“Aprire per non morire”. Ma pochi ristoratori aderiscono alla mobilitazione | Rolling Stone Italia
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“Aprire per non morire”. Ma pochi ristoratori aderiscono alla mobilitazione

Era annunciata la marcia dei 50mila esercenti pronti a sfidare il Dpcm anti-Covid del governo riaprendo i locali, ma si sono registrati pochi aderenti, molti di più solo a titolo dimostrativo

“Aprire per non morire”. Ma pochi ristoratori aderiscono alla mobilitazione

Foto: Lorenzo Palizzolo/Getty Images

Partita dal web si è diffusa in pochi giorni a macchia d’olio e ieri (venerdì 15 gennaio) era il giorno della resa dei conti. La protesta dei ristoratori, ma più in generale di tutti gli esercenti costretti alle prolungate chiusure in base ai Dpcm anti-Covid del governo, si è svolta in mattinata in sordina. Attraverso l’hashtag #ioapro in tantissimi hanno affollato la pagina Facebook che li riunisce e il canale Telegram che prima ha fomentato la rivolta e poi ha scandito di minuto in minuto l’evolversi della mobilitazione. Per quanto riguarda i pranzi, però, a livello nazionale in pochissimi sembrano aver deciso di aprire, infatti non sono circolate foto di commensali, a parte qualche gestore di palestra che ha segnalato alcune sparute visite. E anche per la cena, nonostante il tam tam sia proseguito senza sosta, sembra essere mancata e di molto la soglia annunciata dei 50mila locali aperti. Troppo forte lo spauracchio di multe e sanzioni, che però non mancheranno visto che i pochi video condivisi in rete hanno messo in evidenza la presenza massiccia delle forze dell’ordine e in certi casi si è sfiorata la tensione con i vigili presi a male parole da gestori e avventori.

Molti, però, coloro che hanno deciso di parlare pubblicamente per denunciare una situazione ormai insostenibile. Come Roberto, titolare di un ristorante a Roma, che ha spiegato perché ha aderito all’apertura di protesta: “L’altra volta ho fatto la fornitura a tutti i locali e siamo stati avvisati all’ultimo che avremmo dovuto chiudere, mentre Conte ci ha detto che rimanevamo aperti. Solo il giorno di Natale noi che abbiamo una catena incassiamo 30-35mila euro, poi ci mettiamo Santo Stefano e Capodanno. Cosa faccio, vado a prendere i 2500 euro di ristori, ma stiamo scherzando? Non ho neanche fatto la domanda”. L’imprenditore, con più di cento dipendenti, ha poi sottolineato come neanche per i lavoratori sia arrivato niente: “La cassa integrazione è arrivata solo a uno nei mesi scorsi, mentre ad altri tre solo ieri. Si aggirava dai 250 ai 500 euro, cifre ridicole. Gli altri tutti in bianco. Chiedo solo che ci facciano riaprire rispettando le regole”.

Dello stesso avviso Davide, che gestisce una birreria: “Ci sono arrivati due spiccioli, al massimo possiamo pagarci la bolletta della luce di un mese. Per cui mi sono sentito totalmente abbandonato. Siamo una attività di famiglia, più tre dipendenti. È il disastro più grosso di tutti questi anni. All’inizio avevamo paura del virus, ma poi abbiamo spese fisse mese per mese e se non apriamo adesso non riapriremo mai più”. Così come Federico, che insieme alla sua famiglia si occupa di un bar: “Se mi chiedi se preferisco morire di Covid o di fame, io non avrei dubbi sulla risposta. Infatti, questa protesta è una risposta a questo: se non lavoro muoio di stenti. Anche noi ci siamo impauriti, ma dopo il secondo mese mio padre è stato costretto a vendere l’oro per mantenerci, come il collier che aveva regalato a mia madre. Più di così che dobbiamo fare?”. Anche perché, aggiunge Adriana che è titolare di un altro ristorante, “con il locale chiuso accumulo debiti ogni giorno che passa. Come tutto il settore legato al turismo non è mai stato facile, oggi il problema è di cercare di sopravvivere, sennò riportiamo al Comune le licenze”.

A loro supporto una schiera di avvocati, che a quanto pare si sono proposti di aiutarli nelle questioni legali gratuitamente o con un contributo simbolico se dovessero incorrere in una sanzione. Come l’avvocato Piera Rossi: “Nel momento in cui, con provvedimenti amministrativi, si va a limitare la libertà delle persone, si deve spiegar il perché. È comprensibile il principio di precauzione per il forte rischio di pandemia, ma è dovuto a comportamenti di terze persone che potrebbero essere irresponsabili. In questo caso si continua a colpire chi non c’entra niente. Ci sono però anche altri principi da far rispettare, come quello di proporzionalità e adeguatezza”.