‘Cartabianca’ al Cremlino | Rolling Stone Italia
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‘Cartabianca’ al Cremlino

Il vittimismo performativo di Orsini (secondo cui «Chi sostiene che la Russia debba ritirarsi è un imbecille»), il feticcio di Mauro Corona e gli inciampi sul riscaldamento globale: il programma di Berlinguer è diventato un appuntamento irrinunciabile per ridefinire il concetto di polarizzazione

‘Cartabianca’ al Cremlino

Screenshot da Rai Play

Vuoi per noia, vuoi per abitudine, vuoi per un retaggio culturale di un certo tipo (sono cresciuto nell’epoca d’oro delle bagarre televisive a tinte politiche: quando Luttazzi realizzava quella intervista a Marco Travaglio, ero un orribile bambino giustizialista di 9 anni cresciuto a pane, Di Pietro e scorie di Tangentopoli; quando Berlusconi, d’emblée, sosteneva a Porta a Porta che l’allora Vicepresidente della Camera Rosy Bindi fosse «più bella che intelligente», ne avevo 17; quando il Cavaliere realizzava il suo colpo da maestro imperituro, pulendo la sedia occupata pochi secondi prima dall’attuale direttore del Fatto Quotidiano davanti agli occhi di un Santoro visibilmente indispettito, ero un 21enne confuso che frequentava l’università senza sapere bene cosa aspettarsi dal futuro), guardo moltissimi talk show.

Beninteso: non li guardo quasi mai per intero, ma la tentazione di accarezzare quell’atmosfera, di scoprire se Cacciari andrà in studio da Formigli per cantarne quattro alla sinistra italiana e alla sua ipocrisia o se Floris riuscirà, finalmente, a perdere il suo aplomb da anchorman inglese idealizzato, alla fine, ha sempre la meglio.

Allo stesso modo, quando mi sintonizzo sul talk di turno lo faccio in maniera completamente disillusa – sappiamo da anni che queste tipologie di format hanno esaurito la loro funzione da un decennio abbondante e che, in fondo, con il giornalismo inteso nel suo senso più nobile hanno sempre avuto poco a che fare (e, alla fine, va benissimo così).

Eppure, in questo mare magnum di disincanto post–berlusconiano, c’è ancora un superstite di genere che riesce a catalizzare la mia attenzione: Cartabianca, il salotto dell’intramontabile Bianca Berlinguer, storico volto del TG3 (di cui è stata direttrice dal 2009 al 2016), autrice di un libro profondo e gustosissimo sulla figura di Marcella Di Folco, figlia di Enrico e moglie di Luigi (Manconi).

Una giornalista con un retroterra di tutto rispetto e un po’ old school, rappresentante di un certo modo di concepire la professione e la televisione.

Fino allo scorso gennaio, il programma si attestava su una linea tradizionale e un po’ noisetta; poi, però, è iniziata la guerra ed è arrivato lui: Alessandro Orsini, professore della Luiss, sex symbol, opinionista di guerra, esperto ripropositore della sottile arte del “noncielodicono” di grillina memoria, campione del mondo di giravolte retoriche, e, soprattutto, gallina dalle uova d’oro. Dove c’è Orsini, c’è share: nella lotta per accaparrarsi l’attenzione dello spettatore, la sicumera del prof è una carta di sicuro successo.

La sua presenza ha cambiato nel profondo il volto della trasmissione, trasformandola in un luogo interamente consacrato allo scontro: negli ultimi mesi ci ha regalato una serie di verità piovute dall’alto che, a sua detta, avrebbero messo in scacco una volta per tutte l’ipocrisia occidentale. Solo per citare alcune primizie: abbiamo imparato che «Stoltenberg è pazzo» e che è preferibile che «i bambini vivano in una dittatura piuttosto che muoiano sotto le bombe in nome della democrazia». Ricordo ancora uno scambio surreale durante una puntata di Cartabianca andata in onda a marzo, a un mese dall’inizio dell’invasione russa, quando Orsini dichiarò: «Se davvero Putin, in un condizione disperata in cui rischia di perdere la guerra in Ucraina, dovesse usare la bomba atomica, l’Europa sarebbe moralmente corresponsabile». A quel punto Berlinguer, stupita, gli chiese giustamente: «Quindi bisogna far vincere la guerra a Putin per evitare il rischio legato alla bomba atomica?» e lui, con tutta la calma del mondo, rispose lapidario: «Se si pone il discorso in quest’ottica, dico facciamo vincere la guerra a Putin». Ieri, poi, ha rincarato la dose, sostenendo che chi sostiene che la Russia debba ritirarsi dai territori che ha occupato illegalmente sia assimilabile a «un imbecille».

E poi, naturalmente, ci sono gli scontri: quella orsiniana è una dialettica arrembante che non fa prigionieri, fondata sulla strategia di calarsi nei panni di intellettuale silenziato (ma quando mai: il suo volto è letteralmente ovunque) per sentirsi legittimato ad aggredire la controparte, ora impedendole di completare un discorso, ora alzando il tono di voce per ribadire che, sì, al parchetto c’è spazio per un solo bullo.

E a farne le spese è, quasi sempre, la stessa Berlinguer, totalmente incapace di contenere la tracotanza del suo pezzo più pregiato.
Prendiamo la puntata di ieri e l’incontro di boxe che ha visto contrapposti Pacquiao Orsini e Buckley Maurizio Lupi, col docente che si è detto costretto “all’escalation verbale” dall’atteggiamento del deputato di Noi Moderati. Il risultato? Una scazzottata senza arbitro (per chi se la fosse persa, è qui sotto):

Più in generale, dall’avvento di Orsini in poi, guardare Cartabianca significa assicurarsi due ore di assoluta polarizzazione su qualsiasi tema. Prendiamo l’ambiente: parlare di clima nel salotto di Berlinguer è come parlare del condimento che si preferisce per una carbonara: io dico la mia, tu la tua; tu sei per il guanciale, io per la pancetta, che male c’è? Stacce. Per intenderci, è il posto in cui è possibile contrapporre a un climatologo esperto come Luca Mercalli il Borgonovo di turno, consentendogli addirittura di consegnare alla memoria collettiva battutone del calibro di «Il professore ha un po’ di surriscaldamento globale, così mi va a fuoco!». La tendenza a trattare il riscaldamento globale come un tema d’opinione tra i tanti, per la verità, non è iniziata quest’anno: nell’ottobre del 2021, per parlare dell’alluvione di Catania, il programma di Bianca Berlinguer ha pensato bene di invitare il professore di Chimica Franco Battaglia, noto per le sue posizioni contro l’origine antropica del climate change e contro la riduzione delle emissioni nocive e per avere etichettato Greta Thunberg come una vittima dei “mercanti di bambini”.

E poi c’è lui: Mauro Corona. Per qualche motivo, Berlinguer è persuasa del fatto che sia lecito conoscere la sua opinione su ogni ambito dello scibile umano, ora chiedendo il parere dello scrittore sugli alpini accusati di molestie (tesi coroniana: è stato «qualche giovinastro» che si traveste indossando un cappello con la penna nera «comprato alla bancarella), ora consentendogli il giusto spazio per definire l’obbligatorietà del Green Pass come il portato di una «dittatura infame».

Tra il vittimismo performativo di Orsini, il feticcio di Mauro e Corona, i toni sempre e comunque altissimi e gli inciampi sul riscaldamento globale, Cartabianca è diventato un appuntamento irrinunciabile per ridefinire il concetto di polarizzazione.