Carlo Rovelli, 7 brevi lezioni di propaganda | Rolling Stone Italia
Buchi bianchi & veline russe

Carlo Rovelli, 7 brevi lezioni di propaganda

Dopo il discorso al Concertone, il fisico non smette di far parlare di sé per le sue opinioni sulla guerra. L'autore è diventato la nuova punta di diamante del sedicente "fronte pacifista italiano" (laddove "pace", spesso, significa resa incondizionata all'invasore)

Carlo Rovelli, 7 brevi lezioni di propaganda

Screenshot da RaiPlay

Sembrava un Concertone del Primo Maggio ordinario e dimenticabile, privo di quella verve polemica che ha caratterizzato il raduno di Piazza San Giovanni negli ultimi anni (Fedez vi ricorda qualcosa?).

Pochi squilli, il ritorno del Ligabue più populista, le vocali di Ambra, il commovente discorso dei genitori di Lorenzo Parelli che mette sotto la lente d’ingrandimento tutte le criticità dell’alternanza scuola lavoro in salsa nostrana, l’apologia dello sponsor Just Eat di un Landini meno barricadiero del solito, un bestemmione off script, Vamos a la playa con Johnson Righeira e volemose bene.

La variante meteo, però, ha cambiato tutto: la pioggia ci ha segregati in casa, l’ordinarietà ha preso il sopravvento e pure la Festa dei lavoratori è diventata un grigio lunedì tra i tanti. Una giornata trascorsa tra scrolling compulsivo (su TikTok il Concertone è stato un trending topic per gran parte della giornata, con 20 milioni di visualizzazioni assolute) e televisione che, però, ha giovato alla visibilità del Concertone, consegnando agli annali l’edizione più vista dal 2011.

Alla pioggia si è aggiunto il discorso di Carlo Rovelli, che è salito sul pulpito premettendo di non voler prodigarsi in una lezione di scienza per parlare di un argomento decisamente più leggero, ossia il più grave conflitto europeo dai tempi della Seconda Guerra Mondiale. Il fisico ne ha avute per tutti: ha attaccato, senza nominarlo, il ministro della Difesa Guido Crosetto, dandogli pure del piazzista per i suoi trascorsi professionali nel settore dei produttori di armamenti; ha puntato il dito contro le spese militari, il commercio di armi e la costruzione di strumenti di morte «per ammazzarci l’un l’altro»; ha spinto Ambra Angiolini a Fabrizio Biggio – che non hanno neppure fatto in tempo a riprendersi dal contenzioso con i tifosi della Lazio – a precisare che sul palco del Concertone «non c’è censura»; e ha rianimato l’antico conflitto che spacca in due l’opinione pubblica, quello tra “pacifisti” (accusati di filoputinismo) e “interventisti” (etichettati dai primi come guerrafondai): per i primi, Rovelli è una voce fuori dal coro che meritava uno spazio; per i secondi, il Concertone ha dato una finestra di visibilità alla propaganda del Cremlino.

Solo pochi giorni prima, lo scienziato aveva fatto parlare di sé per alcune dichiarazioni ambigue sulla Resistenza italiana: nel corso della trasmissione In Onda del 22 aprile, alla vigilia della Liberazione, David Parenzo e Concita De Gregorio hanno chiesto al fisico se la guerra in Ucraina possa essere considerata una guerra di liberazione paragonabile a quella che gli Italiani combatterono alla fine della Seconda guerra mondiale. La sua risposta ha spiazzato tutti, gareggiando di diritto con le aberrazioni di La Russa su Via Rasella e sulla Costituzione: «Non sono sicuro che la nostra sia stata una guerra di liberazione», ha detto. «Mi pare siamo stati alleati della Germania per un lungo tempo. Fino all’8 settembre del ’43».

Ora: Carlo Rovelli non ha bisogno di presentazioni. È un fisico di fama internazionale, un intellettuale sopraffino, un divulgatore (e un autore) straordinario (ma straordinario per davvero, senza piaggeria alcuna e fuori da ogni retorica) che ha scritto libri bellissimi diventati best seller internazionali (c’è ancora qualcuno non ha una copia di Sette brevi lezioni di fisica in libreria? Male). Tanto per rendere conto del suo status: nel 2019 è stato inserito nella lista dei 100 migliori pensatori del mondo («Global Thinkers») dalla rivista Foreign Policy, grazie al suo saggio L’ordine del tempo.

