Ancora una volta, Trump si è rifiutato di condannare QAnon | Rolling Stone Italia
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Ancora una volta, Trump si è rifiutato di condannare QAnon

La teoria del complotto di estrema destra secondo cui i Democratici sarebbero dei pedofili satanisti è sempre più diffusa, ma Trump fa finta di non saperne nulla

Ancora una volta, Trump si è rifiutato di condannare QAnon

Stephanie Keith/Getty Images

Ancora una volta, al presidente degli Stati Uniti Trump è stato chiesto di denunciare QAnon, la teoria del complotto di estrema destra secondo cui lui sarebbe il salvatore del Paese che sta combattendo contro una cabala composta dei democratici e dal deep state e che sequestra bambini per stuprarli e berne il sangue per non invecchiare. E ancora una volta, Trump si è rifiutato di farlo.

Non dovrebbe sorprendere nessuno, ma quando la giornalista della NBC Savannah Guthrie ha chiesto a Trump di denunciare QAnon durante un’intervista lo scorso giovedì sera, Trump non solo si è esplicitamente rifiutato di farlo ma addirittura ha sostenuto di non sapere nulla della teoria del complotto. 

“Le voglio chiedere di QAnon. È questa teoria secondo cui i Democratici sono dei pedofili satanisti e lei sta combattendo contro di loro. Ecco, può per una volta dire che questa teoria è completamente falsa e condannare completamente QAnon?”, ha chiesto Guthrie.

“Non so niente di QAnon”, ha risposto Trump. “Non ne so niente. So solo che loro sono molto contro la pedofilia. La combattono molto duramente. Ma non ne so niente”. E incalzato, Trump ha detto di non sapere nulla di QAnon, ma di poter parlare – perché li conosce – di Antifa e dell’estrema sinistra. Poi ha aggiunto: “Quello che ho sentito è che loro sono molto contro la pedofilia e su questo sono d’accordo con loro. Sono molto d’accordo con loro”.

Non è la prima volta che Trump, di fronte a una domanda diretta, rifiuta di esprimersi su QAnon. Lo scorso agosto gli era stato chiesto una prima volta di denunciare la teoria del complotto quando aveva sostenuto Marjorie Taylor Greene, candidata al Congresso per il partito Repubblicano che si è esposta pubblicamente a favore di QAnon. E sempre ad agosto gli era stato chiesto di QAnon durante un briefing alla Casa Bianca. “Non so molto del movimento, tranne il fatto che gli piaccio molto, cosa che mi fa piacere”, aveva detto in quell’occasione. Inutile dire che i seguaci di QAnon, che pendono dalle labbra del presidente, erano stati molto contenti di quel riferimento. Nel frattempo Trump ha condiviso oltre 250 volte post di account collegati a QAnon su Twitter.

Durante l’intervista, Guthrie gli ha anche chiesto conto di questo. Pochi giorni fa Trump ha condiviso con i suoi 82 milioni di follower un tweet che promuoveva una teoria del complotto senza fondamento secondi cui Joe Biden, quando era vicepresidente, avrebbe organizzato l’omicidio dei membri del team di marine che ha ucciso Osama bin Laden. “Non ne so niente”, ha detto Trump, “È stato solo un retweet, l’opinione di qualcun altro. Era solo un retweet. L’ho messo lì. La gente che legge può decidere per conto suo”.

In definitiva, l’atteggiamento di Trump nei confronti di QAnon è stato simile al suo atteggiamento nei confronti del gruppo estremista di destra dei Proud Boys, che gli era stato chiesto di denunciare e che invece, durante il dibattito presidenziale contro Biden del mese scorso, aveva incitato a “aspettare e stare pronti”. I Proud Boys erano stati ben contenti di quella frase, tanto da riportarla nel loro logo, e allo stesso modo i sostenitori di QAnon sono stati contenti delle frasi di Trump sul loro conto giovedì sera.

Il lato ironico di tutto ciò, se ce n’è uno, è che nonostante Trump affermi che i sostenitori di QAnon sono “molto contro la pedofilia” e “la combattono duramente”, in realtà diverse associazioni che si occupano di combattere veramente il traffico di minori hanno affermato che movimenti come #SaveTheChildren, una campagna collegata a QAnon diventata mainstream la scorsa estata, gli rendono il lavoro molto più difficile. 

Questo articolo è apparso originariamente su Rolling Stone US