona molto bene. Ho anche la più piccola birra del mondo».

Quando si portano al grande pubblico vicende che per qualche ragione non rispecchiano la norma, scivolare nel ridicolo è un attimo, ma la regia sobria e la scelta narrativa asciutta – svizzera, oserei dire – de La 25esima ora riescono a suscitare empatia senza sbavature. Neppure quando veniamo portati a Neuchâtel, dove nel 2005 Massimo ha fondato XBI Paranormal Investigations, un gruppo di ricerca su fenomeni paranormali inizialmente formato da tre persone e che ora ne conta una ventina tra Svizzera, Francia, Italia e Regno Unito. Tipo Ghostbusters, ma rigorosi.

Di particolare impatto l’accostamento delle ricercate cene casalinghe da 290 franchi a persona organizzate nella sua casa ai margini di Zurigo dal cuoco Ricki e la lunga fila per avere almeno un pasto al giorno, offerto dall’associazione di volontariato Open Hearts, che opera laddove il sistema non arriva. Viene così restituito uno spaccato della Svizzera che ci si aspetta ancora meno dei party in chiesa. Ci sono circa 745mila persone che vivono con un reddito inferiore alla soglia di povertà e i numeri sono destinati ad aumentare benché rispetto ad altri Paesi europei le percentuali siano inferiori di alcuni punti.

Puntata dopo puntata mi è venuta voglia di approfondire e sapere di più. Mi sono piaciute le storie apparentemente singolari portate sullo schermo da La 25esima ora, perché danno l’idea di non essere così lontane, più che geograficamente, emotivamente. Le ho trovate reali nella loro semplicità, nonostante alcune possano sembrare bizzarre, come per esempio Marcel, monaco zen che la notte va a meditare al cimitero di Sihlfeld, uno dei più antichi di Zurigo, per stare in ascolto della morte. Ho scoperto la Svizzera notturna attraverso i racconti dei suoi protagonisti, apprendendo qualcosa in più sulla varietà di esseri umani che la popolano. Il rigore, l’ordine e la pulizia evidenti dalle inquadrature panoramiche e dalle architetture urbane si intersecano con le testimonianze di persone qualunque che provano a vivere al meglio, secondo i propri desideri e possibilità.