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Arriveranno davvero i “passaporti vaccinali”?

In Israele un sistema simile è già praticamente realtà, mentre alcuni Paesi europei come Grecia e Austria spingono per adottarli. Ma ci sono diversi problemi, sia sanitari che etici

In tutto il mondo sono state somministrate finora circa 250 milioni di dosi di vaccini contro il COVID-19. Di queste dosi, 33 milioni sono state somministrate nell’Unione Europea, circa 75 milioni negli Stati Uniti e 8 milioni nel solo stato di Israele. Per questo in certe aree del mondo si sta parlando sempre più insistentemente di “passaporti di immunità” o “passaporti sanitari”, cioè documenti che certificano la vaccinazione dei singoli cittadini e che permettono di viaggiare e riacquisire molte delle libertà di cui la pandemia li aveva privati.

Se la proposta di rilasciare dei passaporti sanitari non ci sembra nuova è perché già nella prima fase della pandemia si era parlato di “patenti di immunità”: la differenza è che allora l’ipotesi era di dare queste patenti a chi era già stato malato, e quindi presumibilmente non sarebbe più stato a rischio perché già immunizzato da un contagio. La proposta si concluse però con un nulla di fatto, anche perché si è visto che di COVID-19 ci si può ammalare più volte. Oggi invece, con le campagne vaccinali di massa, la possibilità che si rilascino dei passaporti sanitari è molto più concreta: sia perché i vaccini hanno dimostrato di funzionare e garantire un alto grado di protezione, sia perché dopo un anno di pandemia c’è una grande urgenza di ripartire e riprendere a vivere normalmente. D’altronde gli stati si sono pesantemente indebitati per far fronte alle perdite economiche e le conseguenze psicologiche dovute a chiusure, isolamenti e lockdown non sono meno urgenti.

Ci sono alcune categorie particolari, come i piloti e gli assistenti di volo, che hanno bisogno del passaporto sanitario più di altre. Il trasporto aereo infatti ha subito nell’ultimo anno una crisi molto dura, e soltanto un sistema che permette ai vaccinati di riprendere a viaggiare potrebbe far ripartire le attività in tempi brevi, per questo alcune compagnie aeree come Etihad AirWays e Emirates si sono già portate avanti con delle app in fase di approvazione. La stessa organizzazione internazionale delle compagnie aeree (IATA) ha proposto l’uso di pass di viaggio per il personale di bordo e quello impegnato a terra.

Sono diversi gli enti, sia pubblici che privati, come IBM, che lavorano allo sviluppo o la proposta di passaporti sanitari. Il problema è che se davvero un giorno questa certificazione diventerà realtà, sarà solo attraverso accordi internazionali – in altre parole il passaporto sanitario, visto che oltre che a muoversi all’interno del proprio paese servirà anche a viaggiare, dovrà essere approvato da istituzioni internazionali come Nazioni Unite, Unione Europea e così via. Anche per questo è difficile dire quando e se questa misura verrà adottata.

I due paesi europei che hanno già proposto in sedi istituzionali l’approvazione di un sistema di passaporti di immunità sono Grecia e Austria. L’idea è quella di sostenere l’industria turistica del vecchio continente permettendo ai vaccinati di viaggiare all’interno i confini dell’area Schengen, ma non tutti tra i 27 stati sono d’accordo: Francia e Germania ritengono sia un’iniziativa prematura, alla luce del fatto che i dati sulla possibilità che i vaccinati possano comunque diffondere il virus sono incompleti.

La Grecia, in particolare, ha già delle certificazioni sanitarie a uso interno che permettono a chi ha già ricevuto il vaccino di muoversi liberamente nonostante le misure restrittive. Rispondendo alle domande della BBC, il vicepremier greco Akis Skertsos ha detto che il passaporto sanitario “non è affatto discriminatorio”, anche perché i turisti non vaccinati potrebbero comunque andare in Grecia, con l’unica differenza di affrontare procedure più lente.

Oltre a Grecia e Austria anche altri paesi europei hanno già espresso la volontà di adottare i passaporti di immunità, come Svezia e Danimarca, il cui ministro delle finanze ha detto: “la Danimarca è ancora duramente colpita dalla pandemia, ma ci sono parti della società danese che hanno bisogno di andare avanti, e una comunità di professionisti che ha bisogno di poter viaggiare”.

Come accade in Grecia, anche in Israele c’è già una certificazione che permette di muoversi liberamente se si è già ricevuta la propria dose di vaccino. Si tratta di una certificazione emessa dalle strutture sanitarie in formato digitale che contiene un codice QR da mostrare dal proprio smartphone. Israele è il primo Paese al mondo per percentuale di popolazione vaccinata (oltre il 50%) e di conseguenza le persone con il “Green pass”, come è stato battezzato, sono già un numero importante. All’inaugurazione del pass israeliano nel Paese si sono organizzati eventi per vaccinati come concerti e apertura di centri commerciali chiusi da molti mesi. Israele, che è già sotto osservazione per verificare l’efficacia dei vaccini, è quindi, di fatto, anche il terreno di sperimentazione per determinare la fattibilità dei passaporti vaccinali.

Sul tema dei passaporti di immunità si vedono anche i primi accordi tra stati, anche se in via ufficiosa: Grecia e Cipro, per esempio, hanno detto che ammetteranno sul loro territorio i turisti israeliani con Green pass. Ed è probabile che faranno lo stesso altri paesi, sia con i vaccinati israeliani che di altra provenienza.

Sviluppare dei passaporti sanitari, per quanto utile, è anche rischioso. Il primo dei rischi è quello di non poter garantire la privacy dei cittadini, soprattutto perché si tratta di informazioni sensibili e le idee avanzate dai governi si riferiscono ad app da tenere sullo smartphone – che non sono dispositivi sufficientemente affidabili, come hanno dimostrato i fallimenti delle app sviluppate per il tracciamento, come l’italiana Immuni.

Il secondo rischio è etico. La creazione di minoranze di persone che per lunghi mesi avrebbero più diritti e meno doveri di altre è problematica. Una società in cui alcuni possono fare alcune cose e altri no sarebbe probabilmente percepita come ingiusta e questo, a prescindere da come la si pensi sull’opportunità dei passaporti di immunità, potrebbe trasformarsi in difficoltà di gestione politica. Va considerato che queste minoranze di vaccinati che godrebbero della libertà sarebbero essenzialmente composte da persone anziane, mentre i più giovani sarebbero svantaggiati, nonostante siano proprio i giovani ad aver subito più duramente le conseguenze della pandemia con didattica a distanza e peggioramento delle condizioni economiche. Qualsiasi decisione prenderanno i governi sul tema dei passaporti sanitari andrà quindi adottata considerando non soltanto le eventuali conseguenze sanitarie ed economiche, ma anche sociali e politiche.

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