Dal 24 febbraio dello scorso anno, però, Rovelli ha affiancato all’attività scientifica quella di “voce libera”: è diventato, non sappiamo quanto consapevolmente, uno dei volti di punta del confuso fronte pacifista nostrano (all’interno del quale, ormai è cosa nota, coesiste senza troppi problemi un insieme caotico di personalità ascrivibili all’estrema destra cripto-putiniana e al sottobosco italiano della “contro-informazione”, per intenderci quello che ritiene che sia in atto una grande “sostituzione etnica” e che il Covid sia una farsa montata ad arte dai poteri forti; entrambi sottoinsiemi a cui Rovelli non appartiene, ma che hanno individuato nelle sue parole un punto di riferimento e un gancio argomentativo).

Il fisico ha iniziato a porsi come portatore di verità scomode sul conflitto sin dalle prime settimane, sfruttando i suoi canali social: una metamorfosi cominciata nel marzo dello scorso anno, a invasione appena iniziata, quando ha pubblicato sul suo profilo Facebook alcuni post – tutti in inglese – parecchio polemici, tutti accomunati da una retorica anti–occidentale un po’ raffazzonata: «Un’immagine di Kiev devastata dai russi. Ah no, scusate, mi sono sbagliato. Questi erano gli americani a Hiroshima», recitava il primo – e poi la Nato a Belgrado, gli americani in Afghanistan e così via.

È seguita una lunga intervista al Fatto Quotidiano (e quando mai) in cui Rovelli ha fotografato il conflitto in questi termini: «In Ucraina ci sono due maschioni tatuati di periferia che si picchiano di santa ragione e sono disposti a tutto pur di non cedere, e per punire l’altro. In mezzo, un popolo devastato e infinito dolore», ha detto, ribadendo la sua posizione di contrarietà all’invio di armi all’esercito di Kiev.

Da allora, il fisico non ha più smesso di dire la sua sulla guerra: ha scritto lunghi editoriali sul Corriere contro l’appoggio militare alla resistenza ucraina e ha rilanciato fantasiose ricostruzioni della propaganda russa sui propri profili social. Lo scorso 28 febbraio, ad esempio, ha postato sul suo profilo Facebook una velina pubblicata dalle agenzie governative russe nel 2014 e diffusa a diverse testate italiane: un lancio d’agenzia dal titolo altisonante che sosteneva che gli ucraini avessero bombardato Donetsk nascondendo nelle fosse comuni oltre 400 corpi; la notizia è stata confutata dagli osservatori di Amnesty International, che hanno raccolto prove di quattro civili uccisi (intendiamoci: uno è pure troppo, ma 4 e 400 sono cifre sproporzionatamente diverse e capaci di cambiare la percezione di chi legge).

Dopo mesi di propaganda e voci dissidenti ospitate dai salotti in diretta nazionale, la visione del conflitto che Rovelli intende restituire la conosciamo: dal suo punto di vista, il conflitto non è altro che una “guerra per procura”, condotta in qualche modo da Mosca e Washington, e Zelensky sarebbe assimilabile a un mero esecutore della strategia occidentale – una visione in cui, ovviamente, si dimentica del tutto la portata fondamentale della resistenza di Kiev e che l’Ucraina è stata invasa da Putin con l’intenzione esplicita e dichiarata di farne a pezzi la sovranità, conquistarne e annetterne il territorio, eliminarne fisicamente la classe dirigente e intellettuale e sottomettere la popolazione senza lesinare terrore e strategie di rieducazione. Per Rovelli, insomma, non esistono aggrediti e aggressori, eserciti di occupazione e civili in fuga, mentre le fosse comuni di Bucha, i bombardamenti di infrastrutture strategiche, i bambini strappati alle famiglie e deportati in Russia sono semplici porzioni di un disegno più grande, più importante, orchestrato dai «potenti» e dai «signori della guerra».

Più di tutto, Rovelli è un collante importante per il fronte sedicente pacifista (quello per cui pace, spesso, significa resa incondizionata all’invasore): quando a perorare la tua causa non è l’erborista di turno che promette di farti dimagrire a suon di tisane, ma un fisico capacissimo, stimato e di consolidata fama, beh, il divario in termini di influenza è incalcolabile.